Questo editoriale, pensato a due teste, è un lavoro che si propone di tracciare una linea sull’ormai tramontato 2024 e, al contempo, farla proseguire nel 2025.
Il seguente articolo cerca di porre delle domande e di dare delle risposte sulle conseguenze e sui motivi che hanno portato l’industria a catalogare e a vendere in serie dei rapper che all’occorrenza si trasformano in accessori d’identità.
All’interno dell’editoriale, verranno evidenziate alcune delle tappe che hanno scandito l’anno appena trascorso e che getta le probabili indicazioni dell’anno che verrà.
L’articolo potrà sembrarti corposo, spigoloso, provocatorio, ma prenditi un attimo di tempo e arriva fino alla fine, anche se non parlerò del tuo rapper preferito nel migliore dei modi. Sappi che quelli e quelle di cui parlo li/e ascolto tutti e tutte. Buona lettura.
I Players ’23, come Zeus, stanno progettando la detronizzazione
Il ricambio generazionale è in atto, o almeno così pare. I Players ’23 (se non sai chi sono o non segui il rap italiano, o eri sotto ad una roccia o non hai letto l’articolo di Matteo) hanno fatto – con qualche aiuto – un ulteriore passo verso l’affermazione e hanno intenzione di rimpiazzare, almeno dal punto di vista delle vendite, le vecchie generazioni.
Ad aver portato a casa l’annata da “vincitore”, secondo molte pagine del settore, è Kid Yugi. Il rapper di Massafra ha capitanato la progettazione della detronizzazone con “I Nomi Del Diavolo” (305 539 489 stream – grazie amici di RapAdvisor) che è il 5° album rap più streammato del 2024
Tre sono gli eventi che hanno chiuso il cerchio di presentazione dei Players: le ottime prestazioni dentro il disco-istantanea “Containers“, sono stati Low Red con “The Biggest Sblao” e Astro con “Astro“, i loro primi progetti ufficiali.
Il 2025 vedrà di sicuro Tony Boy che, dopo un 2024 implacabile con “Nostalgia“, “Going Hard 3” e 16 featuring, ha già annunciato “Euforia“, con lui anche Artie 5ive con “La Bella Vita“, Nerissima Serpe e Papa V con “Mafia Slime 2“.
Ma stanno facendo fatica a battere Crono
Se da un punto di vista prettamente commerciale il tentativo di sostituzione con le vecchie generazioni è in atto, meno lo è dal punto di vista culturale. La nuova generazione, rispetto alla gen 2016, ha intenzione di rimanere salda nel rap, piace al pubblico nuovo e vecchio ma la sua musica non ha il tempo di essere annaffiata e curata.
Seppur la gavetta di alcuni di loro sia stata più organica (vedi Low Red, Papa V, Astro, Tony Boy) di altri dello stesso gruppo (vedi Kid Yugi, Artie 5ive), escluso Kid Yugi, nessun altro ha avuto ancora la possibilità materiale di pubblicare un progetto-culto per la comunità rap.
Mi spiego meglio: se le relative fanbase hanno già dei dischi di riferimento, non si può dire lo stesso per la maggioranza della comunità di ascoltatori di rap italiano. Kid Yugi viene quasi unanimemente riconosciuto come rapper cardine, gli altri esponenti non del tutto. Metterli artificialmente in ogni progetto dovrebbe accelerare questo processo, ma la riuscita non è assicurata.
Le prime cause che mi vengono in mente sono la pubblicazione spasmodica, il basso livello delle esibizioni live e – a mio parere, più di tutto – il salto immediato da “underground” a “mainstream” senza assaporare le sezioni di zone intermedie tra queste due macro-categorie.
I ritmi di mercato attuali non stanno lasciando il tempo ai Players ’23 di allargare le spalle per vivere gli insuccessi, per ricalcolare le traiettorie e per accogliere il cambiamento della propria persona.
Nel nostro assetto sociale i soldi, la comunicazione dell’identità artistica e la modulazione dell’avatar social orientano i principi etici e modificano il modo di percepirci e di percepire la vita, che inevitabilmente si riflette nei prodotti musicali-artistici che si creano.
La vera sfida nel 2025 dei Players ’23 sarà quella di pubblicare progetti “importanti” nel vero senso della parola, ossia che portino dentro la comunità rap italiana qualcosa in più, capace di dare verticalità al movimento.
“Non sai cosa ascoltare? Ecco gli artisti del momento!”
Come disse Lucci alla nostra puntata di “ZER06“, Baby Gang è tra la cosa più rap che abbiamo in Italia ed è da qui che ci muoveremo in questa seconda sezione. Gli italiani di seconda generazione, Ghali, ma soprattutto Baby Gang e Simba La Rue hanno conquistato le vette del 2024.
