Il viaggio per l’essere umano è un’esperienza quasi trascendentale: si sa cosa si lascia, non si sa cosa si trova, le persone lasciate cambiano, tu che intraprendi tale percorso cambi. Tutto scorre, si modifica. Al ritorno nulla è più uguale, anche i rapporti che si avevano prima di partire sono differenti. Si generano nuove combinazioni, le numerose facce incostanti della realtà assomigliano ad un enorme cubo di Rubik irrisolto che ad ogni movimento dà vita ad una configurazione differente. La finestra da cui si osserva la realtà non è più la solita, cambia angolazione e cambia la prospettiva.
Matteo
Professione, in arte Ernia, sa cosa significa viaggiare. Dopo aver cambiato
stati, lavori, case e carriere, torna a casa, nel suo punto di partenza, il QT8.
Davanti a lui si prefigura una nuova scena rap, una nuova realtà, i suoi vecchi
compagni di adolescenza sono oramai paladini affermati della nuova wave.
Probabilmente qualcun altro sarebbe rimasto con le mani in mano e avrebbe
intrapreso un’altra strada.
Il motivo della sua partenza fu lo scioglimento del suo vecchio gruppo, la
Troupe d’Elite, nella quale militavano lui, Ghali, Maite e Fonzie Beat. Il
gruppo tanto giovane quanto incosciente, tentò di portare audacemente in Italia
il concetto dello “swag”, diffuso e ben radicato in America. Inutile descrivere
la reazione del pubblico italiano, che spaventato dalla novità, agitò i pugni
gridando alla corruzione dei valori hip hop e non si risparmiò nel lapidare la crew
che voleva solamente provare ad esportare in Italia un modo di pensare ben sedimentato
in America. Il gruppo si sgretolò come una barchetta di carta sotto una pioggia
di critiche, i rapporti tra di loro finirono e ognuno iniziò un suo percorso
individuale. Nel 2012 il collettivo veniva dichiarato musicalmente morto. Ernia
iniziò a il suo gran tour europeo, ma non da rapper, bensì da semplice ragazzo
in cerca di una maggiore conoscenza culturale e consapevolezza di sé. Nessuno
si sarebbe aspettato un ritorno del genere: dopo che il cacciatore feroce (il
pubblico) aveva sparato all’uccellino (la Troupe d’Elite, nel caso specifico
Ernia) giusto per il gusto di farlo, nessuno si sarebbe mai aspettato un segno
di vita da parte del piccolo e innocuo volatile, ma come per un inspiegabile
sortilegio di magia nera, l’usignolo è tornato in vita nel corpo di un corvo
affamato. Il tentativo del collettivo musicale non fu affatto vacuo e come un
ariete che sfonda i portoni dei castelli, si prese la pece bollente riuscendo
però a mettere la pulce nell’orecchio degli ascoltatori.
Con “No Hooks EP”, nel 2016, Ernia ha bussato alle porte della scena, ma con i due EP riuniti in un unico progetto “67/Come Uccidere Un Usignolo” ha definitivamente sfondato il portone simulando un’entrata di scena paragonabile a quella dello sceriffo che entra nel saloon di violenza scatenando il silenzio. Finito il periodo di assestamento e di rodaggio, dopo esser stato riconosciuto come uno dei giovani (classe ’93) più promettenti della scena, annuncia il suo album d’esordio, “68”, pubblicato il 7 settembre 2018, ma per poter scandagliare al meglio tale progetto e goderne a pieno, è necessario avere una panoramica completa che include anche l’EP supplementare “Till The End”.
Recensione di 68 di Ernia
La cover
dell’album, che è la rielaborazione di una famosa copertina della celebre
rivista di moda “Vogue” del 1950 realizzata da un artista dadaista (Erwin
Brumenfeld), fa capire tutto l’eclettismo che ruota attorno a questo progetto.
Il titolo dell’album non è scelto a caso, il 68 in realtà è l’autobus che
collega QT8, il quartiere di Ernia, al cuore pulsante di Milano.
Il disco si apre con “King QT”, (gli ascoltatori più esperti ha colto l’omaggia al brano “King Kuunta” di Kendrick Lamar), una traccia dai toni auto-encomiastici ma con una buona dose di critica sociale che riesce a far immaginare all’ascoltatore i toni che utilizzerà l’artista. La title track di 68 di Ernia proietta sul maxi-schermo un breve time lapse della vita di Matteo e tramite questo cortometraggio riusciamo a capire quanto sia stato formativo tutto l’itinerario che ha dovuto percorrere per arrivare al concepimento di questo disco. “Domani” è il brano che inizia subito dopo, e come un cameo a fine film, spiega quanto sia importante saper accettare la mutevolezza degli eventi senza farsi mettere al tappeto da essi, al contrario, prendendo ciò che di meglio si può carpire. Durante il viaggio nella sua 68 trova anche il tempo di raccontare anche una storia d’amore, al contrario però (“Tosse – la fine” e “Sigarette – l’Inizio), come se Ernia stesse parlando con un confidente e partendo dagli ultimi ricordi, arriva a quelli più lontani. Guardando fuori dal finestrino e vedendo il paesaggio scorrere, è inevitabile che le paranoie frutto di pensieri malsani riaffiorino continuamente, esse prendono completamente forma in “Paranoia mia” che spiega dettagliatamente lo stato d’animo generato dall’unione dell’insoddisfazione e dell’incertezza nonostante la rinascita artistica.
