Il piccolo Mustard, Los Angeles e il sogno ricorrente
All’inizio era tutto un sogno: “It was all a dream”, disse qualcuno a New York in tempi non sospetti. La nostra storia però non inizia nella Grande Mela, bensì a Los Angeles, in quegli anni l’acerrima rivale musicale (e non solo) della culla storica della cultura hip hop.
Era tutto un sogno, dicevamo, perché la Los Angeles degli anni Novanta, specialmente lungo le aree tagliate dalla Crenshaw Boulevard, si avvicina più a Los Diablos. La comunità nera di queste aree è piegata dall’epidemia di crack e da un’altra epidemia: quella della violenza di strada perpetrata dalle gang che controllano i quartieri, tanto da venire appellata spesso come la capitale americana delle gang.
In un clima così bollente, quasi quanto il clima della California che con i conseguenti incendi brucia ogni anno circa l’1-2% della superficie dello Stato, forse sognare e pregare che arrivi qualche angelo a salvarti è la cosa più immediata, dato che la realtà quotidiana sembra assomigliare all’inferno sulla terra.
La nostra storia, infatti, inizia proprio qui, con la sveglia che, a casa McFarlane, suona puntuale come ogni mattina. Suona ininterrottamente ma Dijon non la sente, o forse non vuole sentire, tanto che sua sorella deve andare a svegliarlo e dirgli che rischiano di fare ritardo a scuola.
È questa la routine di casa McFarlane, dove non ci si può permettere di non onorare l’avere un lavoro, specialmente quando si è di origine giamaicana e si è immigrati illegalmente negli Stati Uniti, e dove bisogna rimboccarsi le maniche ancora di più se il padre di famiglia viene deportato in Giamaica, da cui era fuggito.
La sveglia, talvolta più simile a una condanna che a un felice inizio di giornata, non è solo il ritmo che scandisce le giornate della working class ma è anche l’outro di “Show Me The Way”, traccia con cui si apre “Faith of a Mustard Seed”, il nuovo album di Mustard pubblicato per la sua 10 Summers Records, sotto licenza BMG e disponibile su tutte le piattaforme digitali dal 26 luglio 2024.
Curiosamente, come raccontato dallo stesso Mustard, il titolo “Faith of a Mustard Seed” gli era stato suggerito da Nipsey Hussle durante la genesi dell’album precedente, quando ancora quest’ultimo non aveva un nome e, dunque, il rapper di Crenshaw aveva avanzato tale proposta. Il consiglio di Nipsey è stato accolto per l’album successivo e ha forgiato profondamente il nuovo progetto del produttore.
“Faith of a Mustard Seed”, l’analisi
Il disco segue “Perfect Ten” (2019) e uno hiatus di cinque anni, in cui il beatmaker losangelino ha centellinato le strumentali, producendo prevalentemente alcuni pesi massimi della scena rap statunitense. Tra queste spicca senz’altro “Still Summer in the Projects” (2019), secondo album in studio di 03 Greedo, uscito appena due mesi prima rispetto a “Perfect Ten” e prodotto interamente dallo stesso Mustard. Prima la pausa, poi il covid che ha portato via i suoi nonni, il divorzio e la salute mentale. Ci arriviamo, non ti preoccupare.
La voce soave di Kirk Franklin apre l’album e lo fa chiedendo al signore di indicargli la retta via. La risposta ci porta nuovamente alla nostra storia:
Listen, faith is believing getting what you can’t see
Mustard – Show Me The Way feat. Kirk Franklin (Faith of a Mustard Seed, 2024)
And before it becomes reality, the seed is planted into dream
And without faith, it is impossible to believe
I versi sopracitati quasi ci indicano che il piccolo Dijon, che in futuro diventerà Dj Mustard prima e solo Mustard dopo, letteralmente sognasse un modo per cambiare la sua storia e che si rivolgesse a Dio.
Infatti, già dal primo brano viene rivelato il concept del progetto: l’avere fede, il crederci anche quando sembra impossibile come nella Los Angeles degli anni Novanta. La religione è una parte fondamentale dietro alla filosofia del disco, tanto che lo stesso titolo “Faith of a Mustard Seed” proviene nientemeno che dal vangelo di Matteo 17:20-21, che recita così:
Lo stesso seme che iniziava a germogliare nei sogni del piccolo Dijon e che gli suggeriva il cammino quando iniziava a connettersi con la sua anima. La sveglia però suona ancora e il piccolo deve fare presto per non arrivare tardi a lezione. Lungo i 50 minuti di musica che compongono le 14 tracce del disco sono numerosi gli artisti che danno il loro contributo. Rapper, produttori, cantanti: tutti accomunati dalla stessa visione.
