Tempo fa, alla domanda “la musica è diventata usa e getta?” risposi, pensandoci bene, “no, è solo il fruitore a essere disorientato dalla grande quantità di musica prodotta” e tutt’ora sostengo tale ipotesi, ma la motivazione che mi spinge a scrivere ciò che stai leggendo è il dubbio sortomi spontaneo dopo la precedente affermazione: “se la musica non è diventata usa e getta, perché diversi album vengono archiviati solamente dopo pochi ascolti?”.
Riflettendoci sono riuscito a darmi qualche risposta e, per verificarne l’efficacia, ho deciso di scrivere qui le mie ipotesi con il fine di condividere un pensiero utile a stimolare qualcuno o, più semplicemente, per spargere terreno fertile ad una discussione che riesca a far nascere utili spunti di pensiero.
Di seguito spiegherò i miei stratagemmi, applicati più volte, per non far scadere la musica, per far resistere un disco alla cascata ininterrotta di musica che ogni settimana ci travolge.
Quattro consigli per non far scadere la musica
1) Concediamo qualche ascolto “forzato” in più a un prodotto che ha saputo attirare la nostra attenzione.
Lo ribadirò: a musica di oggi non è peggiorata qualitativamente, è solo aumentata di quantità e il fruitore, immerso in questo sistema tanto vasto, fa fatica a orientarsi. La postura di chi ascolta musica è cambiata: può sembrare stupido, ma non si aspetta più la data prefissata per andare dal nostro venditore di fiducia a ritirare un disco, la musica arriva a direttamente a casa nostra (se la recapita un corriere), o ancor più direttamente dentro al nostro smartphone non appena scocca la mezzanotte, senza nemmeno dover aprire la porta per ritirarla o farla entrare. Se sei in una situazione di festa e termina un album, o una playlist, non c’è più il bisogno di alzarsi per cambiare lato del vinile o per estrarre un disco, basterà sbloccare l’apparecchio digitale che ci permette di schiacciare “play” e scegliere, tra tutta la musica esistente registrata nelle piattaforme di streaming, in base ai gusti più consoni a quel momento.
Ciò non rappresenta assolutamente un male, ma fa capire quanto lo sforzo di ricerca (e se vogliamo anche fisico), sia incredibilmente diminuito. Se ciò che cerchiamo arriva direttamente a casa nostra, non lo si darà per forza per scontato, ma lo si percepirà come un diritto acquisito inalienabile da utilizzare a proprio piacimento.
Molte volte aspettiamo una produzione del/la nostro/a artista preferito/a per mesi, per anni, e può capitare che le previsioni, le aspettative modellate dalle nostre ambizioni e l’orizzonte d’attesa non siano all’altezza di quanto appena ascoltato. Delusione, giudizi affrettati con toni dispregiativi, switch a un altro singolo, album, artista o playlist che più si adatta alle nostre esigenze: queste sono alcune delle reazioni più immediate.
Senza scadere nell’encomio di una vacua nostalgia, bisogna tenere a mente che circa trenta o venti anni fa, quando la musica era più costosa e gli apparecchi per la sua riproduzione non erano ovunque, si avevano quei pochi dischi e, per un fruitore mediamente abbiente, la scelta doveva rimanere ristretta. Il pregio di una libera scelta, oggi, viene controbilanciato dalla possibilità di passare a qualsiasi brano si voglia senza la minima fatica, arrivando a spremere da questo, subito, tutte le endorfine e la dopamina rilasciati quindici secondo dopo l’avvio della riproduzione della traccia. Ma se leggeri, con l’agilità di un colibrì, andiamo di brano in brano per coglierne il nettare più in vista, non avremo mai la possibilità di godere di quello più buono e nutriente, che spesso si raduna sul fondo e lo si trova dopo qualche ricerca.
Le canzoni sono composte da parole e queste, portatrici di un significato che non sempre viene percepito di primo acchito, hanno l’esigenza di essere comprese, quindi parafrasando e riutilizzando una poesia di Valerio Magrelli, per assaporarle e renderle funzionali andrebbero ascoltate, riascoltate, ascoltate e messe a riposo. Ogni ascolto compie una ricarica di significato che si andrà a sedimentare nel nostro cervello fino a che non esploderà quando incontreremo una situazione analoga a quella raccontata nella canzone, fino a che non ci troveremo in un contesto che la riporti a galla fra i nostri mille pensieri, fino a che non si andrà a posare su un oggetto, una persona o una situazione che stiamo osservando arricchendola di sfumature percettive.
Se qualche artista di nostro gradimento ha fatto un disco che a primo impatto ci ha deluso, se un brano ha qualche frase che ci ha particolarmente toccato, diamogli più di qualche opportunità. Se una canzone ha intrappolato ricordi relativi ad un solo momento e ascoltarla ci fa pensare solo esclusivamente a quell’istante, troviamo il coraggio di aprire i cancelli del significato e diamogli l’opportunità di averne di nuovi permettendo a questa di ri-vivere insieme a noi. Non è sempre il brano a catturare i nostri ricordi o emozioni, siamo noi a fare le associazioni di pensiero e siamo noi, volenti o nolenti, ad indirizzarle.
2) Socializziamo la musica
Il meccanismo di alienazione che si crea quando si inseriscono le cuffie o le cuffiette, si riflette anche nell’ascolto della musica. Il gesto di porre gli auricolari alle orecchie comunica la volontà di rifiutare suoni esterni e di scegliere l’ascolto di ciò che vogliamo. Tale scelta, automaticamente, ci taglia dalla rete relazionale circostante e non ci permette di avvertire sonoramente quanto accade intorno. Da tutto ciò non si deve desumere che l’ascolto privato della musica sia un male, assolutamente no, anzi, spesso è un luogo di comfort piacevole, rilassante, rigenerante, ma sarebbe auspicabile che non finisse lì.
