Nella nostra intervista, Mostro si racconta tra religione, rabbia, autocitazioni e collaborazioni inedite.
In occasione dell’uscita di “The Illest Vol.3” abbiamo avuto l’opportunità di andare nella sede di Sony Italia a Milano e scambiare quattro chiacchiere con Mostro in merito al progetto.
Mostro, oltre ad essere stato molto gentile, ha risposto a tutte le nostre domande argomentando dettagliatamente; la recensione del disco verrà pubblicata successivamente.
A: Ciao Giorgio, innanzitutto volevo chiederti: come stai e come ti senti prima dell’uscita di questo capitolo importante?
M: Guarda non è facile razionalizzare questo momento perché comunque stanno succedendo tantissime cose. Mi sento tranquillo, è stata una strada molto lunga e tortuosa da percorrere per cui è come se mi sentissi sulla cima della montagna, stanco di tutto quello che è stato; però sto iniziando a godermi un po’ il paesaggio, quindi è una bella sensazione.
A: L’immaginario di “The Illest” ormai penso sia ben definito, ci sono tante immagini religiose e folkloristiche per lo più negative, con riferimenti a figure come i demoni e tutto il resto. Quanto è importante per Mostro questo tipo di immaginario?
M: Ma io sono molto influenzato dalla cultura religiosa perché è un qualcosa che mi affascina da un certo punto di vista e mi terrorizza allo stesso tempo. Non lo so, penso che sia proprio qualcosa che faccia parte della nostra cultura. Dio, il diavolo, i demoni, sono dei concetti super versatili da ogni punto di vista. Ogni artista li usa come vuole però a me aiutano tantissimo a definire quello che è il bene e quello che è il male.
A: Perfetto. Associato a questa visione negativa si percepisce tanto malessere e tanta rabbia nei tuoi brani. Tutto questo da cosa proviene? È cambiato qualcosa dopo tutto quello che hai ottenuto e perché dopo tutto ciò hai ancora questo disagio?
M: Per me la rabbia è e sarà sempre una fonte di energia. È un qualcosa con cui ho forse fatto un patto, gli ho detto “prenditi tutto e dammi tutto”. Certe volte riesco a trasformarla in creatività quindi diventa un “distruggi per creare”, fare a pezzi tutto quello che c’è stato prima per cercare di trovargli una forma nuova e migliore rispetto a quello che è stato. Non è facile da gestire perché altre volte invece si riflette su altri aspetti della mia vita che, comunque, non hanno nulla a che fare con la creatività e portano solamente a delle situazioni di disagio. Certe volte è come se fosse un po’ un cane che si morde la coda, ma sto cercando a mio modo di trovare un equilibrio tra questo sentimento e tutti gli altri.
A: Rimanendo su questo argomento, in “Rappresento” tu dici nella canzone che Dio dovrebbe cambiare alcune cose e quindi ti chiedo se tu fossi Dio appunto cosa cambieresti? Cosa pensi che Dio dovrebbe cambiare nella tua vita e in quello che ti circonda?
M: Ma più che nella mia vita il discorso è se esiste un Dio e dove sia. Viste poi le cose che sono successe negli ultimi quattro anni, è difficile pensare che ci sia qualcuno che ci possa salvare da tutto questo e se c’è cosa sta facendo? Perché fa sì che accadano malattie e guerre? Il discorso è un po’ quello.
A: Ho notato che spesso e volentieri dedichi molto spazio al wrestling. Quanto è importante per te?
M: Per me il wrestling è stata una cosa che ho seguito tantissimo quando ero più ragazzo, è stato un mondo che ha sviluppato tantissimo la mia creatività perché si divideva fra realtà e finzione. È sempre stato qualcosa che mi ha intrattenuto tantissimo e che mi ispirava moltissimo, era come guardare una sorta di “mockumentario”, c’ho sempre rivisto tantissime storie che erano paradossalmente anche affini alla mia vita. Vedere un fighter, un combattente che si impegna in qualcosa, perdere e poi rivincere e tutto quanto, mi ha sempre ispirato tantissimo e quindi ogni tanto cito dei momenti storici che mi rivengono in mente di quello sport che vivono per sempre nel mio cervello.
A: Nel disco c’è tantissimo autocitazionismo. L’iconica frase “Quante rime saranno passate da questo microfono” in “Tre metri sotto terra” del primo volume e in “L’anno del serpente” nel volume 2. Poi il riferimento a “Diavolo Magro” in “Underrated” facendo riferimento al dottore che diventa diavolo, sembra essere un po’ il parallelismo con l’infermiera di “Diavolo Magro”, ma soprattutto quella che mi è sembrata più iconica è la citazione a “Guanti neri, Balaclava” in “Porte chiuse” dove citi il figlio che ha gli stessi occhi del padre sotto il Balaclava. C’è un nesso?
