“Disco incommentabile”, “Niente da dire. è il migliore come sempre”,” Non farà lo stesso successo di Playlist” “AHaH FlOp è uN FlOp”, “Genio”: questi sono solo alcuni dei commenti raccolti in giro per il web dopo la pubblicazione di “FLOP”, il sesto album ufficiale di Salmo, uscito il 1° Ottobre 2021 per Machete e Columbia & Sony.
Considerando il personaggio “Salmo”, il tipo di fanbase e di ascoltatori, era quasi scontato immaginare una forbice di giudizio così ampia; difficile invece sarebbe stato prevedere l’opinione, discretamente diffusa, di avere davanti un disco non rivoluzionario, non innovativo e che non riesce nell’intento di comunicare qualcosa. Se Salmo ha fatto del cambiamento la sua cifra artistica, reinventandosi continuamente, cosa ha voluto reinventare questa volta? Cosa ha voluto comunicare?
Noi di Rapteratura, invece che fornirvi giudizi di gusto puramente soggettivi, abbiamo cercato di scovare una chiave di lettura da tenere presente per provare ad interpretare l’album e ciò che l’artista in questione ha cercato di dirci.
È il 17 settembre quando Salmo, tramite il suo profilo Instagram, annuncia che il 1° ottobre sarebbe uscito “Flop, il suo disco peggiore”. Pochissime trovate di marketing rispetto al vecchio disco: un listening party abusivo a Polignano a Mare, nei giorni successivi all’annuncio i soliti cartelloni pubblicitari per Milano e nel giorno dell’uscita del disco, il rapper, nella medesima città, dà vita a un’installazione in cui finge di farsi investire. In tempo zero, critiche a pioggia da parte dei giornali per quest’ultima trovata. Critiche: sono proprio queste che, a nostro parere, costituiscono il motore primigenio e il motivo dominante di Flop.
Partiamo dai featuring rilasciati da Salmo, da un anno a questa parte, nelle tracce in cui lo abbiamo visto e ascoltato come ospite: in ordine, “Cioilflow” di Dani Faiv, “Sparami” di Emis Killa e Jake La Furia, “PUSSY” della Dark Polo Gang, “Alex” di Gué, “CAZZO CULO” di Massimo Pericolo. In ognuna di queste tracce Salmo ha utilizzato metafore, paragoni e riferimenti a secrezioni corporee di ogni tipo, battute squallide e ammiccamenti a un umorismo di basso rango. Questa serie inedita di featuring, oltre ad aver scatenato una discreta ilarità generale e biasimo, ha fatto esplodere anche un innumerevole numero di meme diventati presto virali, utili a far circolare ancor di più il nome dell’artista, accostandolo ad un immaginario grottesco e indegno.
Il concerto ad Olbia in barba delle norme anti-COVID, la diatriba con Fedez in cui ha chiaramente detto di non aver partecipato al progetto “Scena Unita” per l’antipatia nei confronti di questo, le foto dei suoi organi genitali inviate alle modelle nei DM. Cosa ha comportato tutto ciò? Critiche, critiche e ancora critiche che sottolineavano quanto ormai il rapper avesse perso il senno mostrando il peggio di sé. Non soddisfatto, se il peggio di sé lo aveva fatto solo vedere, ora ha voluto farcelo anche sentire, incanalandolo tutto nel suo ennesimo disco, il peggiore che abbia mai realizzato.
Visti i pareri contrastanti su Playlist nonostante i successi raggiunti, cavalcando le opinioni negative, Salmo ha vestito i panni del cattivo, del villain, e ha realizzato un vero e proprio album che funziona al contrario, che mette in rilievo tutto ciò che un artista non dovrebbe fare, facendo trarre all’ascoltatore le sue conclusioni. Se prima le battute di spirito e i meme erano le frecce che lo bersagliavano, ora diventano le sue vele pubblicitarie e le armi comunicative che riutilizza anche all’interno del disco (es. CHE NE SO “Senza diamanti quanto brillo, sotto la maschera so Lillo”,). “ANTIPATICO”, la traccia in apertura del disco, rappresenta metaforicamente il momento di silenzio che c’è poco prima che il mago sveli il trucco: qui Salmo ricomincia subito in medias res e, senza introdurci in qualche modo nell’album, riprende a rappare come ha sempre fatto, lasciando intendere all’ascoltatore che il tempo di scherzare è finito e ora vuole attirare l’attenzione su quello che sta per dire.
