La Storia dello Street Cinema
Per comprendere Blocco 181, la serie che vede protagonista anche Salmo e diversi interpreti del rap italiano per le colonne sonore, facciamo un viaggio nel passato e vediamo in che contesto affonda le radici lo Street Cinema
Dal Drive-In al Rooftop Cinema
Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la seguente depressione economica e demografica dovuta al conflitto, il mondo sapeva che stava andando incontro a grandi cambiamenti già manifestati verso la fine degli anni cinquanta negli Stati Uniti e nei sessanta in Europa. Sembrava quasi che la grande spinta scientifico-culturale del Positivismo fosse stata interrotta dalle due guerre e che finalmente questa poteva riprendere. Siamo quindi negli Stati Uniti degli anni cinquanta, abbiamo una televisione dentro ogni casa, un’automobile per ogni famiglia e tutte le industrie hanno ricominciato a produrre e quella cinematografica non fa eccezione.
Il cinema però resta una passione ancora riservata a pochi, le sale sono costose e spesso solo nelle grandi città, oltretutto non c’era modo di recuperare pellicole del passato che non fossero i grandi classici come Via Col Vento (1939, Fleming) o come Vinsi la Guerra (1926, Keaton) che venivano proiettate a ruota per riempire i buchi. Per risolvere entrambi questi problemi si iniziò a diffondere in tutto il continente, ma poi in tutto il mondo il Drive-In. In realtà i Drive-In esistevano già dagli anni venti, ma pochi avevano una macchina per poterli frequentare e quei pochi non volevano essere circondati da ragazzini scalmanati in motocicletta o da bambini in bici. La diffusione dell’automobile e la forte spinta positiva data dalla vittoria della guerra, che invogliava i giovani ad uscire la sera, trasformò il Drive-In da un luogo d’essai ad un luogo popolare, molto più semplice di un cinema da costruire; del resto bastava un proiettore e una parete, con programmi che potevano riesumare anche pellicole passate in sordina. Il Drive-In, non dovendo essere schiavo del mercato in quanto indipendente era molto amato dai produttori, che vedevano, a causa del caldo estivo, un forte calo degli incassi, ma grazie a questa nuova trovata, le perdite venivano tamponate.
Abbiamo quindi questo nuovo modo di fruire il cinema molto amato dai giovani, ma per coloro che invece amavano il cinema e si sono visti “cacciare” dai suddetti giovani? Cosa gli restava? Similmente alla Monaca di Monza di Manzoniana memoria hanno saputo fare di necessità virtù, organizzando proiezioni negli attici e sui tetti dei palazzi, creando quindi il Rooftop Cinema. Restava la libertà di scelta del Drive-In e la riservatezza che dava l’automobile, ma senza le mandrie di giovani rumorosi che potevano infastidirli.
La crisi delle sale e l’influenza culturale
Nel finire degli anni sessanta le sale cinematografiche entrarono in forte crisi, l’aumento di canali televisi offriva più scelta alle famiglie americane su cosa vedere ed il benessere economico del periodo consentiva a molte famiglie, non più solo a quelle ricche, di avere più di un televisore in casa. Oltretutto il cinema era ormai stagnante nel divismo e nelle formule fisse, Hollywood si trovava quindi in guerra con i film di Cinecittà, più leggeri, di genere e sopratutto più economici. Questi film però non venivano distribuiti nelle grandi catene ma solo nei cinema privati e nei Drive-In.
L’affluenza comunque era diminuita e i Drive-In, avendo voltato le spalle ad Hollywood si sono visti entrare a loro volta in crisi. Cinecittà non aveva interesse nel salvare una forma di fruizione che in Italia era assente, anzi puntava alle grandi catene. Sembrava finita l’epoca dei Drive-In, ma restavano invece i Rooftop Cinema, sempre accondiscendenti con Hollywood e abbastanza costosi da potersi salvare da questa crisi, ma come i borghesi hanno saputo trovare l’alternativa al Drive-In, ora toccava alle masse trovare un’alternativa ai Rooftop Cinema.
Nasce quindi lo Street Cinema: l’idea era la stessa dei Drive-In, ma non si stava più in auto, ci si portava le sedie da casa e il film si fruiva nelle piazze, nei viali e soprattutto nei vicoli. La particolarità dello Street Cinema stava nella totale indipendenza, si trattava di una distribuzione inizialmente illegale, non guardava in faccia a nessuno, né ai produttori, né ai distributori. In questa totale libertà, i neonati movimenti Punk ed Hip Hop trovavano la loro ragion d’essere.
