«Volevo fare il classico alla fine ho fatto un classico»
Mezzosangue – immobile dal panico (viscerale, 2025)
Un classico, come ci insegna Palumbo tramite Calvino, è qualcosa che non muore mai e ogni volta che lo rivediamo, riascoltiamo, o rileggiamo ha sempre qualcosa di nuovo da dirci, da farci capire. Nella storia dell’arte i classici sono i grandi capolavori dell’arte, e secondo un grande poeta, quando ci mettiamo di fronte a queste opere sentiamo come un sentimento che ci invita ad andare oltre noi stessi.
Lo scrittore diceva che, quando guardava le sculture greche in quanto veri e propri modelli di bellezza, sentiva come un monito morale che lo invitava a superarsi e migliorarsi per tentare di raggiungere o perlomeno di avvicinarsi un minimo a quella perfezione scultorea.
Il poeta viveva un momento di estasi che non solo sospendeva l’ordinario, ma che lo spronava ad elevarsi al di sopra di sé, a trascendersi. La stessa cosa che può succedere a me nel momento in cui leggo un articolo scritto dai miei colleghi che mi sembra talmente bello e scritto bene da volerlo imitare. Questa chiamata interiore è come una sorta di piccola estasi. Come una piccola fuga da sé, non per andare lontani e perdersi ma per migliorarsi andando oltre sé stessi.
Tra tutte le forme d’arte che esistono, la musica è forse la forma artistica che è più profondamente legata al concetto di estasi. La musica può scatenare estasi sia individuali che collettive e in quanto tale, è il punto di congiunzione tra sacro e profano. L’estasi è un’esperienza che permette di tenere insieme senza contraddizione gli opposti.
Il mondo della religione con le sue estasi spirituali e il mondo della musica che spesso flirta e deriva da quello religioso, ma al contempo vi si può porre in perfetto antagonismo come accade con i gruppi black metal. Ma che c’entra tutto questo con “Viscerale” di Mezzosangue?
C’entra perché “Viscerale”, l’album di Mezzosangue, è già un classico e lo si può comprendere perché implica proprio quella dinamica di “fuoriuscita” da sé che è tipica delle estasi. È come se Mezzosangue avesse ascoltato un album rap degli ultimi tempi (o magari un vecchio classico) talmente figo da sentire quel monito morale che lo ha invitato a trascendersi, a migliorarsi. Nel brano che apre il viaggio estatico di Mezzo ossia “Viscerale” sentiamo le seguenti barre:
«Diavolo tu rendi la mia voce più sincera
Mezzosangue – Viscerale (Viscerale, 2025)
Dio guida la mia mente mentre scende nel buio di questa era»
Il Diavolo e Dio sono posti sullo stesso piano, ed è come se Mezzo riuscisse a tenere insieme gli opposti ma senza contraddizione poiché entrambi diventano aiuti per il viaggio del rapper. Ed è proprio qui che inizia il viaggio estatico di Mezzosangue. Dio e Diavolo rappresentano il sacro ed il profano che, se presi insieme, senza contraddizione, permettono al rapper di realizzare un classico.
“Viscerale” è talmente diretto che già dalle prime rime dell’album capiamo il nocciolo della questione, infatti Mezzo, fin dalla prima strofa, crea un dialogo con i propri haters, un vero e proprio spazio affettivo in cui affronta l’odio che ha attratto su di sé con il suo disco precedente: “Sete” (non faccio riferimento alla riedizione di “Musica Cicatrene” del 2024 perché è un vecchio album).
