Di che cosa ha bisogno del rap italiano oggi? Ha bisogno di un “Kvaratskhelia“ che dal nulla cambi le regole del gioco?
L’industria musicale deve cambiare approccio con gli artisti? C’è bisogno di un’evoluzione? O va tutto bene così? La verità non la conosciamo neanche noi ma in queste righe vogliamo fornire un’analisi e creare una discussione sulla piega che sta prendendo il rap in Italia.
Ormai quella che poteva sembrare una paranoia o una banale lamentela sta diventando un elefante nella stanza troppo grande da non notare: il rap italiano dopo un periodo di apparente maturità e innovazione sta entrando in un periodo di stagnazione. Questo perché? Banalmente forse perché il rap è diventato un genere enorme, forse troppo, e proprio per il suo essere pachidermico è incapace di procedere, intrappolato in una confort zone asfissiante.
Questo fenomeno è facilmente analizzabile nei “big” che analogamente ai bomber della nostra amata Serie A stanno faticando a trovare il giusto rendimento, infatti i vari Marracash, Rkomi, Luchè e altri proprio come Lukaku, Vlaohvic e Immobile non sembrano essere più motivati a fare quello che fanno (eccezion fatta per Guè nei panni di un sempreverde Ibrahimovic). Quindi, quale può essere una possibile soluzione?
Ora ti spiego cosa intendo per Kvaratskhelia nel rap italiano
Beh, ovviamente, come in una squadra di calcio, se i big non brillano si dà spazio ai giovani, infatti la nostra Serie A del rap pullula di giovanissimi talenti dal grande potenziale che nel corso dell’anno passato e di questa prima metà del 2023 hanno già fatto sentire grandi cose: similmente al talento georgiano che sta facendo sognare i tifosi partenopei anche rapper come Kid Yugi, 18K, e Kira stanno spaccando il “campionato del rap” dimostrandosi non solo “enfant prodige” ma all’altezza di un vero confronto coi grandi.
Di conseguenza se il talento non manca, perché ci si trova davanti questo appiattimento della qualità? In primo luogo, la colpa è nostra in quanto ascoltatori, fruitori e amanti (nel senso più carnale) del genere, abbiamo lasciato che la nostra soglia dell’attenzione si abbassasse quasi ad un “modello tik tok” dove le canzoni ma soprattutto i dischi durano il tempo di un reel, di conseguenza la musica essendo un mass media, viene incontro a quelle che sono le esigenze della massa (e quindi del mercato) e se il pubblico ha esigenze così basse già si compie il primo passo falso.
Ma se questa tesi si può estendere a qualsiasi genere o forma d’arte in generale ora vorrei soffermarmi a un vero e proprio morbo che tocca più da vicino i rapper in questi ultimi anni: l’evoluzione artistica. Il tema, o meglio l’ansia di evolversi e di espandere la propria musica (o i propri profitti) al di fuori del rap non è nulla di nuovo, esempi illustri possono essere Neffa o i Sottotono che hanno saputo ben innovare la loro carriera anche al di fuori del rap in senso stretto.
Ma cosa è cambiato negli ultimi anni? Fondamentalmente tutto. Il rap non è più un genere di nicchia ma una colonna portante della musica e soprattutto dell’industria musicale italiana, diventando un vero e proprio macro genere che assorbe altri generi in cerca di una forma perfetta, è lecito quindi che i rapper vogliano espandersi cercando quindi una propria “evoluzione artistica” che li elevi dal suolo e li consacri, il problema però sorge quando dopo aver bandito questa crociata musicale alla ricerca di suoni inesplorati si arriva a toccare le terre esploratissime del pop più becero e anonimo e subito la crociata diventa una gita fuori porta anche abbastanza noiosa. È un problema fare pop? Ovviamente no.
È un problema quando un rapper decide di pop-izzarsi di punto in bianco? Ni (a seconda dei gusti), ma sicuramente è un problema millantare un’evoluzione che non c’è, che non solo non evolve ma aiuta a perdere identità musicale e volendo mal pensare anche non gestita dall’artista stesso. Diventa quindi sbagliato parlare di evoluzione in questi casi ma sicuramente un rapper che non vuole fare rap è sintomo di una grave incertezza del genere musicale.
Certamente non è sempre così e ne è un esempio lampante Lazza, nonostante la partecipazione a Sanremo abbia fatto storcere il naso ad alcuni è uscito vittorioso dal campo di battaglia più nazionalpopolare d’Italia e con la fedina penale della credibilità intatta, infatti se il palco di Sanremo poteva presupporre un cambio musicale come detto sopra, Lazza non sembra essersi piegato al nuovo pubblico post kermesse e le nuove uscite (il singolo “Zonda” e il 64 bars uscito recentemente) fanno ben sperare.
Quindi un ipotetico Kvaratskhelia risolverebbe davvero tutto?
Il rap mainstream sembra (purtroppo) essere sempre più omologato e ancorato ai soliti tre, quattro stilemi o modi di fare. Uno di questi è sicuramente il fenomeno, a tratti odioso, delle “deluxe edition”. Anche qui nulla di particolarmente nuovo, esistono dall’alba dei tempi della musica ma forse la loro gestione nel rap italiano ultimamente lascia a desiderare. Innanzitutto, perché un rapper decide di rilasciare una deluxe edition? Forse perché crede che il ciclo vitale del disco non sia ancora terminato o perché vuole migliorare o aggiornare il tema di un album, qualunque sia la vera motivazione la deluxe dovrebbe aggiungere qualcosa di nuovo, rafforzare il concept generale dell’opera.
Molto spesso invece non è così e ci troviamo delle tracce aggiuntive spoglie e prive di vitalità che spesso rovinano anche l’opera iniziale e dettate quasi da esigenze commerciali o di streaming. Questo sembra essere il caso di Geolier; se “Il Coraggio Dei Bambini” rimane uno dei dischi più forti di quest’anno, non si può dire lo stesso della deluxe edition uscita recentemente che non è per nulla all’altezza dell’opera prima e quasi vanifica lo sforzo originale.
Conclusioni
Tirando le somme se il calcio italiano sembra essere in ripresa ciò non si può dire del rap che nella sua fase di maggior espansione commerciale, sembra non stia vivendo un grande momento a livello creativo, ovviamente non si intende costruire un processo alle intenzioni né ai singoli artisti né alle case discografiche ma è chiaro che qualcosa si stia rompendo. Tutto ciò che è stato detto potrebbe anche far storcere il naso a qualcuno ma dietro questa riflessione non c’è nessun intento moralistico o didascalico, sarebbe saccente imporre soluzioni valide per tutti ma è sicuramente nostro compito creare discussioni creative e dare nuovi punti di vista, anche trasversali, su di un genere che ci ha dato e continua a darci tanto.
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