Primo brano a parte, le successive quattro tracce conferiscono al disco una patina da party, tipica di un giovane che scopre il mondo e cerca di coglierne tutti i suoi colori. In questo caso però sono le sfumature a plasmare i brani. In “Up Now”, Mustard condensa gli stili lirici e di sound della West Coast grazie alla presenza dei BlueBucksClan, del Midwest con 42 Dugg e del South con Lil Yachty.
La canzone successiva, con Vince Staples e ScHoolboy Q, è quella più tipicamente westcoastina, arricchita anche da dei suoni tipici del g-funk. Un vero banger. “One of Them Ones”, in collaborazione con Quavo e Rob49, e “Parking Lot”, con Travis Scott, con quest’ultima uscita come singolo, chiudono la tetralogia festaiola dell’album.
Ognuno di questi brani, inoltre, è seguito da una outro che ci riporta alla storia di partenza, con Dijon che anche a scuola continua a dormire, sperando in un destino diverso, ma la sera inizia a frequentare le serate in discoteca. Una passione, questa, passatagli dallo zio DJT, dj importante della scena losangelina, che si era preso cura di lui da quando suo padre era stato deportato in Giamaica.
La traccia successiva è più uno skit e segna la vera divisione di “Faith of a Mustard Seed”, portandoci ancora più dentro la vita di Dijon Isaiah McFarlane. In “7 to 7”, infatti, un suo amico cerca di convincerlo ad andare a una serata imperdibile nella quale saranno presenti anche tante ragazze.
Qui, oltre a un sample presente nel primo brano e nell’ultimo, facciamo la prima conoscenza con sua madre, figura importante per il produttore e a cui è stata dedicata la canzone seguente nella tracklist. “A Song For Mom”, col campione di “If This World Were Mine” (1982) di Cheryl Lynn e Luther Vandross, è la dichiarazione d’amore di Charlie Wilson, Masego, Mustard e Ty Dolla Sign alla donna più importante della loro vita. Impossibile non menzionare la prestazione sublime di Ty Dolla Sign, apparso in forma smagliante.
E se l’amore è un sentimento con cui, presto o tardi, tutti hanno a che fare, ecco che anche nel disco si ritaglia il suo spazio con la quota melodies ben rappresentata. “Worth a Heartbreak”, con un ottimo Blxst e A Boogie wit da Hoodie, e “Truth Is” parlano di amore in maniera quasi complementare: la prima mette in risalto le difficoltà di una coppia mentre la seconda è una pura dichiarazione spensierata, come quelle che si fanno in stati alterati.
In ogni caso, in entrambe le tracce le relazioni sono ancora in potenza, tanto che anche l’outro che accompagna “Truth Is” è quella del periodo in cui si hanno ancora le farfalle sullo stomaco e tanta incertezza. Le due successive ci mostrano invece altri due lati della stessa relazione. Infatti, in “Mines”, Charlie Wilson, Future e Ty Dolla Sign cantano l’amore nella sua forma più pura, sottolineando quanto il loro coinvolgimento emotivo sia tale da mettere in primo piano la loro rispettiva compagna e di voler far sapere al mondo intero che sono i fortunati a condividere il cammino con lei.
Purtroppo però, questo sentimento si affievolisce ben presto e il brano si chiude, ancora una volta, con una outro in cui la ragazza si sfoga al telefono con Mustard, sospettando che quest’ultimo l’abbia tradita. Il pezzo si conclude con una frase che anticipa di fatto il brano successivo: “All I take is one bad decision”, che si potrebbe tradurre così “Con me puoi permetterti solo un errore”. Il pezzo successivo è proprio “One Bad Decision”, uscito come singolo, con una magistrale Ella Mai (che riprende il ritornello di “911”, di Wyclef Jean e Mary J. Blige) e Roddy Ricch che si alternano in due strofe in cui la relazione sembra essere giunta al capolinea. Un po’ come quella di Mustard con la sua compagna, impelagati tra le pratiche per il divorzio.
In apertura abbiamo parlato di Los Angeles e, per un fiero portabandiera, non potevano mancare dei brani dedicati alla vita di quartiere. Il primo di questi è “Yak’s Prayer”, che vanta una delle prestazioni più concettualmente mature di Kodak Black. Il rapper di Pompano Beach, in Florida, si adagia su una strumentale con un piano dallo spirito quasi gioioso e sostiene di volersi dedicare alla propria famiglia, allontanandosi definitivamente dalla vita di strada.