Mezzosangue ha una fan base solida, ma spesso i fans dei rapper creano un effetto caricaturale sul materiale del rapper stesso…mi spiego meglio, è come se il rapper (o cantante che sia) risentisse dell’amore della propria fan base al punto tale da essere portato a fare musica per compiacere i gusti del proprio pubblico. “Sete” risente sicuramente di questo elemento, ma Mezzo come dice in Kenny Wells “continua” anche se gli haters gli hanno dato del surgelato, come dice in “Idiocracy”. Sempre nell’intro possiamo sentire:
«Ho scritto la mia sete
Mezzosangue – Idiocracy feat. Gemitaiz (Viscerale, 2025)
ho crocifisso me già in copertina
prima che ogni infame gridasse a Pilato: – “Lui prima”»
Mezzosangue con questo album abbandona quel che poteva essere una strada a senso unico. Gli album dopo il debutto con “Soul of a Supertrump”, cioè “Tree – Roots & Crown” e “Sete”, non sono forti quanto i progetti precedenti.
“Viscerale” invece li supera.
Quello di Mezzosangue è un viaggio estatico che ci porta fuori da noi mentre l’mc si tira fuori qualche sasso dalla scarpa, anzi, direi che tira fuori qualche mattone dallo stomaco. Le rime e la voce di Mezzosangue diventano gli agganci a cui aggrapparsi per staccarci dal «tran tran» quotidiano, come direbbe Sfera, e uscire finalmente da noi stessi e dai nostri impegni incessanti.
“Viscerale” instaura un doppio movimento nel suo complesso. Mezzosangue tira fuori le proprie rime dalle viscere mentre sputa tutto ciò che gli grava dentro, tutto l’odio, il rancore e anche l’amore; nel frattempo noi ascoltatori siamo catapultati fuori da noi stessi… si, ok, fuori da noi stessi ma dove?
In 32 minuti e 58 secondi gli ascoltatori sono sradicati dalla propria quotidianità per essere proiettati in quell’ambiente caldo, luminoso e casalingo rappresentato in copertina.

La cover, infatti, raffigura un ipotetico Mezzosangue senza maschera, che disteso sul divano con il proprio cane guarda fuori dalla vetrata di casa e si rilassa mentre osserva il proprio giardino. Mi piace pensare che quella casa in cui il rapper è tanto a suo agio sia il rap.
In “Viscerale” Mezzosangue è perfettamente a suo agio nel proprio elemento, si è lasciato alle spalle ogni pericolo di diventare la caricatura di sé stesso, e come dice in un brano forse era veramente lui che si auto-sabotava, mentre adesso ha ritrovato qualcosa che stava perdendo.
La prima rima a cui mi sono agganciato per la mia estasi personale è stata:
«la loro fame è viscida, la mia fame è viscerale»
Mezzosangue – Viscerale (Viscerale, 2025)
Non so quanto sia intenzionale da parte dell’mc romano la parafrasi di una barra di un altro intro di un classico del rap italiano old school, mi riferisco a “Tora-Ki” di Raige e Zonta. Raige è il fratello maggiore di Ensi, e prima che iniziasse a cantare e a fare pop era uno dei rapper più forti della scena italiana. Nell’intro del suddetto concept album possiamo sentire la barra: «il vostro amore viscido contro il mio amore viscerale».
Sembra che la “fotta” che pervadeva e caratterizzava il joint album di Raige e Zonta sia stata rievocata nell’album di Mezzosangue, e che quella barra parafrasata sia come un incantesimo che infonde una particolare forza e coerenza di fondo all’intero progetto. La fame di Mezzosangue è autentica, al contrario di quella di molti altri, fame subdola, approfittatrice, viscida. L’autenticità nel suo ottavo progetto musicale acquisisce lo smalto della consapevolezza.
Una consapevolezza che sentiamo nell’uso della voce, perché Mezzosangue non si limita a rappare ma interpreta le proprie rime, crea storytelling e, a seconda dell’atmosfera che vuole indurre nell’ascoltatore, sa modificare il proprio flow a piacimento. Piano piano, infatti, la voce di Mezzosangue ci trascina all’interno del suo personale viaggio. È come se la grana della sua voce funzionasse da materiale abrasivo a cui l’orecchio dell’ascoltatore rimane attaccato.
Gli appigli sono molti e sono impossibili da riassumere all’interno di poche righe. Quel che è certo è che Mezzosangue ha abbandonato i propri schemi per lasciarsi andare e divertirsi come non faceva da tempo.
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