Se ti piacciono Baby Gang, Simba La Rue allora potrebbero piacerti anche…
Viralità dei brani, irriverenza, trasgressione e una musicalità semi estranea per il panorama hanno completamente assediato gli Spotify delle nuove generazioni. L’odio, la repressione dei loro stati d’animo e la violenza espressiva si concretizzano in dei brani che sembrano inni per gli italiani di seconda generazione che si sono trovati, fin dalla loro infanzia, a combattere il razzismo, diretto e indiretto, per vedersi riconosciuta la propria emancipazione e la propria dignità.
In queste specifiche situazioni, il rap si fa veicolo di una protesta sociale che necessita di rappresentanza, riconoscenza e legittimazione, tre componenti fortemente incastonate nel pensiero Hip Hop.
Artisti come Baby Gang o Simba La Rue incarnano il racconto della periferia multietnica e della lotta contro la marginalizzazione. Questi rapper diventano simboli per chi si riconosce in storie di criminalità, rivalsa o discriminazione, ma anche per chi desidera identificarsi o solidarizzare con queste realtà.
Però qualcosa si inceppa e non arriva al cuore del problema. Quelli che dovrebbero sembrare l’anti-cultura oggi sono cultura dominante: il sistema non si oppone frontalmente ai movimenti rivoluzionari o ai nuovi archetipi identitari, ma li assimila, li svuota della loro carica trasformativa e li rivende come prodotti commerciali.
Queste narrazioni vengono rapidamente trasformate in storytelling vendibili. Le loro storie diventano oggetti di consumo, più che piattaforme di riflessione. Questa tipologia di artisti non campeggia la classifica per scardinare lo status quo, vengono “addomesticati” dal sistema industriale e più che rappresentare un disagio reale, diventano personaggi in un mercato dove la criminalità diventa un’estetica.
Se da una parte il rap può essere un tramite per la rivalsa di cui abbiamo parlato, venduto e impacchettato così invece propina degli stereotipi in cui le stesse comunità si possono trovare ingabbiate. Non che non ci siano rapper di seconda generazione che portano altri messaggi, semplicemente si sceglie di non metter loro in primo piano.
La vendita di stereotipi finisce per decontestualizzare le loro azioni, trasformandoli in figure quasi eroiche, privandoli della loro complessità sociale o politica. L’industria rende affascinante il “pericolo” o l’”esotico” (in questo caso, il criminale italo-marocchino), ma senza affrontare le cause reali della devianza o della marginalizzazione, come il razzismo sistemico, l’esclusione economica e le disuguaglianze.
La vera sfida che gli artisti di seconda generazione si trova davanti sarà sovvertire le apparenze, a patto che loro sentano la necessità di farlo.
Se ti interessa l’emancipazione femminile e modelli di donne forti allora apprezzerai sicuramente…
Francesco Palumbo, in una delle nostre newsletter, lo aveva sintetizzato troppo bene; le rapper di punta del nostro mercato musicale sono proprio Anna ed Ele A, in una nicchia alternativa invece c’è Madame, ma per lei ritengo necessario fare un altro tipo di discorso più approfondito.
Anna necessita di poche presentazioni, resta valido quanto detto con i Players ’23 (vedi sopra), ma tenendo sempre in considerazione che, da dopo l’esplosione di “Bando“, si stava aspettando il momento giusto per far definitivamente esplodere il suo personaggio.
“Vera Baddie”, come anche Ale ha detto in redazione, rappresenta forse uno dei dischi più importanti dell’anno. Mai una rapper era stata così tanto sulla cresta dell’onda del rap italiano.
Sfrontata, energica e ispirata alle esponenti rap e trap americane, incarna l’idea di donna autonoma, indipendente, forte, amante del lusso e del successo. “Baddie” e non “bad bitch” perché più friendly.
Dall’altra, leggermente più nascosta, Ele A: la giovane rapper svizzera del Ticino, voce narrante di una periferia fredda e di una noia giovanile che si dipana in un contesto lontano dai grandi centri.
Due EP quasi intoccabili: “Globo” e “Acqua“. Il primo è coeso, autentico mescola old school, soul, blues ed elettronica in cui l’immaginario urbano e malinconico è un punto chiave.
Nell’intervallo tra il primo e il secondo progetto si colloca il feat “El Clásico“, attestato di stima di DJ Shocca, in cui dimostra un talento che tiene testa a una leggenda come Guè. La sua strofa è un mix di attitudine, tecnica e riferimenti al rap classico.
“Acqua” è anch’esso essenziale, tiepidamente freddo, una pila di sedie in mezzo al mare in cui in cima troneggia la regina di un mondo lontano dalla riva. Un talento autentico che necessita di tempo, di cura e di libero sfogo.