M: Su “Underrated” non ci avevo fatto caso, però è giusto. Io mi cito spesso ma perché i rapper che piacciono a me l’hanno sempre fatto. Mi piace quando Eminem cita le stofe di dieci anni prima. Per quanto riguarda il discorso “Porte Chiuse” e “Guanti neri, Balaclava” è come se avessi creato un ponte fra questi due brani perché sono uniti, non è lo stesso concetto però è la stessa attitude, “Guanti neri, Balaclava” era un brano super moderno ma che manteneva lo storytelling che invece è una qualità del rap super classico. Stesso discorso viene fatto per “Porte Chiuse” no? Strizza l’occhio alle sonorità drill però ha sempre un concept dentro ben raccontato che comunque i pezzi rap devono avere. Quindi mi piaceva mantenere questo aspetto moderno ma metterci dentro una forma più classica.
A:Okay. Uno dei miei pezzi preferiti è “Vomito”. Sembra essere un po’ una chiave di lettura sia del disco ma in generale di tutto il rap di Mostro e della sua visione. Ti volevo chiedere, se un giovane ascoltatore nuovo ti scoprisse con questa canzone, pensi che potrebbe già avere un’infarinatura generale della visione della musica di Mostro e della visione del mondo di Giorgio?
M: Sì assolutamente, penso che se io dovessi scegliere un brano così da far ascoltare farei ascoltare sceglierei proprio “Vomito” perché è quello che riassume un po’ la mia tematica. Forse su “Vomito” gioca un ruolo molto importante anche il gusto mio personale. Il rap che piace a me e che ascolto io è quella roba lì, ma anche nei momenti di tranquillità le sonorità alle quali io mi sento più vicino sono quelle di quel tipo di rap lì. Quindi spero che possa essere una sorta di sintesi per quello che possa essere il mio mondo, ma spero che in questa sintesi ci sia anche comunque la voglia e la curiosità di sentire tutto quello che viene oltre.
A: Come mai questo cambiamento radicale sia di featuring ma principalmente di produttori. Tu hai cambiato tantissimi produttori all’interno del disco. Come ti sei trovato?
M: Nel passato c’era questo binomio Mostro-Yoshimitsu oltre ad altre persone che lavoravano con noi. Ha sempre funzionato perchè poi in studio è come se non avessi più bisogno di nulla, perchè sai già cosa sta per fare uno e cosa sta per fare l’altro, può però diventare una gabbia questa cosa. Stare sempre da soli così ad un certo punto ti porta un po’ ad isolarti, eravamo arrivati al punto io e Matteo che ci siamo guardati negli occhi e abbiamo detto che comunque c’è questa possibilità di poter esplorare dei nuovi suoni, lui aveva dei nuovi artisti con i quali lavorare, io avevo la possibilità di lavorare con dei nuovi produttori, perchè non farlo? A un certo punto devi essere onesto con te stesso, forse sono più paranoie tue perchè se tutto il mondo lavora anche con altra gente fai un passo indietro e affidati al lavoro di questi professionisti. È stata una scelta più che giusta, perchè poi siamo tutti ragazzi qui a fare musica e ci sentiamo fortunati.
A: Fai spesso riferimento alla figura dello psicologo o della terapia, e da come l’ho percepita non sembri troppo credere all’efficacia del lavoro di uno psicologo. Qual è il tuo rapporto con questa figura?
M : No no, invece no. Se ne parlo è perchè spero che comunque i ragazzi che stanno all’ascolto e non hanno il coraggio di farlo chiedano aiuto ovviamente. Poi è chiaro io gioco molto tra la forma e il contenuto ma il senso è sempre quello di tirare fuori le proprie emozioni quindi anzi io sono pro, se qualcuno ha bisogno di aiuto chieda aiuto.
A: Siamo giunti alla fine. Vorresti dire qualcosa ai nostri lettori?
M: Li saluto e li ringrazio, spero che il disco sia piaciuto e che lasci loro qualcosa di più. Spero che possa ispirare le persone a fare qualsiasi cosa, che sia proprio uscire di casa, farsi un giro in bici, con lo skate, farsi una corsa, mettersi davanti ad un microfono. Spero che gli faccia venire voglia di creare qualcosa di loro.
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