Capita di essere gelosi di ciò che si ascolta, di artisti scovati in anteprima, ma la condivisione di questa in realtà permette alla musica di uscire dagli auricolari, di assumere un significato corale e di incamerare più valore di quanto ne aveva prima. Un confronto pacato su una canzone, su un album, permette di immettere questo nel tessuto sociale conferendogli un nuovo senso: in una discussione potremmo scoprire qualche rimando a noi sconosciuto fatto dall’artista, potremmo comprendere alcuni passaggi testuali non chiari, potremmo scoprire artisti simili e potremmo metterci in gioco spiegando ancora meglio perché ci piace. Avere un gruppo di persone, di amici, di conoscenti, con cui parlare di musica arricchirà tanto il nostro bagaglio culturale musicale quanto quello empatico.
3) Condividiamo la musica, ma non solamente sui social.
Spesso mettere una storia su Instagram o fare un post su Facebook con una canzone è più un manifesto programmatico di sé stessi che una condivisione di musica. Chi si appresta a leggere il nostro post, a vedere la nostra storia, si farà automaticamente un’idea della persona che sta osservando e noi, unici architetti e costruttori del nostro stesso avatar sociale, cercheremo di far costruire la nostra persona al prossimo come più vogliamo: pochi condividono musica impopolare per proprio gusto, in molti lo fanno per darsi un tono intellettualoide e da contestatore ideologico. Vero, dai social possiamo scoprire tanta nuova musica, ma essa rimarrà comunque racchiusa nel digitale se non la si farà vivere nel sensibile concreto.
Per far sì che la condivisione sia più funzionale, iniziamo a farla uscire dagli schermi e se c’è un rapporto tale da permetterlo e il benestare di chi ci circonda, mettiamo la nostra musica in auto, mettiamola in uno speaker o in una cassa, introduciamo il brano che stiamo per selezionare suggerendo qualche curiosità che possa stuzzicare le persone che sono all’ascolto con noi: quanto detto da un/a amico/a poco prima o poco dopo l’ascolto, molto spesso, si incastona nel senso o nei suoni del brano e magari, in una prossima riproduzione, tornerà in mente.
4) Affidiamoci alle riviste di settore o a chi ne sa più di noi
No, questa non è un’auto-promozione, è proprio un invito.
Se non riusciamo a comprendere un brano, un album, un/a artista e se crediamo che dietro si possa celare molto di più rispetto a ciò che ascoltiamo, non esitiamo a chiedere a chi sappiamo possa conoscere più informazioni di noi, oppure non aspettiamo a cercare articoli specifici di settore: chi scrive vuole dare informazioni che non emergono subito in superficie e, implicitamente, ha piacere nel condividere quanto sa.
Gli articoli delle riviste di molti magazine, o meglio ancora le interviste, permettono di acquisire nuove finestre prospettiche da cui osservare e ascoltare il fenomeno musicale, ci aiutano ad addentrarci dentro la percezione musicale individuale e ci guidano ad uscirne forti di nuove scoperte.
Ci sono ottimi magazine e ottime riviste che, con una squadra assemblata di persone, quotidianamente si affaccendano a ricercare informazioni rilevanti per gli ascoltatori: sfruttiamole al fine di apprezzare ancora meglio quanto ascoltiamo.
Ci sono sicuramente prodotti che, anche se ascoltati più volte, proprio non riusciranno a piacerci, ma il punto è un altro: quando decidiamo di mettere in riproduzione una canzone, decidiamo di ascoltare quanto qualcuno ha da dire, non importa quanto questo profondo sia.
Non va dimenticato che la musica per molti di noi è una passione e un passatempo, ma per chi la affronta in maniera seria questa diventa proprio un lavoro: dietro un artista spesso si nasconde una squadra di musicisti, di fonici professionisti, di addetti alla stampa, di specialisti nella comunicazione che non vengono mai abbastanza messi in risalto. Quando insultiamo beceramente un brano, stiamo disprezzando involontariamente un grande insieme di persone.
Gli instore, le frequenti date di spettacoli dal vivo (quando questo è possibile), gli eventi in libreria, le dirette sui social, oltre che fonti di guadagno, sono tutti stratagemmi per cercare di ri-costruire un ponte tra il produttore e l’ascoltatore che non sempre rimane visibile quando la sua musica piomba nelle nostre piattaforme streaming e quando questa sparisce dalla home delle varie applicazioni perché, a causa degli algoritmi del programma, viene sostituita dagli ultimi ascolti.
Quanto appena suggerito sono delle semplici azioni che inavvertitamente si inscrivono nella nostra routinaria giornata, ma secondo il mio parere, se fatte coscienziosamente, permettono alla musica di riempirsi, di diventare piena, di divincolarsi dall’effimero consumo “usa e getta”, di incamerare senso, emozioni, ricordi e di acquisire un valore che la sovraproduzione spesso fa apparentemente scomparire.
Se la musica che ascoltiamo è di valore, sarà solo il vaglio del tempo a dircelo, ma a costruire i nostri ricordi siamo noi stessi e se questi verranno accompagnati dalla giusta colonna sonora avranno un valore inestimabile, anche a distanza di decenni.
Di Riccardo Bellabarba
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