“60 Hz II” è un’ode all’Hip-Hop. Una sana celebrazione nel senso più puro del termine, di quelle che dovrebbero solamente riempire il cuore senza divisioni e polemiche. Ma alla gente la musica non basta più.

Dj Shocca scompone, assembla e dà vita nuova a un disco di oltre vent’anni fa facendolo suonare attuale, pur rimanendo sempre grezzo a modo suo. L’Intro del disco, che dà nome al progetto (o forse è il progetto che dà il nome all’intro), è solo la prima opera che nasce dalle ceneri di citazioni passate, le quali da polvere si ricongiungono con qualcosa di più solido, sostanzioso e compatto.
Dj Shocca (ri)chiama in causa “Fat Joe’s in Town” di Fat Joe, oltre ad altri frammenti di KRS-One, A Tribe Called Quest, Notorious B.I.G. e via dicendo. Il beat respira, Dj Shocca lo riempie di scratch e stende un tappeto rosso per l’entrata di Mistaman, seguito poi da Ghemon, Stokka, Frank Siciliano e Madbuddy. Insomma, come detto in “Ghettoblaster” e ripreso nella Posse del collettivo: “Unlimited Struggle su di una spanna / il suono originale non si affanna”.
Subito dopo si presenta la riproposizione uno dei classici del rap italiano. I Club Dogo tornano a fare il delirio: oltre vent’anni dopo, con lo stesso ritornello, Dj Shocca sceglie di regalarci la parte due di “Rendez Vous Col Delirio”.
Poi c’è Neffa, dopo ancora Primo Brown, poi “Notte Blu II”. Lungi da me sottovalutare brani, ospiti o altro; ma, onde evitare che l’articolo diventi troppo didascalico, preferisco riassumere brevemente ciò che avrete già capito: il disco spacca, e non poteva essere altrimenti.
Non poteva essere altrimenti perché, come già ampiamente affrontato in articoli precedenti, l’effetto nostalgia e la riproposizione del passato è sì un terreno scivoloso, ma il più delle volte è considerabile una sorta di porto sicuro.
Dipende dall’autore: Sfera Ebbasta è stato distrutto per aver osato annunciare X2VR, poi gran parte di quelle persone si è ricreduto in un certo senso; DJ Shocca invece è stato acclamato come il ritorno del messia (giustamente). Shocca era già tornato con “Sacrosanto”, ma il nome di 60 Hz ha un’aura che non si può pareggiare facilmente.
Non poteva essere altrimenti, dicevamo. Abbiamo discusso tanto in redazione in merito al disco, ma una riflessione stimolante secondo me l’ha fornita il buon Alessio: “Il rap italiano ha un grande problema con l’iconicità. A partire dall’essere la parte due di qualcosa di così iconico giochi su un terreno potenzialmente fatto di qualche sabbia mobile nascosta, ma moderatamente sicuro. In un certo tipo di ambiente del rap italiano non si riesce a fare il passo successivo e creare qualcosa di nuovamente iconico”.
Il discorso è sacrosanto (non l’album), ma non è imputabile a Dj Shocca. L’operazione che porta alla parte due di “60 Hz” non è sacrilega, l’autore maneggia con cura i reperti del primo disco, li trasporta oltre vent’anni dopo con il massimo rispetto, come si dovrebbe trattare un figlio.
Gli stessi featuring sentono l’importanza, riconoscono il valore. Questa seconda parte è una celebrazione per il grande pubblico, una riproposizione in chiave moderna di un’opera che ora ha un pubblico maggiore da raggiungere.
Dj Shocca aggiunge un pizzico di novità, senza perdere credibilità. Gemitaiz, Ernia e Izi si uniscono a rapper con almeno due lustri di carriera in più sulle spalle, a volte anche di più. Sono rapper credibili, che mettono d’accordo più generazioni, soprattutto le nuove.
Guai però a pensare che, solo perché si tratti della parte due di “60 Hz”, non ci sia dell’iconicità in questo disco. Infatti, al suo interno troviamo uno dei brani più bell’ dell’anno: sto parlando di “Giorni di Piombo” con Inoki e Danno, un brano che, neanche a farlo a posta, è una continua celebrazione a pesi massimi del genere in Italia, ma non solo. Di seguito un estratto per rendere l’idea.
“Armaci”, come ha detto Noyz Narcos
Dj Shocca – “Giorni di Piombo” ft. Danno & Inoki (60 Hz II, 2025)
Poi dacce il potere e chiamaci subcomandante Marcos
“Devi essere una tigre”, me l’ha detto Primo
“Guagliò, che te ne fotte”, me l’ha detto Pino
Che Dio è ‘na sola me l’ha detto Vasco da bambino
E mo fanculo tutti escluso il cane come Rino
Non c’è nulla che si deve chiedere a 60 Hz II se non essere quello che effettivamente è. Non serviva una rivoluzione culturale, o una rinascita – come ha spiegato bene Lucci sulle sue storie Instagram -, ma un genuino e malinconico back in the days che non fosse solo per i nostalgici, ma anche per i giovani più curiosi.
Io penso che la rinascita culturale del rap stia già avvenendo grazie alle seconde o terze generazioni. Sta prendendo una forma molto diversa dal rap mio e di quelli su “60 Hz”, e forse non si rivolge neanche a noi. “60 Hz” è un disco che non credo abbia l’intenzione di rivoluzionare un genere, è più la celebrazione di un modo di fare rap che è della nostra generazione, un dire “oh noi siamo fortissimi e abbiamo un posto importante in questa roba”, dimostrare che c’è spazio anche per “noi” (mi ci metto in mezzo anche se non sono nel disco). Ma le rivoluzioni in politica le fa la borghesia, nella musica i giovani. Soprattutto quelli incazzati.
Lucci su Instagram
Il rap è cambiato, ma c’è ancora spazio per dischi come questo. Il primo capitolo era uscito nel 2004, in un periodo delicato per il rap italiano. Erano gli anni di Mr. Simpatia, Mi Fist, Chi more pe’ mme, e via dicendo. Gli anni di un rap con al centro l’autoreferenzialità, prima di arrivare al grande pubblico in una forma diversa.
“60 Hz II” invece è uscito in un periodo in cui il rap è all’apice del suo successo, anche se molti continuano a ripetere che dopo l’apice c’è sempre il declino. Shocca ritorna dopo che anche i Club Dogo, Neffa e i Co’ Sang hanno scelto di farlo. Lui intanto è rimasto a guardare la scena scomporsi, ricomporsi e mutare.
E intanto la gente litiga, esprime la propria opinione, sentenzia sulle opere del prossimo. “60 Hz II” è un disco che ha una struttura solida, con un nome tanto grande che non gli consente di avere una vita dislocata dal primo.
Ma come ogni organismo autoctono, la frequenza di Shocca si è evoluta in un ambiente fertile come non mai, almeno come numeri. E se davvero con il pubblico di oggi è “difficile spiegare quando scrivere è un’urgenza”, dovremmo tutti contribuire a renderlo più facile.
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