Dopo un lungo silenzio discografico, Vegas Jones torna sulla scena con un EP diretto, autentico e ricco di significato. Il titolo, “Primetime“, segna un nuovo inizio. In questa intervista ci racconta le motivazioni personali e artistiche dietro il progetto.
Il titolo dell’EP, “Primetime”, a cosa si riferisce?
VEGAS JONES: Allora in realtà allora il titolo nasce, più che da Vegas, da Matteo, quindi è una cosa molto personale. Il time lo vedo più come time di un uomo e successivamente anche di un artista, visto che comunque sono molto aderente alla mia vita reale nella musica, cerco sempre di raccontare, specie in questo frangente, il motivo per cui è stato chiamato così: perché sono riuscito a raccontare esattamente quello che vivo e quasi rendendomi conto di quello che vivo ho detto “è perfetto primetime”.
Perché? Vengo da un periodo di silenzio abbastanza lungo, il mio ultimo album “La Bella Musica” risale al 2019, da lì mi sono successe parecchie cose, tra le quali la cosa più importante è quella di aver ricostituito un team che lavora con me in questo momento. E questo mi ha dato, la forza, la motivazione per riuscire a tornare al 100% a essere quello che sono, a dire quello che voglio. Quindi per me significa semplicemente prendere tutte le esperienze positive e negative col bagaglio e cominciare a camminare di nuovo come ho sempre fatto. Prima lo facevo un po’ alla maniera del 2015, un po’ da ragazzo, quindi avevo tante cose da vedere, tante cose da imparare.
Dovevo prendere tante botte ancora. Anche ora ovviamente. Però sicuramente cinque anni di esperienza in più mi portano ad essere un po’ più cosciente, un po’ più calmo quando succedono delle robe. Affrontare ciò che accade in una maniera più matura mi ha permesso di dire “perfetto, questo disco si deve chiamare così anche perché per me è un nome molto giusto per l’EP e mi rappresenta a pieno anche musicalmente parlando”. È un progetto molto diretto.
Non ho mai usato autotune all’interno proprio per dare spazio e potere alle parole che dico, ero talmente tanto preso bene da una serie di fattori… anche lavorando con i rapper più giovani, avendo già uno studio mi sono capitati sotto mano tanti rapper con cui collaborare che mi hanno fatto ritrovare motivazione tanto quanto avere un team di fianco e aver passato delle esperienze che poi ho metabolizzato e mi hanno fatto diventare quello che sono oggi.

Ho visto che tra i featuring c’è Flaco G. Per esempio, anche lui giovanissimo. Che ne pensi della scena giovanile attuale? Ci vedi del potenziale?
VJ: Flaco è uno dei giovani artisti che mi ha dato più stimoli. È produttivo, serio, creativo. Quando è passato in studio, abbiamo subito trovato una forte sintonia, abbiamo lavorato su diversi brani e il pezzo per l’EP è nato in modo naturale.
La scena giovanile oggi ha fame, è preparata, informata. Noi dal 2015 in poi abbiamo costruito un’industria, loro oggi ci entrano già consapevoli: sanno che ci sono i soldi, sanno dei rischi, conoscono il gioco. Lavorano duro, stanno in studio tutti i giorni, e questa cosa mi ha dato una carica incredibile. Sono molto fiducioso sul futuro: i nuovi talenti sono forti e determinati.
Nel progetto ho scelto featuring che avessero legami personali con me: Izi, Kuremino e Flaco G. Ognuno di loro rappresenta qualcosa di preciso. Kuremino rappresenta la strada con le barre, Izi è un fratello, Flaco è la nuova ondata. Sono tutti perfettamente inseriti nell’atmosfera dell’EP.
Il bello di questo progetto è che poi lo devi ascoltare perché dice tutto la musica, parlano le barre. Fortunatamente ho voluto che fosse così.
È stato fatto un lavoro metrico molto importante da parte mia: tagliare il tempo in una certa maniera, prendere uno stile nuovo e riportarlo su tutte le tracce, così che se salti da una all’altra resta tutto molto coerente. La tracklist è fatta in modo che ti fa fare un viaggio completo, anche se hai sette tracce. Se ad esempio tu rimandi indietro, ascolti l’ultima traccia, finisci l’ultima traccia, rimetti la prima e poi vai avanti con l’ascolto è come se tu ascoltassi un disco di 14, perché poi sono molti i concetti, semplici, ma che hanno tanti significati e letture.
Quindi il progetto per capirlo bene tutto lo devi riascoltare più volte, per entrare nel viaggio. È dall’inizio dei miei progetti che non sono tanto fan delle robe che ti pigliano subito al primo colpo, che assimili subito senza poterli dare diversi significati. Dietro la semplicità, ho voluto inserite tutto questo gioco di dare molteplici significati.
Hai seguito uno storytelling nel progetto o è venuto da sé? Puoi raccontarmi un po’?
