Caparezza ha fatto uscire il suo nono album ufficiale e, come in ogni progetto, riesce a superarsi, a migliorarsi e a conferire nuovi dettagli alla propria musica. “Orbit Orbit” nasce come un omaggio al mondo del fumetto, in quanto ogni canzone corrisponde a uno dei capitoli dell’omonimo libro-fumetto, che l’artista ha presentato al Lucca Comics and Games di quest’anno.

Non si tratta solamente di un omaggio al comic universe, si tratta di un qualcosina di più; infatti, l’album è composto di una miriade di riferimenti al mondo del fumetto e ai fumettisti al punto tale da poter essere considerato un vero e proprio portale per questo mondo.
Un disco portale che non solo ci porta nei mondi del fumetto, ma che mischia a questi mondi di fantasia elementi della realtà, cioè verie e proprie stelle, nebulose e parti dello spazio.
“Orbit Orbit” riesce a fondere reale e immaginario creando un universo autoconsistente. Ma prima di guardare più da vicino il disco, facciamo un passo indietro e guardiamo sia all’uomo sotto l’artista, sia alla sua carriera e al modo in cui si è evoluta la sua musica poiché è uno dei temi a cui Caparezza tiene di più.
La trilogia e la scrittura
Negli ultimi anni si è parlato molto del rap adulto e maturo di Marracash e del modo in cui è riuscito ad elevarsi sopra i propri colleghi a livello di tematiche, liriche e riferimenti. Marracash è riuscito a creare una trilogia di album che si è conclusa con “È finita la pace”, il quale ha rappresentato un processo di evoluzione e sviluppo della sua scrittura, ma anche del suo modo di fare musica, spostandosi verso ritornelli più cantati e più melodici, facendo storcere la bocca a molti fan e puristi.
Caparezza conclude pochi mesi dopo dall’uscita dell’ultimo progetto di Marracash la propria trilogia con “Orbit Orbit”. Il capitolo iniziale è “Prisoner 709”, mentre “Exuvia” è il capitolo intermedio. Questo non per fare un confronto tra le due trilogie, ma solo per sottolineare come l’impegno verso un progetto più longevo di un singolo, di un ep, o di un solo album rappresenti uno sforzo che trasforma l’artista stesso nel mentre lo compie e cerca di portarlo a termine.
Ci sono due livelli da poter considerare: uno riguarda i temi trattati e sviluppati nel percorso artistico; mentre il secondo livello è quello biografico, in cui l’artista affronta questioni personali e decisioni riguardo la propria carriera musicale.
Nel caso di Marracash, Fabio Rizzo ha affrontato la depressione come emerge bene, soprattutto nel capitolo intermedio “Noi, Loro, gli altri”; mentre Caparezza a livello biografico ha dovuto confrontarsi e imparare a convivere con l’acufene, che nel tempo si è trasformato in ipoacusia.
Proviamo brevemente a riassumere la trilogia e ciò che rappresenta per l’artista a partire però dall’album ancor prima di “Prisoner 709”, vale a dire “Museica”. Un album sulla storia dell’arte dove Caparezza raggiunge quello che potremmo definire l’apice del suo manierismo, fatto di metriche serrate e numerosi giochi di parole. Possiamo dire che “Museica” rappresenta per l’artista un punto di partenza che ha dato vita al primo capitolo della trilogia.
Come racconta nell’intervista a Basement, il rapper di Molfetta si è voluto intenzionalmente liberare da un certo tipo di scrittura e di approccio alla propria musica, che egli stesso definisce come una specie di coltre, barriera, che impediva a Michele di poter comunicar qualcosa di più diretto, di più emotivo e perché no, di più poetico.
Quindi a livello artistico la trilogia ha come incipit questo tentativo di fuggire dal proprio modo di fare musica, il tema di “Prisoner 709” tratta della musica di Caparezza che cerca di fuggire, di evadere da sé stessa.
“Prisoner 709” è già l’inizio dell’evoluzione, le canzoni non sono più tematiche ma hanno un testo più personale e gli immaginari che Capa riesce a creare diventano più vasti. Caparezza riesce a piegare le sbarre che si è creato con il tempo, mentre a livello biografico egli ci racconta dell’insorgere dell’acufene con il brano “Larsen“.
“Exuvia” è la trasformazione, è la transizione verso un nuovo Caparezza, in cui le tematiche si fanno più sfumate e i testi in relazione alle tematiche trattate nei brani si fanno meno didascalici. L’exuvia è, infatti, la carcassa dell’insetto che cambia pelle, è un qualcosa che rimane vuoto dopo la trasformazione, è la transizione.
