“Zio Benè” di J.Levis è uno dei prodotti underground più interessanti che ho ascoltato in questo 2024. Lo so, detta così out of context è un’affermazione discretamente pesante, ma se ci leggi da tempo sai che tendiamo a soppesare i giudizi.
J. Levis, pseudonimo di Giacomo Levis, si definisce un cantante di origini milanesi, ma questa volta più che mai, se lo chiamassimo rapper non sarebbe poi così fuori luogo.
Con Metronome, il suo fidatissimo produttore, ha fondato nel 2022 il collettivo Benessere Musica (BNSR).
Il duo si sente che di rap, ma più in generale, di musica, ne ha masticata e digerita davvero tanta: dalla spensieratezza del soul, al glorioso boom bap della golden age americana, ma senza mai rimanere ancorati ad un nostalgico passato. Non escludo che tra i loro ascolti ci sia il collettivo Griselda Records, Steve God Cooks, Black Soprano Family e via dicendo, senza tralasciare i Dogo, perché un pezzetto di Milano è loro.
L’album di cui parliamo qui, “Zio Benè“, è uscito il 14 Marzo 2024 e il concetto cardine su cui ruotano quasi tutti i brani è quello di “benessere“, come si potrebbe anche intendere – con uno sforzo immaginifico – anche dal titolo del progetto.
Sì, in parte è lo “stato felice di salute, di forze fisiche e morali” che suggerisce la Treccani, in questo caso più specifico invece direi che J.Levis si riferisce al concetto di “benessere soffuso” che aleggiava negli anni ’70-80-90 a Milano e che vorrebbe costruirsi lui nel suo microcosmo.
Pito Roccia, MA LA, Bizzy Classico, Feelom e Gatto Pomodoro sono i featuring del disco, interamente prodotto da Metronome eccetto “Porto di Tarifa” in cui ha partecipato anche Feelom.
Dentro quanto appena descritto diventa accessibile subito dalla prima traccia. In “Elegante” infatti, Metronome ha cucito una nota vocale molto esplicativa – presumibilmente di una persona cara, ipotizzo la madre – che, grazie al tono disteso e scherzoso insieme, riusciamo subito a capire il mood: “oggi come dici tu è sereno… no spé com’è che dici? Benessere“.
Il lusso dei bei vestiti non volgari, l’implacabile movimento scandito dai semafori, una vita sociale vivace, i pasti principali con persone care intervallati dagli aperitivi, concentrazione massima sui propri affari e profumo di ottimismo. Dentro l’ascolto di “Zio Benè” esce fuori tutto questo.
Quelli che potrebbero all’apparenza sembrare luoghi comuni per un rapper, diventano qui scenari in cui la sagoma di J.Levis si muove e interagisce senza aderire ad uno stereotipo precompilato, facendo vibrare una persona vera che, come un attore, sa interpretare un ruolo.
Il personaggio verosimile che J.Levis costruisce dentro al disco è aderente al presente, ma non sfigurerebbe in tuta acetata un cinepanettone di Vanzina a tavola con Jerry Calà, o da Umberto Smaila “Colpo Grosso”, né in un locale di lusso a Corso Garibaldi.
Le barre-punchlines del rapper milanese sono colme d’ironia, di sarcasmo, sempre in bilico tra la descrizione stereotipata e la narrazione critica che rompe la finzione del rapper (come quando dice “big racks che tradotto è pila” , oppure “sono in una twingo plique perché al polso non ho un rolex“).
Brani come “Danè“, “Ciccettone“, “Alicia“, “Mandorla” dimostrano anche al più scettico che J.Levis sa rappare come il genere comanda, mentre dentro “Porto Di Tarifa“, “5 Gennaio“, “Parola” dimostra di sapere proprio scrivere tramite gli stilemi del rap, e oggi è cosa rara.
I saggi di scrittura possono benissimo essere riassunti in rapidi esempi. In “5 Gennaio” dice “vorrei non parlare mai di soldi come i ricchi“, alludendo – con un quasi sillogismo – come solo i veri ricchi non parlano di soldi e che, di conseguenza, chi ne parla non ne ha. In “Shomurodov” scrive “mi trovi a messa la domenica in tuta Prada” evoca una profanazione del sacro in un brano sagace che, contestualizzata in tutto il disco, assume significato e aggiunge ulteriori particolari a tutto l’ambiente ovattato che si costruisce mano a mano che si ascolta “Zio Benè”.
Le icone del lusso come Gianni Agnelli o Valentino diventano metri di paragone e attori in secondo piano che popolano una Milano quasi sorrentiniana, orientata verso una superficialità controbilanciata però dalle strumentali profondissime di Metronome.
Il producer Metronome ha musicato un prodotto coeso, ricercato, incredibilmente profondo, esperto e difficilmente accostabile alle mani di un emergente. Piuttosto che virare alla ricerca spasmodica della hit da radio, Metronome rispolvera la buona vecchia pratica del sampling e realizza un lavoro eclettico: passa dal funk giapponese al folk ungherese con scioltezza, inserisce synth, suoni retrò, suoni naturali o tipicamente italiani, arrivando anche a Pino D’Angiò in “Questo Amore” e ad Alberto Sordi in “Piatto Unico” in cui parla della sua domenica tipo da Pippo Baudo a “Domenica In” (che linko sotto perché merita).
Uno dei migliori esempi è sicuramente la già citata “5 Gennaio”, che riesce a concludere il già malinconico brano con i rumori del mare e dei gabbiani, o “Porto di Tarifa” che sembra veramente uscita da un film con un’estetica grintosa, pellicola granata e colori saturi. Davvero incredibile.
Diciamo che se Metronome fosse uscito dalla cricca della MRGA non avrebbe assolutamente sfigurato e non ci saremmo strabiliati di aver ascoltato un prodotto simile.
A chiudere “Zio Benè” è “Sempre Calmo (Bonus Track)” in cui ci sono delle barre meritevoli di essere evidenziate e capaci di sintetizzare quanto detto fino ad adesso:
“mia nonna è una roccia, un salvagente, un faro
J.Levis, Metronome – Sempre Calmo (Bonus Track) (Zio Benè, 2024)
scendo per le ferie dice che mi trova bene
sono un po’ ingrassato
ma è tutto parte del benessere
[…]
riguardo alcune foto di noi a scuola,
più di una compagna si è fatta una famiglia nuova
sciolgo i nodi al pettine non quelli in gola”
Questo è solo il terzo progetto del giovane binomio, ma per quanto ci riguarda, ciò che mi sento di dire è di dover assolutamente continuare così. Un’attitudine, un flow e una concezione del progetto così uniche, identitarie ed italiane sono davvero rare; la speranza più grande è che lo Stivale se ne accorga. Noi nel nostro piccolo cerchiamo di spingerlo. Disco consigliatissimo.
Recensione molto articolata, costruita su vari piani che ben spiega le altrettanto articolate tracce del disco: leggendo sembra di vederne il contenuto, proprio come ascoltando le barre sembra di assistere a dei fotogrammi. Si capisce che tutti i protagonisti non solo hanno masticato molto la seconda arte ( la musica) e perchè no la quinta, ma si sono ben nutriti anche con la settima arte , il cinema…benessere!