VJ: Guarda, nasce tutto, nasce tutto da “107 vite”, che è l’ultimo pezzo in tracklist, ma abbiamo deciso di metterlo per ultimo, proprio perché ti dà quel senso. Originariamente era l’intro. Tecnicamente è l’intro, è la genesi del progetto. La traccia dopo l’abbiamo fatta il giorno dopo e abbiamo detto “minchia sta roba qua è completamente nuova, non l’ho mai fatta prima”, mi piace tanto e mi sono divertito a farla; tant’è che il pezzo da 2 minuti e venti solo di barre, senza ritornello e mi ha fatto proprio dire “ok, perfetto bella. Ora ci divertiamo pesantemente con questa roba” e da quel momento ho cominciato ad andare in studio tutti i giorni, mi sono chiuso per due mesi e mezzo, più o meno tutti i giorni, dalle 18:00 fino alle 06:00, praticamente tutti i giorni.
È stata fatta una valanga di pezzi, un’ottantina, una cosa del genere. Alla fine poi ne sono rimasti sette che sono quelli a cui ho lavorato di più. Tanta roba non è scartata, semplicemente non era adatta a questo progetto, perché magari parlava in una maniera diversa, ma comunque ho trovato un bel periodo artistico e ho detto “perfetto, questa roba deve diventare un EP”.
Di base è tutto altamente selezionato, anche solo l’intro del progetto l’abbiamo fatta diventare un altro pezzo, proprio per il fatto che quando finisce l’EP magari ti viene voglia di ascoltarlo ancora.
Quello deve essere il senso no? L’obiettivo è di metterti fame, voglia di ascoltare le barre, perché in questo momento io che sono passato anche da roba commerciale eccetera… l’ho comunque sempre fatta con questo spirito, che è lo spirito con cui io faccio musica, poi le robe partono, diventano gigantesche, enormi, mi è già successo in passato, spero che succeda in futuro. Ma voglio che la gente sappia, che passi e traspaia il fatto che io ho bisogno di fare questa roba e che non lo faccio per qualsiasi altro motivo, che siano soldi o altre cose, insomma.
Mi piace che sia chiara la roba. So che i miei fan già mi conoscono, lo sanno, però è sempre importante ribadirlo: posso sempre migliorare.
Non è scontato, è giusto comunicarlo.
Rispetto al te del 2015, quanto ti senti cresciuto e sotto quale aspetto? Mettendo a confronto i tuoi progetti del 2015 o 2016, anzi anche del 2019, quindi il tuo ultimo album, sotto quali aspetti ti senti più cresciuto?
VJ: Musicalmente ho affinato molto la tecnica. Infatti ho tenuto molto che in questo progetto si sentisse, dovevo arrivare a un livello del genere di perfezione. Io le parole le metto sempre in funzione della metrica, quando scrivo una barra, poi quella barra quasi sempre detta la metrica di tutto il pezzo, e questa è la cosa a cui sono arrivato io a questo giro e sono contento di poterlo dire. Rispetto magari ai primi progetti, “Chic nisello”, “Bellaria”, erano un po’ più acerbi sotto quel punto di vista. Adesso a livello di impostazione vocale, metrica, precisione nelle registrazioni, intenzione delle registrazioni e tutta una serie di fattori tecnici, se ascolti la roba tecnicamente si sente la differenza.
Sono molto contento di questo progetto, perché in questi anni comunque sono rimasto fermo a fare musica, ho fatto tanta musica, adesso semplicemente mi sono sfogato, ho capito quello che voglio e tutta la roba poi quando la sentirai sarà scandita in una maniera per la quale dirai “ok, figo questo modo di fare le robe”, perché è diverso, è diverso da prima e ti fa concentrare sul contenuto e mi interessa molto che la gente stia dietro al contenuto per quello che ho detto.
Come sempre poi, quello non è mai cambiato dal 2015 in poi, non posso lasciare nelle mani di nessuno il mio destino, ma devo dirigere io la mia musica, dirigere io quello che la gente voglia che io sia. Ho capito che quindi io sono questo. E dopo la bella musica, se tu dopo l’ultima traccia di bella musica metti questa roba qua, ti renderai conto che è ok, è diverso.
Un’ultimissima domanda in chiusura? Qual è la traccia che senti più tua tra le sette? Se c’è ooviamente e in tal caso perché.
VJ: Allora allora questa è una bella domanda. Ti direi tutte. Non ti direi una in particolare perché mentirei alle altre.
Ho deciso di sfruttare possibilità per dire ““perfetto, posso esprimere altri concetti in futuro, nel prossimo progetto, ma ora devo esprimere i concetti che sento miei ora in sette tracce ed essere molto diretto”.
Ho portate tutte le tracce al massimo per rendere il messaggio completo al 110%, cosa che fortunatamente siamo riusciti a fare. Abbiamo aggiunto due tracce all’ultimo perché volevo dare più personalità e introspezione, per permettere alla gente di avere una fotografia bella e completa di quello che è Vegas oggi, anche nelle sue parti un po’ più profonde, so che la gente apprezza questo mio modo di esprimermi. Ti direi che è proprio bello da ascoltare nel suo intero.
Cioè lo vedo proprio come un blocco. Io penso mi sono fatto il file unico, una storia di 18 minuti e rotti di progetto, lo ascolto dall’inizio alla fine e lì poi mi dico “che bello”. Lì ho scoperto che se lo rimando indietro mi parla ancora di più ascoltandolo una seconda volta.
Di Valeria Luzi
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