Ho spinto in prima persona per trattare di “Icon”, il nuovo album di Tony Effe, nonostante non fossi un suo particolare estimatore, forse tutt’altro. Qualcosa mi ha incuriosito, volevo mettermi alla prova e soprattutto volevo mettere alla prova Tony. Non è tutto da buttare via come potevo pensare.
La cosa più giusta è partire dall’esterno e dall’estetica: la copertina di “Icon” è quanto meno suggestiva, con una bella composizione cromatica e un insieme di particolari che davano l’idea di andare ad ascoltare un Tony Effe messo “a nudo”, inteso nella sua forma più inflazionata e nauseante.
La fortuna è essere stato smentito, perché la versione malinconica rappresenta la sparuta minoranza delle tracce. Non perché Tony Effe non possa esternare il suo lato più introverso, tra l’altro “Sorry” è tra le canzoni più apprezzate del disco, ma chi ascolta Tony si aspetta soprattutto altro e questo “altro” qui lo può (ri)trovare, quasi come i vecchi tempi.
Forse è vero che Tony Effe è un’icona del rap italiano e non solo. Incarna un modus vivendi che affascina il pubblico più giovane, ostentazione e sregolatezza, il riflesso dello stereotipo che alla musica romana moderna mancava. Ed è per questo che è stato il più apprezzato tra i membri della Dark Polo Gang.
Infatti, per lunghi tratti gli ascoltatori cercavano tra le rime di Tony Effe lo spirito magico di quella trap che li aveva ormai resi orfani, e in parte è stato giusto: Tony Effe ha l’attitudine del rapper americano, rappresenta lo stereotipo carismatico che flexa lo “spendere cifre folli mentre i soldi aumentano” e tutto ciò che è sinonimo di opulenza e peccato.
L’album si presenta anch’esso come un’opera ambiziosa e probabilmente nasconde più banger di quanto si possa comprendere al primo ascolto: brani come “MAISON” o “MIU MIU”, per non parlare della celebre “BOSS” (dove riprende “In Da Club” di 50 Cent), presi in causa in quanto privi di featuring, sono brani dal buon potenziale.
Allo stesso tempo, possiamo spostare la lente sulle tracce pompa-streaming con le collaborazioni importanti che rimangono banger nonostante tutto il discorso sui brani che si ripetono nel rap italiano.
Il problema si evidenzia quando questi numerosi ospiti diventano ingombranti, senza lasciare un’impronta significativa o un contributo autentico alla qualità dell’album. Era così difficile immaginare Lazza, Geolier, Capo Plaza, Sfera Ebbasta, Tedua & company come featuring?
Nonostante l’energia e l’attitudine di Tony Effe, è evidente come l’album non riesca a sfuggire completamente alle trappole della ripetitività e della mancanza di varietà. Mentre alcuni brani catturano l’attenzione con produzioni più ricercate e ritmi coinvolgenti (a tratti avrei immaginato entrasse Tyga per fare le seconde strofe), altri sembrano cadere in una formula prevedibile, con beat e melodie che si susseguono senza lasciare un’impressione duratura.
Ma questo è realmente un problema?
“Icon” in realtà piace ai fan di Tony Effe, e onestamente riesco anche a comprendere il perché. Come già anticipato, il disco rispetta i crismi dei tempi moderni per la realizzazione di un progetto e rispetta anche l’immaginario di Tony Effe, esasperandolo. Da un lato c’è la paura giustificata di un cambio di rotta dei nostri artisti preferiti verso lidi oscuri, dall’altro c’è la speranza che i propri artisti preferiti si evolvano nel miglior modo possibile. Nel mezzo, c’è Tony Effe.
Al netto delle 17 tracce che rendono il disco più impegnativo del necessario, in quanto non è che ci fossero decine di argomenti da approfondire, la sensazione che mi è rimasta è quella di aver ascoltato un Tony Effe più carismatico di quanto mi aspettassi e sempre con quella timbrica che l’ha reso unico. Poi certo, non è che fosse proprio un dark dark dappertutto, ma credo non ci si sia avvicinato mai così tanto.
La verità è che non so quanto Tony abbia ancora da dire ma sa ancora dirlo bene, e se sei un fan di vecchia data allora “Icon” fa al caso tuo.
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