Non si guardavano i grandi classici di Hollywood, si guardavano i film di genere Italiani di Lucio Fulci e Mario Bava, i film della Nouvelle Vogue di Francois Truffaut e Jean Luc Godard e soprattutto, i film della New Hollywood, quella newyorkese, quelli influenzati dalle culture sopracitate: Martin Scorsese, Woody Allen, Joe Dante e sopratutto Brian de Palma, che con i suoi Carrie e Scarface influenzerà sino ai giorni nostri, rispettivamente, il Punk e l’Hip Hop in modo radicale.
Lo Street Cinema oggi
Negli USA. Molti dei giovani che vedevano i film negli Street Cinema oggi sono celebri registi, un caso principe è Spike Lee, che nei suoi film non ha mai mancato di ricordare le influenze di quegli anni, arricchendo i suoi affreschi sulla vita afroamericana nell’America razzista del novecento con moltissima musica Hip Hop ed in generale Urban, ma rendendo omaggio con citazioni dirette ai registi, ai tempi semisconosciuti, valutati proprio nelle proiezioni abusive degli Street Cinema. Un altro caso lampante è Quentin Tarantino, che non ha mai nascosto la sua ammirazione per il cinema di genere italiano, scoperto proprio in quei luoghi. In alcuni casi, addirittura, dalla musica, si va al cinema, per poi tornare alla musica, come per Mattieu Kassowitz, regista di La Heine, considerato un film culto per la scena Hip Hop.
In Italia: Il Concept Album come Cinema. Una definizione di Street Cinema viene data spesso dagli artisti che, influenzati dal mondo dello Street Cinema di cui abbiamo parlato sopra, raccontano nella loro musica esperienze di strada, di vita urbana e che sembrano proprio rispecchiarsi con quei film che abbiamo già citato. Volendo fare degli esempi abbiamo Noyz Narcos con Lucio Fulci, o Guè con Martin Scorsese, omaggiatissimo in Mr. Fini, massima espressione del concetto che abbiamo appena trattato: un album che racconta una storia ispirata a quel tipo di cinema.
Molto spesso i concept album raccontano epopee degne dei migliori registi, citando casi storici non si può non far menzione alla Buona Novella di Fabrizio dè Andrè, o, volendo cercare un precursore del racconto Street, Diesel di Eugenio Finardi. In assoluto, oltre ai già citati Guè e Noyz, altri nomi della scena che sfruttano questo mezzo sono J-Ax e Tedua, Marracash anche, seppur utilizzando un cinema di base più d’essai, come quello di Bergman per Persona e Visconti per Noi, Loro, Gli Altri. Andando oltre i confini dell’oceano e del rap Machine Gun Kelly ha accompagnato il suo precedente disco, Ticket to my Downfall con un vero e proprio film, cosa che, con una serie e non con un film, sembrerebbe voler fare Salmo.
Cosa aspettarsi da Blocco 181
Salmo ha più volte affermato che la sua passione principale non è la musica, quanto il cinema. All’inizio della sua carriera il suo successo era legato a doppio filo non solo alla sua musica, ma anche all’immaginario che era riuscito a creare attraverso le narrazioni che portava avanti, non solo con i suoi testi, ma anche con le sue copertine, i suoi titoli (The Island Chainsaw Massacre è un riferimento a The Texas Chainsaw Massacre di Tobe Hooper) e soprattutto con i suoi videoclip. Come regista è addirittura arrivato oltre quella che era la Machete Crew, dirigendo anche il video di Sabato di Jovanotti.
Di certo Salmo ha talento e sa cos’è lo Street Cinema e come direttore artistico del prossimo Blocco 181 riuscirà di certo a restituire le atmosfere di cui abbiamo parlato fin’ora. Questa certezza non è data solo dal background culturale di Salmo, ma anche dalla scelta degli ospiti, sulla quale stupiscono nomi che potrebbero dare alla loro carriera lo slancio definitivo che merita, come Ensi o Nerone, ma anche nomi della Milano storica, come il già citato Guè o Jake la Furia ma anche personalità giovanissime, come Baby Gang.
Ultimamente sembra ci sia l’esigenza di avere un disco street, hip hop duro e puro, questo Blocco 181 potrebbe accontentare quella necessità secondo molti. Nel parere di scrive invece, essendo una colonna sonora prima di un disco, sarà tremendamente vario, dal banger al conscius, passando per il pezzo d’amore, il tutto con una narrazione ben precisa che non renderà incoerenti le tracce e soprattutto non creerà la classica e triste dicotomia, purtroppo molto diffusa: “inizio disco spaccone, seconda parte introspettiva“.
La sensazione che dà Blocco 181 è l’ottimismo, e siamo certi come non mai che sia ben riposto.
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