Nessuno scontro tra le due, uno stesso pubblico, due modi di comunicare diversi, due target diversi ma all’occorrenza complementari. Due donne che sfidano stereotipi e si posizionano come figure di emancipazione in un ambiente dominato dal maschilismo. L’offerta di queste identità risponde al bisogno di modelli femminili forti e indipendenti.
Una prima erosione al dominio maschile nel rap, un’alternativa alle narrazioni maschili, misogine. Due esempi di donne che diventano simbolo di empowerment, che si appropriano di uno spazio che per decenni è stato loro negato.
Le sfide che si presentano loro – tra le più numerose e complicate a mio parere – sono:
- evitare di trasformare la loro emancipazione in un prodotto da vendere, svuotandola del suo contenuto critico, senza ridurla in una mera estetica.
- evitare d’incasellate le loro identità in nuovi stereotipi, anziché liberarle da essi.
- avere sempre la piena libertà di esprimersi su più temi, complessi e non.
- evitare di rafforzare la polarizzazione uomo/donna, favorendo un dialogo più ampio sulle questioni di genere e inclusività.
Resta incredibilmente interessante, per il 2025, comprendere se il loro successo porterà a un reale ampliamento delle narrative femminili e alla rottura degli stereotipi, o se finirà per riprodurre nuove forme di conformismo, legate a logiche di mercato più che a una rivoluzione culturale autentica. La differenza, forse, dipenderà dalla loro capacità di mantenere una voce indipendente e dal supporto di un pubblico critico e consapevole.
Quindi, tutto questo per dire:
Le seconde generazioni e le rapper, ora come ora, sono le due segmentazioni più interessanti e quelle con più mandato sociale. Parte della storia e della conformazione del rap, nel 2025, passerà tramite queste due macrocategorie.
Red Flag o Green Flag? Scegli il tuo combattente maschio!
Ad un angolo del ring, con i suoi 171 cm di altezza e i suoi 65 kg, troviamo Tony Effe, membro della Dark Polo Gang, rapper con il “disco rap” più streammato del 2024 (627 663 187 stream).
Su “Il Nemico” lo hanno definito “il vuoto di cui abbiamo bisogno”, sui social lo additano come il male dell’anno per i testi misogini. Abbiamo visto l’artista romano al centro del dibattito mal formulato sulla “libertà d’espressione” per il concerto di Capodanno negatogli dal sindaco a causa dei suoi contenuti testuali, per il “dissing con Fedez” e le frecciatine sulla Ferragni e via discorrendo.
Il rapper è stato uno degli uomini più chiacchierati del 2024 e, anche tramite il ciclone di critiche, è riuscito a flettere la realtà modellandola a partire dal titolo del suo ultimo disco: “Icon“. Tony Effe, che lo vogliamo o no, è diventata un’icona.
Se già dagli albori della Dark Polo Gang si fiutava che il suo carisma sarebbe esondato, nel 2024 è diventato un dato di fatto e nel 2025 le possibilità di farlo raddoppiare sono incredibilmente alte vista e considerata l’edizione di Sanremo 2025 e che, tra i concorrenti, c’è anche Fedez. Il brano che porterà all’Ariston sarà solo una parte di ciò che aumenterà il valore capitale della sua icona: bad boy dal cuore d’oro o semplicemente bravo ragazzo incompreso con i tatuaggi non ha importanza.
Tony Effe vende un personaggio, una sorta di Ken di borgata, palestrato, tatuato, canonicamente tamarro, dal bel viso, con un taglio di capelli fresco e alla moda. Il “boro romano” tipico si aggiorna, cambia aspetto, si fregia di un corpo scolpito, di ricci perfetti e mantiene il legame con i valori tradizionali, l’ostentazione, il machismo e mercifica al massimo la sua icona; un rapper per chi vuole identificarsi con una mascolinità tradizionale, provocatoria, romanticizzata dai trend social sul maschio geloso.
La sua sfida per il 2025 sta nel non avere sfide, nel saper cavalcare i trend senza scegliere, perché nessuno più di lui si trova a suo agio nell’attuale mercato. La sua coerente incoerenza, proverbiale fin dagli inizi, surfa perfettamente sulle onde del mercato e sa che dovrà stare in equilibrio sulla tavola e sulla cresta dell’onda il più possibile perché sa perfettamente che le icone, come le onde, possono essere più o meno grandi, alte, ma tutte piegate a Padre Tempo: oggi ricordano il momento, domani ne arriveranno altre.
Marracash e i rischi della spettacolarizzazione emotiva
Dall’altro angolo, con i suoi 189 cm e i suoi ipotetici 75kg, c’è il king del rap, o del pop rap (scegli tu) Marracash.
