Erano gli ultimi mesi del 2011 quando tramite “Parli di Rap” di Fedez (“Il Mio Primo Disco Da Venduto“,2011) io e il mio amico Leon scoprimmo Gemitaiz e, senza capirne bene il motivo – ascoltandolo mentre giocavamo alla Play – ci sentivamo parte di qualcosa molto più grande di noi.
Frate’, questo è quello che vi consiglio
Gemitaiz – Intro (Quello Che Vi Consiglio Vol. 2, 2010)
Una seconda volta è una seconda porta
Che ti fa entrare e ti conforta
Per ogni giornata là fuori che è andata storta
Inizialmente “Quello Che Vi Consiglio Vol. 2” fu proprio questo per me: una sorta di casa sull’albero desiderata e mai avuta in cui ero entrato dalla “seconda porta”, un rifugio adolescenziale in cui entrare quando i mezzi emotivo-sentimentali per scomporre il vissuto erano acerbi e, più che soluzioni concrete, volevo conforto e comprensione.
Ero completamente ignaro del fatto che Gemitaiz stesse per portarmi ancor di più dentro un mondo in cui tutt’ora cerco di stare e dire la mia.

“Quello Che Vi Consiglio vol. 2” fu una specie di prontuario al genere che accumulava senso di ascolto in ascolto e che, se ri-analizzato con le orecchie e gli occhi di oggi, riesce esaustivamente a delineare i confini fluidi di un tipo di rap guidato da un’attitudine smaccatamente Hip Hop.
La forza contenutistica del tape, infatti, sta proprio nell’urlo di rivalsa che dà vita ad un triangolo mutaforma, ora equilatero ora isoscele in base alle evenienze, di empatia, polemica e critica, spostandosi da un polo verso l’altro senza mai venir meno ad uno dei punti. Vediamo come.
“Quello Che Vi Consiglio vol. 2” è una specie di secondo genito figlio delle poche attenzioni
Dal “primo figlio” è passato un anno, siamo nel 2010 e i telegiornali danno il contesto: la crisi economica del 2009 prendeva piede in Italia con risvolti concreti, lo scandalo “Parentopoli” a Roma di Gianni Alemanno veniva a galla e le riprese fredde delle camere, nel raccontare lo scandalo, tramite un rapido passaggio di frame e piccoli video, mettevano in risalto il degrado urbano delle periferie della Capitale rispetto al centro storico tirato a lucido.
“Quello Che Vi Consiglio Vol.1” aveva fatto rumore, ma forse bisognava fare qualcosa di più, bisognava attirare ancora più attenzioni; bisognava far casino, bisognava urlare i propri bisogni, proprio come fa all’interno di tutto il progetto.
Sì, “Quello Che Vi Consiglio Vol. 2” in parte parla anche a chi cerca un rifugio emotivo-sentimentale, ma soprattutto racconta le difficoltà di emergere a Roma con il rap facendolo diventare un vero e proprio lavoro nonostante la difficile situazione economica.
Crea una comunità, parlare “con” e “per” la comunità.
Gemitaiz, in questo primo frangente di carriera, fa vera e propria musica popolare, nel senso che viene dal popolo («Ogni mattina apro l’occhi, in testa c’ho l’affitto e le scadenze»), dalla pancia, e lo stesso rap di Gem vuole farsi megafono di un’unità di persone senza voce («Ormai so’ anni che ce tenete in cattività/Che provate a facce chiude’ l’attività») e rinchiusa in quei brevi frame passati dal TG.
Non importa la provenienza, la città, la periferia di Roma diventa una periferia italica dove, in ogni luogo e allo stesso modo, percepiscono lo schiacciamento degli ultimi:
Da Milano, Roma, Bari siamo tutti uguali
Gemitaiz – Andare Via (“Quello Che Vi Consiglio vol. 2”, 2010)
Tu, leggiti i giornali e credi a tutti quanti i notiziari
Io credo alle voci del quartiere e degli amici cari
Dei poveracci pugliesi, dei negri e dei siciliani
De quelli che in ‘sti anni si sono avvicinati
Al concetto d’onestà a cui non siete abituati
Ad esempio, in “Temporale” (quando attacca Gemitaiz – per citare un commento sotto alla traccia su YouTube – è come se il cielo si rischiarasse), Killa Cali originario di Calimera, in provincia di Lecce dirà:
Questo è lo sporco Meridione che incontra la Capitale
Gemitaiz – Temporale feat. Pinto & Killa Cali (“Quello Che Vi Consiglio vol. 2”, 2010)
Ho coltivato un sogno ma il raccolto è andato a male
Non è l’unico caso, nello stesso tape c’è “Te nun ce poi stà” con Lil Pin e Uzi Junkana direttamente dalla Sardegna dove il rapper romano, nel ritornello, dice che «cambia l’accento, cambia la faccia, cambia la città cambia anche il modo di farlo e cambia l’identità ma non cambia il fatto che noi semo i più forti a rappà»
La forte impronta del rapper sta anche nella sua capacità di far trasparire la prima persona singolare dentro la prima persona plurale composta dai suoi pari, dalla storia del rap romano, dei Cor Veleno con cui dialoga («E non puoi fare altro che accetta’ la sfida/E c’hanno ragione i Cor Ve’, è già imbastita») e dall’ascoltatore che viene spesso apostrofato come se gli stesse parlando direttamente.
