Autumn Beat, ritratto di una famiglia che cresce, si sfalda e si riunisce a ritmo di musica Hip Hop, sarà disponibile su Prime Video dal 10 novembre.
Quando il cinema incontra il rap italiano di seconda generazione (e chi lo ha influenzato)
È una Milano illuminata dal sole quella che mi ha accolta venerdì per la proiezione stampa della nuova produzione Prime Video, “Autumn Beat”. Una Milano frenetica, all’apparenza spaccata in migliaia di piccole realtà disconnesse, ma che, se le si guarda più attentamente, si scopre essere tutte legate l’una all’altra, in un rapporto di necessità reciproca. Così accade da sempre anche con la musica, col cinema e con ogni forma d’arte attraverso la quale veniamo a conoscenza delle storie degli altri e condividiamo la nostra. Autumn Beat porta sul grande schermo questo legame simbiotico, dando ad ogni parola scritta nel libro (“Qui è rimasto autunno”), da cui il film è tratto, un’immagine firmata Prime Video e una voce, quella dell’hip-hop di Paco, Tito, ma anche di Guè, Ernia e Sfera Ebbasta.
Si tratta di un debutto a tutto tondo: la prima volta in regia di Antonio Dikele Distefano, noto per i suoi numerosi romanzi, ma soprattutto per essere il direttore della rivista digitale di musica e cultura urban Esse Magazine; nonché, il primo tentativo di rappresentazione sul grande schermo del rap italiano di seconda generazione. Per “rapper di seconda generazione” s’intendono tutti quegli artisti, fra cui Ghali, Laïoung, Tommy Kuti, ed Epoque, nati e cresciuti in Italia, ma che si sentono come stranieri a causa delle origini delle loro famiglie e che hanno trovato nella musica rap un potentissimo mezzo per poter raccontare il razzismo, i pregiudizi e la sofferenza della marginalità.
Lo stesso Abdoul Razak, in arte Abby 6ix, che interpreta il ruolo di Paco in Autumn Beat, si sente parte di questa condizione: “Il rap è tutto quello con cui son cresciuto – mi racconta al Palazzo del Cinema Anteo, dove ho avuto l’occasione di farci due chiacchiere –. Faccio rap per questo, perchè è quello che conosco, perchè è il genere dei meno fortunati, e da sempre dà una voce a chi non ce l’ha”.
Autumn Beat è un progetto nato proprio con tale obiettivo: portare al cinema una realtà mai raccontata prima, in una Milano inedita (a tratti eccessivamente americanizzata e un po’ scontata), di una famiglia nera seguita nell’arco di tre generazioni. Scritto assieme a Massimo Vavassori, narra la storia di due fratelli, Tito e Paco, uniti dalla stessa passione, quella per la musica rap, e proiettati verso la realizzazione di un sogno in comune: pubblicare i propri pezzi ed entrare loro stessi nelle cuffie dei ragazzi e delle ragazze di tutta Italia. Se Paco è quello che calca il palco da performer, Tito (Hamed Seydou) è un genio delle barre, che, impossibilitato a cantare a causa di un incidente, decide di prestare il suo talento al fratello. Due anime, dunque, convergenti in una sola, fino a quando la stessa ambizione che lo aveva forgiato, metterà a dura prova il loro legame. I ragazzi, infatti, dovranno scendere a compromessi con il mercato musicale italiano del 2011, anno in cui gli artisti più affermati decidono per la prima volta di investire i propri guadagni, sulle orme della scena americana, producendo gli emergenti. Questo mercato, per quanto ricco di opportunità, non è però ancora pronto né per artisti neri, né per ascoltarne seriamente le parole. Non lo era nel 2011 e fatica ad esserlo tuttora, nel 2022.
Dikele decide appositamente di far fare alla macchina da presa dei salti temporali di 10 anni in 10 anni e lo fa sfruttando come cameo uno dei nomi più venerati del rap italiano. Vediamo quindi un Guè Pequeno interpretare il sé stesso fresco di pubblicazione del suo primo album da solista “Il Ragazzo d’oro”, nell’anno in cui, con DJ Harsh, fonda l’etichetta discografica indipendente Tanta Roba, destinata a diventare in brevissimo tempo la casa dell’urban e di nomi celebri come Gemitaiz e MadMan.
Come “il Guercio”, Fabri Fibra, Noyz Narcos, Marracash, Salmo e altri fra i più celebri nomi della vecchia scuola stavano, in quel preciso istante, aggiungendo solide assi alle relative carriere discografiche, in un ambiente che cominciava pian piano a prendere piena consapevolezza di sé ed era, dunque, in florido fermento.
Ecco che quindi come spesso accade, il cinema si mette a servizio della musica, diventando una vetrina non soltanto per la storia del rap in Italia, ma anche per una parte di italiani che, fino ad oggi, dall’industria cinematografica non si è ancora sentita rappresentata.
Se la Milano che ha accolto me venerdì è stata, in un certo senso, luminosa quanto nel 2011 per la scena rap, lo è anche quella che, dopo aver per anni lasciato nella penombra numerosi artisti, oggi li sta avvolgendo pian piano sempre di più.
Autumn Beat è espressamente diviso in tre periodi proprio per sottolineare una profonda evoluzione, non solo riflessa nella storia romanzata dei personaggi, ma anche e soprattutto nella scena musicale milanese. 1999, 2011, 2022: dal lontanissimo beat americano di Tupac nel walkman a Willy Willy di Ghali su YouTube ad #Afroitaliano di Tommy Kuti su Spotify.
Perché sì, forse, il mondo è davvero cambiato e, come ha più volte sottolineato Dikele in alcune interviste, “tu le cose le cambi solo se esisti. Se non esistono cantanti neri, attori neri scrittori neri, allora facciamoli esistere”.
Magari in un film di Prime Video, fra una canzone e l’altra di artisti come Mahmood (in una versione gospel da pelle d’oca di “Gioventù bruciata”) o del possibile astro nascente Abby 6ix.
O magari, semplicemente tutti i giorni.
Di Alice Tonello
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