Ad intervallare i pezzi sopracitati ci sono brani come “Simba”, “No Pussy”, “Bro” (unico brano con il featuring in cui compare Tedua, il primo amico che iniziò a rappare con lui) e “QQQ” che spezzano il tono serio del disco e che portano una sana dose di ignoranza, di arroganza e di sfacciataggine espletate con sofisticati avvitamenti metrici degni di una penna abituata alla scrittura. La stessa persona che si chiede se nei suoi camerini ci sono ragazze cambia subitaneamente tono, e a mo’ di cantautore, in “Un pazzo”, ci racconta di come l’uomo ami principalmente per pazzia o per guadagno. Il disco si chiude con “La Paura” in cui racconta lo stato di inquietudine che ha vissuto nel momento precedente al suo rilancio e che di tanto tanto in tanto torna a fargli visita unendo a questa riflessione una serie di pensieri che lo tormentano vedendo il panorama italiano, chiudendo così il cerchio che aveva aperto all’inizio. Una serie di considerazioni alternate a rime ignoranti ma sofisticate si può pensare, ma se noi volessimo capire fino in fondo il concept e la crono-storia del progetto, basterebbe ascoltare il disco al contrario (in questo modo la love story combacia perfettamente) per rendersi conto di quanto sacrificio c’è stato per essere incoronato il King QT pronto a salire sul bus che lo porta nella Milano centro, dove sono stati e dove si trovano i rappers che contano.
Il viaggio di Ernia non è terminato, anzi, è appena agli inizi, ma sembra che la meta della Milano che conta sia stata raggiunta: il 7 Marzo 2019, a distanza di 6 mesi esatti dalla pubblicazione del disco, è riuscito a riempire l’Alcatraz di Milano senza svelare al pubblico l’identità dei suoi ospiti, contando sulla volontà dei suoi fan che si sono recati lì unicamente per ascoltare lui e il suo ultimo disco.
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Cover di “Till the End”
L’EP aggiuntivo “Till the End” non può che calzare a pennello dal momento che significa “fino alla fine”. Esso contiene sette nuove tracce, nessun remix, solamente nuovi brani con tre featuring: Nitro, Lazza e Chadia Rodriguez. Il tono dell’EP è molto più scanzonato e sfacciato di quello di “68”, lo dimostra la traccia iniziale che aggiunge un capitolo alla saga dei brani targati “Lewandoski” e il sesto atto è più sfacciato che mai, a dimostrazione del fatto che seppur sia arrivato il tanto agognato successo, dietro Ernia c’è sempre lo stesso ragazzo che voleva portare l’idea di “swag” in Italia. Grazie all’edizione deluxe la lista di brani maleducati si allunga: “Il mondo Chico” è un polemico attacco satirico in cui vediamo comparire anche Lazza che sopra i sample orientaleggianti dà sempre il meglio di sé (vedi “La canzone della settimana – Il Mondo Chico-). “Mr. Bamboo” ha attirato più attenzione per il featuring di Chadia Rodriguez che per le rime di ottima caratura presenti. La rapper è stata criticata dalla maggioranza per l’abuso di autotune e per il testo scritto da Jake la Furia, ma è necessario in questo caso riconoscere che la sua interpretazione riesce a dare al brano il tocco di ignoranza che non stona affatto con il contesto. Nonostante la preponderante presenza di quattro brani leggeri, non mancano brani più introspettivi, come “Certi Giorni” con Nitro, “Ti ho perso” e “Un sasso nella scarpa”. Nel brano conclusivo Ernia descrive un quadretto distopico ed estremizzato della scena rap attuale citando argutamente “La fattoria degli animali” di Orwell e una serie di allegorie mirate a pungolare l’assopita coscienza dell’ascoltatore invitato ad aprire gli occhi.
“Till The End” è l’ennesima dimostrazione di come Ernia, seppur sia arrivato a Milano centro, non è soddisfatto e vuole arrivare fino in fondo: il suo viaggio ora ha preso pieghe differenti e l’intenzione è quella di non fermarsi.
Anni di sconfitte e di insulti sono sbocciati in rabbia e rivalsa rivestite da un prezioso tessuto di rime che vanno ad equilibrare il lato sentimentale e introspettivo dell’artista reso ancor più sensibile dai torti subiti.
Quando era solamente un ragazzino, una delle sue tante bravate, fu proprio quella di salire sulla 68 con la Troupe d’Elite ma senza biglietto, infatti venne fatto scendere dal severo controllore (pubblico e industria musicale). L’arroganza e la sfacciataggine collimano con un grande senso critico che riesce a scandagliare la mutevolezza degli eventi, dando luogo ad un rapper con una grande coscienza di sé e di ciò che lo circonda.
Il prezzo del biglietto della 68 non è mai stato così caro per nessuno, soprattutto per Ernia, ma l’impressione è che gli amari anni di anonimato e di sbeffeggiamento stiano riportando i loro frutti.
Di Riccardo Bellabarba
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