Anche in questo caso, la parte finale del brano ci offre uno scorcio della vita di quartiere Mustard e con una frase anticipa il titolo di quello successivo. “Ghetto”, con Young Thug e Lil Durk, è il penultimo brano del disco, condito da un video pubblicato sul canale YouTube di Mustard. I due rapper, per farla breve, raccontano le dinamiche, sia positive che negative, dei loro quartieri ma è proprio da quelle negative che è difficile allontanarsi perché come dice Thugga nel ritornello:
Sia per Young Thug che Lil Durk, dunque, allontanarsi dal ghetto non è facile e forse sotto sotto non è nemmeno ciò che vogliono. Come Nipsey Hussle, omaggiato nel video del brano, forse l’obiettivo è quello di rimanerci cercando di contribuire al suo miglioramento. Sentire questo brano oggi, con l’incertezza che accompagna il processo di Young Thug, fa sicuramente un certo effetto.
“Pray For Me”, scelto come singolo due settimane prima dell’uscita del disco, chiude il quarto album in studio di Mustard e anche la nostra storia. Per farlo, il produttore decide di rappare per la prima volta e lo fa in un brano che dura 10 minuti, tra rap e intermezzi parlati. Senza ombra di dubbio il brano più significativo della carriera di Mustard.
In “Pray For Me”, sono numerosi gli omaggi a Dio, alla religione e i pensieri riguardo la strada fatta. Mustard si apre col pubblico, facendo delle dichiarazioni toccanti, ricordando di aver perso i suoi nonni a causa del Covid-19 e ringraziando suo zio per averlo cresciuto come se fosse suo figlio, considerato che suo padre era stato deportato in Giamaica. E poi l’importanza di pregare per gli altri, di volere il loro bene, elencando i nomi di tutti gli artisti presenti nel disco, della sua etichetta, dei fonici, dell’ingegnere del suono, dei rapper di Los Angeles, della sua famiglia, dei suoi amici di una vita.
Grazie alla speranza che Dijon ha trovato in Dio grazie a Ms. Carol è riuscito a capire che è importante crederci anche se sembra impossibile, anche se si parte dai bassifondi. Lo stesso Mustard chiude il pezzo dicendo:
So, the point of this album is to have faith
Mustard – Pray For Me (Faith of a Mustard Seed, 2024)
No matter what field of work you in
No matter what you doin’ in life
Have faith in it and believe in it at all times
In ogni caso, per comprendere al meglio tutti i dettagli di “Pray For Me”, così come il pathos che Mustard mette nel testo è consigliato l’ascolto del brano perché, in caso contrario, non verrebbe resa giustizia allo stesso.
Conclusioni
Qualcuno probabilmente avrà storto il naso, vista la quasi totale assenza del sound losangelino che ha sempre contraddistinto la musica di Mustard. Per altri, compreso il sottoscritto, questa nuova veste del produttore anche nei suoi dischi ci regala un’infinità di lande ancora da scoprire e di mondi musicali da unire.
Il disco racconta perfettamente ciò che Mustard intende comunicare, dalle strumentali ai testi, e il suo autore può certamente guardare con fierezza il bambino in copertina intento a muovere i primi passi in un mondo che gli avrebbe regalato il destino che andava cercando.
When I went and did my research on what “Faith of a Mustard Seed” meant
Mustard – Pray For Me (Faith of a Mustard Seed, 2024)
It says that with the faith of a mustard seed, God will allow you to move mountains
And I feel like where I come from, I moved just about every mountain that was in my way
And still movin’ them with faith of God
Suona quasi profetico sapere che nel 2014 Mustard pubblica “10 Summers”, il suo primo album in studio e che esattamente 10 anni, nonché 10 estati, dopo sia in cima alle classifiche con “Not Like Us”, per cui in “Pray For Me” ringrazia Kendrick Lamar, che sta dando nuova linfa alla West Coast dopo qualche anno nell’ombra. Oggi quel 10 Summers è anche il nome della sua etichetta con cui ha fatto uscire il suo nuovo album in un’estate che è dettata, in ogni caso, da una sua produzione.
“Faith of a Mustard Seed” è la testimonianza della crescita di Dijon Isaiah McFarlane, in arte Mustard, che ci ha creduto fino in fondo e ha dato forma ai pensieri e ai sogni che albergavano nella sua mente fin da piccolo. Pensieri e sogni che non ha mai smesso di nutrire, che nella Los Angeles degli anni Novanta non erano altro che un seme di senape che oggi ha germogliato e ha reso Mustard uno dei produttori più iconici della nostra generazione.
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