Recensione di Farsi male A noi Va bene
Erano i giorni seguenti l’annuncio del nuovo album e io discutevo di questi ragazzi con un amico quando rimasi sorpreso da un’affermazione che fece, tanto assurda quanto degna di riflessione; non so quale dei due aspetti mi colpì di più.
In sostanza, aveva paragonato i Bnkr44 ai Brockhampton.
Ma perché mi aveva stordito così tanto? E soprattutto perché è la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho iniziato a scrivere?
I Bnkr44, un po’ come il gruppo americano precedentemente nominato, è composto da artisti interscambiabili tra loro, simili ma opposti allo stesso tempo e anche se hanno iniziato da tempo a costruirsi un’identità ancora non riesco a catalogarli. Grazie al cielo.
“Farsi male A noi Va bene” è un album che non ha una direzione preimpostata, ti trascina con sè, anche se fino alla fine non hai idea di quale sia la meta, ma è una sensazione fantastica. Melodie e strumentali malinconiche fanno da filo conduttore, una malinconia tremendamente pop e che ti fa muovere la testa.
Farsi male A noi Va bene è stato diviso in tre pezzi e da quel momento non riesco a non leggerlo così:
Farsi male
A noi
Va bene
Non ha più senso così? Eppure mi sembra un controsenso. È importante concentrarsi sui tre aspetti, concentrarsi sui dettagli che ci sfuggono a primo impatto. Questo è un disco a tratti da discoteca, un disco da suonare in spiaggia davanti al falò, un disco da cantare in macchina a squarciagola ma anche da ascoltare nella macchina parcheggiata, mentre con il finestrino abbassato si alterna un tiro di sigaretta a uno sbuffo annoiato. Un disco fatto di immagini e suoni, complicato da spiegare a parole e se dovessi farlo in poche parole userei il termine “Indie”, usurpato fino alla morte ma che è in grado di rendere l’idea, perché è più facile spiegare per stereotipi che rendere le cose complicate.
Aggiungerei un MA gigantesco (il caps lock non è messo a caso), spiegando come sia sì melodico all’italiana ma anche alternativo come se non facesse parte del Bel paese.
Il disco alterna strumentali più dance ad altre più tristi ma non sono mai statiche e scontate, un’ecletticità che li rende in grado di potersi rendere pionieri di una “rivoluzione pop” (come li hanno definiti in un articolo di Rolling Stone) per un pubblico, ad oggi, ancora un po’ di nicchia. L’indefinibilità del loro stile creata da un contrasto di sentimenti diversi è indubbiamente il loro punto di forza, ma è innegabile che la malinconia sia quella prevalente, nonostante le basi spesso eccentriche e fuori dagli schemi. È giusto così, è la loro ricetta. Perché sappiamo tutti che
Farsi male
Ogni tanto
Fa anche bene.
Di Simone Locusta
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