Non a caso il titolo iniziale che Capa aveva preso in considerazione per il secondo capitolo della trilogia era “In mi selva”, proprio a rendere l’idea di uno sfaccettarsi di concetti e racconti che riguardano Michele in prima persona, più che i tecnicismi di un rapper dalla voce stridula.
Sempre nell’intervista a Basement, Caparezza rivela come all’uscita di “Exuvia” ha improvvisamente scoperto della malattia, portando l’artista ad un’ulteriore scelta, che si è fatta sempre più pesante e importante: – continuare a fare musica rischiando di peggiorare ancora di più, oppure lasciarla per amore di chi gli sta attorno?
La risposta e la risoluzione alle sofferenze di Caparezza giungono con il terzo e ultimo capitolo, dove l’immaginazione è la scelta che salva l’artista e la persona, di fatto “Orbit Orbit” è realizzato interamente dopo la scoperta dell’ipoacusia.
“Orbit Orbit”, infatti, è ispirato dal mondo dei fumetti, il mondo dell’immaginazione per eccellenza, proprio perché è grazie a questa arte che Caparezza ha ritrovato la via per la musica e per rendere nuovamente concreta la propria immaginazione.
Lo Space Calling: il cosmic-rap di Caparezza
Possiamo dire che questo nono album è la coronazione di un percorso, una tappa artistica in cui il rapper porta a compimento la meta-riflessione sulla propria musica, cioè sul modo in cui farla.
Una trilogia che rappresenta il cambiamento e che lo immortala come pochi sono riusciti a fare prima di lui. Caparezza è stato capace di uscire fuori da sé stesso e il viaggio astrale di Orbit è la creazione di un vero e proprio universo autoconsistente, in cui ogni canzone non solo è racconto personale ma è anche un caleidoscopio di riferimenti che permettono una perfetta complementarità tra Concetto e Forma.
La voce di Capa si fa meno stridula, meno caustica e più personale, il quotidiano di un rapper di 50 anni viene spettacolarizzato, ma mantenendo un marchio di realtà che è dato proprio dalla normalità di Michele che emerge di canzone in canzone: «Mi consigliano una compressa / la mando giù e sto nel chill tipo Buddha bar». Una normalità che nel momento in cui viene rappata, messa in rima ha un effetto liberatorio sull’ascoltatore, come dice in “Come la musica elettronica”: – «Per fortuna sono vecchio».
L’immaginazione lancia Caparezza nello spazio e tutto l’album è un space-comic-opera in cui viene celebrata la libertà artistica di poter creare e dire quello che si vuole fuori dalle contemporanee logiche commerciali e algoritmiche.
Track by Track
“Fluttuo, orbito”: l’album inizia con una scena estatica in cui Caparezza fluttua fuori dagli schermi, fuori dall’atmosfera e inizia il proprio viaggio spaziale cioè il proprio space calling. In altre parole l’immaginazione lo porta in un viaggio astrale.
“Il pianeta delle idee”: il protagonista nella sua esplorazione fantastica si trova ad esplorare un pianeta sconosciuto dove si imbatte in strani esseri eterei che identifica come le idee. Quest’ultime come spiriti chiedono a Caparezza di conferirgli corpo, di dargli realtà, ma tutte assieme non gli permettono di capire cosa deve fare…ed è così che capisce a quale idea dare corpo tra le altre.
“Io sono il viaggio”: Dopo la visita al mondo delle idee il protagonista ha l’epifania per cui realizza che lui stesso è il viaggio, perché non ci sarà mai un traguardo finale, non ci sarà mai tregua alle messe alla prova da parte della vita. È proprio nella presa di coscienza di questa fatica perpetua di esistere che Caparezza trova l’appiglio per continuare a fare musica e a viaggiare con la propria immaginazione.
“Darktar”: è un personaggio, una parte della personalità di Caparezza stesso che gode della propria ostinazione a sentirsi una vittima. Darktar è un personaggio che prova piacere nella propria autocommiserazione e che come i buchi neri inghiottisce tutto ciò che di positivo ha attorno. Il brano deve rappresentare la parte più buia e difficile dello stato d’animo dell’artista nel suo processo di creazione, del suo sentimento d’impotenza di fronte alla propria condizione. Da questo anfratto buoi dell’essere il protagonista si risolleva grazie al meraviglioso mondo dei fumetti
“A comic book saved my life”: Una delle tracce più belle di tutto il progetto, è uno spezzone della vita personale di Caparezza e del suo amore per il fumetto, che s’intreccia con l’amore per la musica e per tutti quei musicisti che sembravano essere usciti veramente da un fumetto piuttosto che dalla realtà. Qui si può toccare con il nostro orecchio la maturazione artistica di Caparezza.
