In seguito all’avvento dello streaming come principale mezzo di fruizione della musica, è impensabile scindere il binomio che lega gli artisti ai social network. I vantaggi più grandi costituiti da questo trait d’union sono l’abbattimento delle barriere e delle distanze tra le varie scene mondiali e, soprattutto, il sistema di scelta apparentemente più democratico e meritocratico rispetto al precedente, legato direttamente ed unicamente ai passaggi in radio e nei canali televisivi. Sulla base di ciò, nel nostro Paese, fino ad allora colpito da una stasi logorante, abbiamo assistito ad un ricambio generazionale senza eguali che ha completamente stravolto tutte le logiche di mercato e che ha consacrato definitivamente il rap come il genere musicale trainante dell’industria nostrana; lo testimoniano le innumerevoli certificazioni che i rapper ricevono settimanalmente, quasi come fossero abbonati ad un periodico. Andando più nello specifico, prendendo come esempio la piattaforma di Spotify, i brani hanno un fortissimo riverbero se inseriti in determinate playlist con un enorme bacino d’utenza; tanto che potrebbero addirittura quintuplicare gli ascolti che farebbero senza di esse. Invece, considerando delle percentuali, secondo fonti RIAA, lo streaming costituisce circa il 75% del fatturato di un intero album.
Tuttavia, talvolta, i numeri sulle reti sociali non sono altro che un mero specchietto per le allodole poiché non coadiuvati e ricambiati dalla risposta del pubblico ai live, spesso ridimensionato rispetto alla nomea che aleggia attorno ad alcuni nomi. A tal proposito, potrebbe essere corretto chiedersi se i seguaci continuerebbero ad essere tali qualora, per uno strano ed assurdo motivo, dovessero sparire i siti utilizzati per pubblicizzare e pubblicare i dischi perché, di fatto, questi microsistemi hanno contribuito in maniera significativa – se non fondamentale – alla costruzione di numerose carriere. Attualmente, in opposizione al passato in cui My Space prima e Facebook poi facevano da padroni, l’applicazione cardine per divulgare i propri messaggi od aggiornamenti su prodotti in imminente uscita è Instagram, social inizialmente nato per la condivisione di sole fotografie ma esploso dopo l’introduzione dei video e delle cosiddette “stories”, che si autoeliminano nell’arco di 24 ore dalla pubblicazione.
I numeri, dunque, sono il principale strumento per la comprensione delle tendenze e dei gusti del pubblico; non di certo però il metodo unico per poter validare o meno la fattura di un qualsivoglia progetto ma anzi, essi possono provocare dei danni ad un artista che fatica a macinarne perché un ascoltatore potrebbe essere restio nel dare il proprio play ad un musicista che – per sua sfortuna – si trova ad ingrandire il database dei servizi di streaming e nulla più.
Per ovviare a tutto ciò, diverso tempo addietro, Kanye West – che di numeri ne colleziona a palate – propose, tramite un tweet, di cancellare o oscurare il numero di follower e like perché ciò avrebbe potuto condizionare il mondo intero ed annebbiarlo tramite un counter, che potrebbe anch’essere stato eventualmente artefatto o falsificato, facendo perdere pressoché a chiunque il valore delle parole se provenienti da un account poco seguito.
Sorprendentemente, nel mese di Luglio del 2019, Mark Zuckerberg ed i suoi collaboratori hanno deciso di lanciare un test su sul social dominante, ovvero Instagram : l’oscurazione dei like sotto alle foto ed ai video. Che sia un primo passo verso la rimozione totale dei numeri all’interno della suddetta applicazione ? Tutto è possibile e nulla è da escludere, ma questa non è la sede adatta per provare a fantasticare sulle future scelte di uno degli uomini più influenti al mondo. In che modo tutto ciò potrebbe dire la propria nel mercato musicale italiano ? Fare delle ipotesi è assai complicato perché per costituire un assioma esse necessitano di conferme tramite il metodo scientifico ma richiederebbe una gestazione decisamente lunga, ma fortunatamente ciò non impedisce di fare una disamina quantomeno verosimile. A primissimo acchitto, si potrebbe pensare ad un probabile quasi nulla di fatto nell’effettivo o altrimenti ad un calo drastico di interesse da parte degli utenti di Instagram che non potranno più inebriarsi tramite la collezione di apprezzamenti e di conseguenza una diminuzione di ascolti ai singoli od ai dischi che gli artisti pubblicheranno da qui in avanti; quantunque ciò, non vi è nulla di strettamente collegato perché potrebbe verificarsi uno switch mentale che porterebbe la maggior parte delle persone ad un uso sempre più oculato dei propri social, badando di più alla sostanza che alla forma e creandone il sinolo, che gioverebbe non poco anche alla qualità della stragrande maggioranza delle tracce future, senza depauperare le vendite dei rapper con un brand più legato all’immagine o magari premiando, di rimbalzo, coloro che decidono di inserire un po’ più di pathos.
Nel contempo, gli artisti già proiettati in un’ottica più internazionale, con grande probabilità, risentiranno minimamente di tutto ciò, aiutati anche dalle tendenze di YouTube o dalle varie playlist presenti su Spotify, mentre i musicisti non affermati o che compongono il sottobosco della scena attuale potrebbero sentirsi quasi ostacoli, potendo tangere solo in parte l’opinione dei propri followers. Gli stessi artisti, dunque, avrebbero molto più tempo per concentrarsi maggiormente sui dettagli dei propri asset, passando più tempo in studio che a fare le foto da postare, curando di più il lessico utilizzato nelle canzoni e conseguentemente portare al capolinea anche il rap inutilmente ed eccessivamente patinato costituente una farraginosa sovrastruttura, atto semplicemente ad illuminare gli occhi di tante spaesate giovani marmotte, che ha perso totalmente gran parte dei messaggi da veicolare sebbene siano le fondamenta di tale cultura.
L’estremizzazione sarebbe l’omissione delle chart – spesso e malvolentieri manovrate – e dei numeri visibili al pubblico in servizi come Spotify, Deezer o YouTube perché, in quel caso, si rivoluzionerebbe ogni tipo di percezione musicale pregressa, costringendo chiunque all’appuntamento settimanale della pubblicazione delle classifiche musicali da parte degli enti autorizzati per scoprire, come prima di internet, chi sta sulla cresta dell’onda.
Indipendentemente da come si concluderà questo esperimento, seppur in fase embrionale, ciò che conta è che porti un enorme giovamento alla scena rap e urban in generale ed alla qualità della musica, in modo da costruire un’industria musicale sempre più solida e forte, non facendo cadere nessun pezzo come durante una partita a jenga ma bensì per poter costruire dei grattacieli sempre più alti.
Nessun commento!