Il dialogo aperto su più fronti mette le fondamenta per costruire il primo nucleo di comunità di chi ascolta Gem; in questo tape troviamo le origini della sua fan base e un’esemplificazione di come si costruisce una comunità di ascoltatori.
Che cos’è il rap?
Accanto ai brani più personali come “Dove Sto“, “Daydream“, o nei secondi capitoli delle sotto-saghe “Superman” o “Sperare” (in cui emerge il lato più empatico di Gemitaiz che mi attirò e mi fece sentire compreso) dove il rapper comunica i suoi stati d’animo e fa comprendere l’amore nei confronti del genere, sono presenti canzoni in cui Gemitaiz spiega chiaramente la sua visione del rap.
Forse è questo uno dei punti più cruciali di tutto il mixtape: in un momento storico in cui il rap italiano fa fatica a ritrovare una sua dimensione, più che mai serve qualcosa che metta bene in chiaro la sua forma e i suoi punti forti. L’azione più forte da poter fare è far trasparire tutti i lati distintivi del genere e dell’oggetto culturale del mixtape.
Frate’ nel rap conta la merda non le dimensioni
Gemitaiz – Riflessioni feat. Blackout (“Quello Che Vi Consiglio Vol. 2”, 2010)
Esprimere quello che vedi con le rime e i suoni
Nei brani come “Fire” spiega indirettamente il suo concetto di rap, in “Faccio Questo pt.2” (con un feat di Emis Killa memorabile) oltre a sottolineare la sua dedizione, il rapper mette in evidenza la difficoltà di comprendere il “beat jacking” in Italia, in brani come l’appena menzionato “Riflessioni” o “Fanculo Al Mondo” invece spiega COME si fa il rap:
Il rap arriva dove non arrivano le parole
Gemitaiz – Fanculo al Mondo (“Quello Che Vi Consiglio Vol. 2”, 2010)
quando vengono lasciate sole
Ma con le note e l’intonazione
riesco a darti prova di ogni buona azione
“Tribute pt.2” è il culmine del processo appena posto all’attenzione: un brano con l’intro e una sola strofa in cui vengono nominati 42 artisti e gruppi rap, in negativo e in positivo, che hanno formato l’artista, come li ascolta (senza preoccuparsi se siano East o West), in cui fornisce un vero e proprio dietro le quinte della sua palestra musicale che, rispetto al primo volume, ha dato i suoi enormi frutti; la maggiore dimestichezza del rapper è palese, come le strofe, ora più cesellate e a loro agio sui beat.
Il salto di qualità sta proprio nel saper rendere concretamente quanto diceva nell’attacco di “Tribute“:
Frate’ io faccio sta musica perché rispecchia la vita mia
Gemitaiz – Tribute pt.1 (“Quello Che Vi Consiglio vol.2”, 2009)
Quando la sento mentre fumo dieci canne a sta scrivania
Questo suono sporco che si ripete e che dà quasi mania
Questo basso, questi tz tz tz tz tz, sono la vita mia
In “Quello Che Vi Consiglio vol. 1“, come ci ha detto Giord, Gemitaiz ha fatto l’azione di dare dei consigli verticali, funzionali a calarsi nella cultura, in “Quello Che Vi Consiglio Vol. 2”, dopo aver fatto un ulteriore scalino, potenzia il messaggio del primo volume spiegando il rap e le sue modalità, dando alla luce un vero e proprio testimone da poter affidare ai posteri.
Un progetto che, se ascoltato in giovane età come è successo a me e molte altre persone della mia generazione, spiega un genere, educa all’ascolto tramite tutti i crismi originali di un mixtape: le host con annessa traccia del “padrino artistico” (“Can’t Understand” di Canesecco), l’importanza del featuring dato a chi ha meno visibilità, l'”hustling” del “beat jacking“, l’esercizio di stile, il remix, la ghost track come ricompensa a chi acquistava la copia fisica sostenendo il movimento indipendente, ma soprattutto, la non-mistificazione della propria vita, portando alle orecchie di chi ascolta un racconto verosimile, condivisibile, identificabile.
Forse figlio del suo tempo, aderente ad una generazione che ha potuto apprezzare il progetto perché contingente al momento, ma un ottimo esempio di forte identità artistica; un progetto che suggerirei anche a chi inizia a fare il rap oggi per capire da dove poter partire.
Acerbo, imperfetto, storto, perfetto nelle sue imperfezioni in un momento in cui il rap stava andando verso la sua prima fase di “plastificazione”. Magari non adatto per affermarsi, quello sarà il ruolo del terzo volume, ma perfetto per rimanere nella memoria di chi, come me, necessitava di “una seconda porta” per poter entrare in un mondo tanto grande e tanto complesso.
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