A Marra abbiamo ampliamente dedicato una “Marragrafia” (clicca qui e trovi tutti gli articoli) ma questa volta è qui in veste dell’altra faccia della medaglia, come si suol dire.
Il King del Rap, da “Persona“, ha deciso di importare il rap verso la fascia di ascoltatori più adulta e con “È FINITA LA PACE” ha deciso di spingere l’acceleratore verso questa meta. Il rapper di Barona ha settato di nuovo lo standard e, viste le settimane di nuovo primo in FIMI (classifica in cui compare ormai tra le prime 30 posizioni dal 2019), ha fatto ben intendere a chi fa rap che il disco impegnato, con gli argomenti, può smuovere.
Ciò che “È FINITA LA PACE” ha reso ancor più lampante è che se si vuol fare musica impegnata in Italia, per lo meno nel rap, la via più semplice è quella di protendere verso l’introversione avvalendosi della musica leggera. Utilizzare il campionamento di hit italiane ben sedimentate nell’immaginario agevola l’accoglienza e, percorrendo strade già battute nell’orecchio di chi ascolta, predispone alla ricezione del messaggio. Audacia moderata, successo assicurato.
Via libera alla riflessione, alla psicologia nell’estetica del rap, alla normalizzazione della vulnerabilità che edifica un modello alternativo, dove fragilità, dubbi e traumi non solo sono accettabili, ma diventano centrali, riducendo lo stigma della terapia psicologica.
Dall’altra la sofferenza e la vulnerabilità diventano parte di uno spettacolo emotivo confezionato per il consumo di massa, superficializzando temi profondi che, senza ombra di dubbio, necessitano di un contatto con uno specialista.
La sfida del King del Rap, nel 2025, sarà di tener botta agli stadi da riempire, al portare avanti intelligentemente la sua narrazione senza cadere nei deliri di onnipotenza da guru psichico che, quando si scelgono di affrontare tematiche analoghe, possono conseguire.
Conclusioni
Il rap italiano non si presenta solo come un prodotto musicale, ma come un catalogo di identità simboliche, dove ogni artista rappresenta un archetipo culturale che risponde alle esigenze di riconoscimento e appartenenza sociale. In questo modo, la domanda-offerta del rap diventa un sistema in cui:
- L’artista offre un’identità: Ogni rapper si posiziona nel mercato come un “prodotto culturale”, incarnando una narrazione o uno stile di vita (il criminale, l’emancipata, il sensibile, ecc.).
- Il pubblico consuma identità: L’ascoltatore non cerca solo musica, ma sceglie rappresentazioni simboliche che rafforzano la propria immagine e il proprio “avatar sociale”. In questo senso, il consumo musicale diventa un atto performativo: ascoltare un artista significa diventare un po’ quell’artista.
Proprio come sulla piattaforma streaming scegli il contenuto che rispecchia il tuo umore o la tua visione del mondo, così nel rap scegli il tuo rappresentante sociale e culturale. La scelta musicale non è casuale, ma è connessa a una domanda sociale e psicologica: l’algoritmo ti consiglia tutto ciò che è a portata di mano, ciò che dai dati è più consono a te, in base ai tuoi ascolti.
Questo tipo di frammentazione del mercato rap crea una diversificazione culturale che somiglia a un sistema di nicchie economiche, dove ogni “prodotto” è ottimizzato per un determinato pubblico.
Ascoltare Baby Gang, Anna o Tony Effe non è neutro, ma invia un messaggio agli altri. Non ascolti un artista solo per il suo valore musicale, ma perché la sua immagine rafforza il modo in cui la persona vuole essere percepita dagli altri. In altre parole, la musica diventa un accessorio simbolico.
Ciò che ho ritenuto centrale mettere in risalto è che il sistema discografico attuale riduce l’arte e la cultura a merci, svuotando la loro capacità di generare un reale cambiamento sociale. L’industria culturale trasforma potenziali rivoluzioni in intrattenimento inoffensivo, consolidando stereotipi e ignorando le vere cause delle disuguaglianze.
Riconoscere questa dinamica è il primo passo per ribaltarla: il rap e altre espressioni culturali non devono essere solo “cataloghi Netflix“, ma possono anche essere strumenti di dialogo e lotta per chi cerca un cambiamento reale. Restituire autenticità e complessità a queste storie può essere una strada per impedire che l’industria continui a vendere la marginalità come una moda senza risolvere i problemi che l’hanno creata.
Soprattutto ora che altri generi come la Techno, l’hyperpop e altre subculture stanno spingendo contribuendo alle loro culture, bisogna vedere come l’industria risponderà a tutto ciò e che tipo di connotati assumerà il tutto nel 2025. Restiamo in attesa. Buon 2025.
Con la collaborazione di Simone Locusta.
Nessun commento!