“Il banditore“: è la prima cover mai fatta da Caparezza all’interno di un suo album. La canzone è del cantautore pugliese Enzo del Re ed è composta dalle onomatopee dei fumetti, cioè è fatta solo di suoni come un’opera teatrale Futurista o Dadaista. Il banditore è la novità del fumetto.
“Autovorbit“: è la trascrizione dell’inglese out of orbit. Il pezzo è come un manifesto sulla visibilità, sull’esposizione di un artista e a Capa preme dire che a lui non piace stare al centro dell’attenzione. Il pezzo richiama il lato critico e caustico del vecchio Caparezza, che infatti se la prende con coloro che gli chiedono quando torni. Riconquistata l’ispirazione artistica il rapper di Molfetta ci tiene a precisare che non è uguale agli altri MC, perché preferisce stare nel suo angolo come un piccolo geco, preferisce l’assenza all’esposizione.
“Curiosity (oltre il bagliore)“: Caparezza riprende il nome del robot/rover lanciato su Marte dalla Nasa e il brano è la celebrazione della curiosità come motore della cultura umana. Sembra che l’immaginazione e la curiosità siano due cose profondamente intrecciate e infatti, il ritornello suona come una sorta di preghiera nei confronti di stelle ben precise e visibili dal pianeta terra, come ad invocare un dialogo con loro per scoprire l’ignoto prima di morire.
“Gli occhi della mente“: Brano costruito sul sample di Delirio, un brano degli anni ’70 di Gianni Morandi. Il brano in sé riconferma l’adesione e la convinzione di Caparezza a ricoprire il ruolo del rapper. Cosa che non emerge unicamente dal palese utilizzo del campionamento, ma che si ritrova all’interno del testo stesso.
Si, perché Caparezza per la prima volta cita Neffa nel periodo dei Sangue Misto, dando una versione del tutto inedita dell’incipit “Quando andavo a scuola da bambino…”. Questo non solo dimostra che Capa si sente al 100% un rapper ma che ha anche un profondo rispetto per la cultura e la storia del genere in Italia.
La traccia in sé è il contraltare di Curiosity e ci mette in guardia dalle fantasie a cui può capitare di credere seppur prive di fondamento.
“Come la musica elettronica”: è un brano che esalta la propria normalità, la propria età avanzata e che disinnesca l’ansia di essere vecchi.
“The NDE“: il titolo del brano si riferisce al viaggio dei viaggi cioè alla near-death experience cioè l’esperienza premorte. In questa esperienza è la musica stessa ad essere il corpo da cui Caparezza si allontana: “la musique è il mio corpo”. Forse il riferimento è sempre verso quella scelta che si è fatta sempre più grande per l’artista cioè continuare o non continuare a fare musica.
“Pathosfera”: In questo pezzo Caparezza è come un corpo celeste che fuoriesce dalla pathosfera cioè la sfera dei sentimenti, delle emozioni e delle passioni. L’artista si trova tagliato fuori dall’empatia, dalle emozioni perché a una certa età è la ragione, la razionalità che prende il sopravvento su tutto il resto, facendo sembrare tutto monotono. La canzone però è anche un’invocazione per tornare dentro la pathosfera perché il pathos è necessario per essere umani.
“Cosmonaufrago”: è la ballata dell’astronauta che riassume un po’ tutto il percorso compiuto da Caparezza, un riassunto del suo confronto con la libertà artistica e la chiusura di un cerchio aperto con “Prisoner 709”. Nel ritornello viene menzionato il filosofo Kierkegaard, forse, uno dei massimi esperti di scelte radicali ed esistenziali, che come Caparezza ha riflettuto su come ogni scelta si trasformi da libertà a gabbia e come non si possa che accettare con rassegnazione tale destino.
“Perlificat”: “Io sono un’ostrica, il mondo è il mio parassita, l’avvolgo nell’inventiva ne faccio una perla liscia”, non credo ci sia molto altro da aggiungere.
Conclusione
Caparezza è un rapper al 100% e rispetto a molti altri colleghi riesce sempre a creare storie, personaggi e veri e propri universi. Ascoltare “Orbit Orbit” dall’inizio alla fine è come guardare un’opera-rap, che è sicuramente più vicina al teatro-canzone di Giorgio Gaber che al rap di strada, ma la capacità di un’artista di spaziare e allargare gli orizzonti di un genere non deve indurci a escluderlo o a porlo su un piano separato. Ascoltare Caparezza magari non ci porterà a scoprire nuovi rapper ma sicuramente ci farà scoprire interi mondi.
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