Se nei precedenti dischi aveva reinventato i suoi generi musicali preferiti piegandoli in suo favore, qui invece di concentrarsi su un tipo di musica in particolare, intercetta e re-intepreta tutto ciò che il momento storico considera musica: l’indie, il pop, il rock nelle sue sfaccettature, la cassa dritta e l’Hip Hop sono le principali influenze. La grande quantità di generi musicali presenti, finemente mixati, contribuisce a rendere il disco variegato, permettendo a questo di farsi ascoltare tutto, senza avvertirne la pesantezza.
Innegabile è l’influenza musicale, e non, di Kanye West (es. YHWH sembra essere stata confezionata appena dopo l’ascolto di Yeezus e Donda): i featuring nascosti (Noyz, Marracash, Gué, Shari capaci di dare un contributo davvero importante), i deliri di onnipotenza, il parlare di Dio ma sentendosi un dio, come se il rapper di Olbia aspirasse a diventarne il corrispettivo italiano.
La scrittura di Flop, corposa seppur con eccessi di retorica, è diretta, mira alla comprensione semi-istantanea del messaggio.
Probabilmente Salmo non vuole più colpire la vecchia fanbase che si sentiva rivoluzionaria ascoltandolo ai tempi di “Un Dio Personale”. No. Questa volta il rapper vuole farsi comprendere anche dai potenziali nuovi ascoltatori. Dentro ci sono rime già sentite, citazioni a film non troppo di nicchia e riferimenti a situazioni del web che, se da una parte hanno il pregio di arrivare subito al mittente, dall’altra hanno il grande difetto di scadere di significato e di efficacia comunicativa nel tempo perché, rischiando di rimanere chiare solo a chi ha vissuto direttamente quel periodo del meme, cadranno in preda alla natura effimera dei contenuti social.
Oltre alla solita critica sociale (a tratti populista), alle frecciatine alla scena, alle ormai onnipresenti lovesong, ciò che Salmo vuole davvero comunicare in FLOP emerge con lo skit “VIVO” interpretato da Josafat Vagni. Lo skit, appositamente messo prima della title track, spiega bene come la ricerca del successo sia intervallata costantemente da grandi insuccessi e il superamento di questi è ciò che porta ad una realizzazione ben più grande. Il rumore della caduta sarà sempre più rumoroso del momento della conquista, che arriva spesso in sordina. La vittoria, o il raggiungimento di un obbiettivo, vengono conseguiti di rado con colpi di fortuna e quando avvengono con tali modalità, saranno difficilmente replicabili. Se però l’autore dei successi continua a rimanere sulla cresta dell’onda, allargando sempre di più il proprio cerchio di ascoltatori, significa che c’è stato un superamento di prospettiva etica che travalica il giusto e lo sbagliato in favore di una mentalità capace di far collimare le proprie intuizioni sulle categorie del “produttivo/improduttivo”.
Riassumendolo semplicemente: se dopo anni di carriera Salmo sta ancora in vetta, c’è più di un motivo.
Racchiudendo tutto il peggio di sé nella musica (Non dirmi che è tutto okay, per me non lo è stato mai/
Cerco sempre un buon motivo per complicare tutto/E se penso a quanto ho speso per fare un disco brutto/È okay” “FLOP!”), Salmo ha re-inventato e musicato in maniera trionfale il fallimento, in primis il suo, dando vita ad una colonna sonora per le debolezze, per gli sconfitti, per chi viene criticato.
Con un album che gira in senso antiorario, che descrive il buono in maniera antifrastica, evidenziando il marcio, Salmo in FLOP ha palesato la sua parte più brutta, ha bruciato sulla piazza pubblica ciò che c’era di più sbagliato del suo personaggio dandolo in pasto agli ascoltatori, in attesa di purificarsi grazie al bagno della folla dei concerti, in cui tutti, all’unisono canteranno in coro tutte le bruttezze dell’autore.
Se il flop di Salmo ha fatto così tanto rumore da arrivare a dare vita ad un disco, significa che l’apice imperitura del successo, giungerà con il silenzio più lungo di tutti.
Di Riccardo Bellabarba, con l’aiuto di tutta la redazione di Rapteratura
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