Case popolari, popo, il quartiere, il blocco, le banlieues, e tanti altri sono i modi, nel mondo, di definirle.
Quando si parla di Hip Hop vengono nominati abitualmente i rapper, le crew, i producer, i dj, la musica stessa, e tutto ciò che riguarda la sfera artistica della disciplina musicale di questa cultura. Troppo spesso ci dimentichiamo che, oltre all’immagine che viene offerta al pubblico, esiste un nucleo dove tutto nasce; l’ecosistema da cui la scintilla dell’arte prende vita. Il contesto sociale padre e co-protagonista della musica rap.
È in questi luoghi che tutto ebbe origine.
La nostra storia inizia ormai cinquant’anni orsono. Siamo nei primi anni ’70, nel Bronx, famoso quartiere periferico di New York noto ai più per vicende legate alla criminalità, e, per passare le serate lontano dagli irraggiungibili locali del centro, la gente della comunità si riunisce guidata dalle sapienti mani di un DJ che concatena in rapida sequenza musica vecchia e nuova, dando vita ad un nuovo genere su cui la gente si inventa nuovi balli, disegna sui muri, e dà sfogo alla propria creatività a suon di battaglie verbali in rima.
Da lì, il nuovo fenomeno si sviluppa a macchia d’olio nel mondo, raggiungendo tutte le persone che condividono questa radice sociale e che si sentono finalmente parte di qualcosa, di un movimento capace di dare voce a chi voce non ha. Chi vive fuori dal mondo della città relegato a zone più misere e dimenticate dalle istituzioni.
Ma come hanno avuto modo di formarsi questi contesti?
Dobbiamo andare ben più indietro nel tempo, fino agli anni ’20, il periodo direttamente successivo alla Grande Guerra. L’Europa è economicamente in ginocchio e si cercano soluzioni per permettere ai lavoratori delle grandi fabbriche di abitare in case a basso prezzo, confortevoli e vicini al luogo di lavoro, solitamente sito lontano dal centro delle città.
In questi spazi, all’epoca liberi, tra zone industriali e residenziali, iniziano a sorgere interi quartieri destinati esclusivamente a questo scopo, dall’estetica essenziale a favore di una massimizzazione dell’efficienza economica.
Le prime città a proporre esperimenti di questo genere sono Vienna e Francoforte. Se nella seconda la soluzione ricorda i quartieri operai inglesi dell’800, con case basse a schiera, è nella capitale austriaca che assistiamo al primo vero “palazzone” così come siamo abituati a vederli nei video dei rapper. L’edificio in questione è il “Karl-Marx-Hof”, datato 1926-1930, e si tratta di una serie di condomini dai monumentali ingressi (voluti per conferire dignità alla classe operaia) che si chiudono a formare una corte coprente il 60-70% della superfice complessiva dell’isolato.
Da quel primordiale tentativo, questo stile architettonico prese via via piede in tutta Europa, venendo proposto anche da figure storiche come Le Corbusier, con la sua “Unité d’habitation” a Marsiglia (1947-1952) dalla capacità di 1600 persone suddivise in 300 appartamenti, edificata secondo un unico rettangolo in cemento grezzo, tanto grezzo e aestetico da conferire allo stile l’aggettivo di “brutalista”.
In Italia è il regime fascista che sceglie di muoversi in questa direzione, costituendo nuove divisioni del già esistente Istituto Autonomo Case Popolari dislocate in tutta Italia e seguendo i dogmi edilizi importati dal centro Europa.
I veri punti di incremento di quest’abitudine li troviamo nel boom economico degli anni ’60, in cui le fabbriche iniziano a lasciare spazio agli uffici al centro delle metropoli, e nell’urbanizzazione degli anni odierni, in cui sempre più persone scelgono di muoversi dalle aree rurali a quelle urbane, favorite dalle sedi di lavoro interne e non più esterne alla città e ai moderni e veloci mezzi di trasporto, implicando una riconversione dei territori agricoli e una diffusione disordinata dei centri urbani.
Un esempio italiano che rappresenta questa tendenza è il “serpentone”, Corviale, quartiere romano sviluppato su di un unico enorme palazzo situato nella zona sud-ovest della capitale, costruito tra il 1975 e il 1984.
Ma come questo, in Italia, ci sono tanti altri esempi. In ogni grande città si può vedere uno o più quartieri costruiti seguendo le linee guida scaturite da questo percorso. Quartieri da cui oggi escono i rapper delle nuove generazioni, come Scampia a Napoli e San Siro a Milano, patria della Seven Zoo, che prende il nome proprio dal luogo di origine (San Siro appunto, detto anche Zona 7). Ma anche andando a guardare città più piccole ci accorgiamo di come siano sempre presenti questi contesti come può essere lo Zen a Palermo, il quartiere Begato a Genova o, addirittura, in città molto più piccole come Udine il quartiere di via Riccardo Di Giusto. Purtroppo oggi hanno visto ulteriormente modificarsi la propria funzione, perdendo l’utilità di alloggio a prezzo contenuto per chi ne ha bisogno a favore di fenomeni di occupazione abusiva a cui le istituzioni, attualmente, non riescono a porre un freno.
Ogni città, per quanto piccola essa sia, avrà il proprio esempio di architettura derivante dall’edilizia popolare e dal “brutalismo”, differenziato per ricchezza della città e delle persone che vi risiedono, culture condivise, tradizione e dimensioni. Naturalmente, grandi città come Milano e Roma dove la popolazione è molto più grande avranno più quartieri di questo tipo o, tendenzialmente all’estero, più grandi, ne è un esempio il già citato Bronx di New York, divenuto ormai una vera e propria area metropolitana casa di più persone dell’intera Milano.
In questi contesti nasce e si sviluppa l’Hip Hop e, di conseguenza il rap come lo conosciamo oggi, la maggior parte delle volte sulla base di povertà e criminalità, spesso l’una la conseguenza dell’altra, che portano i ragazzi in una determinata direzione, da cui devono lottare per guadagnarsi un posto rilevante nel mondo, che gli permetta di uscire dal quartiere e di lasciarsi alle spalle questo microcosmo talvolta pericoloso, ma ugualmente capace di inculcare valori quali la fratellanza, il rispetto, la famiglia e di far scaturire virtù come l’ambizione e la determinazione, la cosiddetta “fame” che tutti i rapper di questa estrazione dimostrano di avere.
Tutto questo per dire che la nostra musica è stupenda, capace di arrivare a tutti grazie alla semplicità trasmessagli dalle persone semplici e dirette che l’hanno partorita, ma che sapendo da dove proviene può essere percepita e vissuta sotto un’altra luce. Perché la storia e le cause che ci hanno portati ad essere ciò che siamo oggi sono strumenti fondamentali per cogliere ogni sfumatura che c’è dentro, e dietro, la musica.
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