Non ci sono dubbi riguardo al fatto che l’America sia da sempre riconosciuta come la Mecca dell’hip hop mondiale, forte di un imponente appeal culturale – prima ancora che musicale – capace di influenzare il mondo intero. Lo stesso appeal che, dopotutto, ha reso sin qui possibile l’esportazione della cultura hip hop in giro per il mondo, generando oceaniche folle di seguaci. Con un’Europa in continua crescita – in termini artistici ma anche di coesione tra i propri urban artists -, è innegabile, d’altronde, che gli equilibri del rap mondiale siano inevitabilmente destinati a cambiare.
Negli ultimi tempi, infatti, numerose sono state le collaborazioni fra i vari rapper sparsi in giro per l’Europa (pensiamo a Rondodasosa con Central Cee, a Shiva con Aitch, o ancora a Capo Plaza con Ninho) e particolarmente approfondita la ricerca di nuove declinazioni del genere più amato del momento. E sebbene Italia, Francia e Germania abbiano acquisito un evidente peso all’interno dello scacchiere internazionale – in termini musicali –, partendo dal grime fino alla più recente UK drill, è bene sottolineare che il Regno Unito si sia distinto in qualità di maggior competitor degli americani, o più semplicemente come una valida alternativa al più classico genere trap.
Tuttavia, bisogna riconoscere che il continente più vecchio del pianeta non goda della stessa influenza e dello stesso impatto culturale di cui ancora oggi gode la cosiddetta ‘terra delle opportunità’, quest’ultima non a caso riconosciuta come unico centro di riferimento nel dibattito sull’hip hop. In altre parole, l’America sarebbe dotata di un ‘soft power‘ – concetto tipico della teoria relativa alle relazioni internazionali – nettamente superiore a quello europeo, laddove per ‘soft power’, ovviamente, si intenda l’abilità di un potere politico di persuadere, convincere, attrarre e cooptare – tramite risorse intangibili quali cultura, valori e istituzioni della politica –, e che abbia come fonti principali la cultura di massa e i media. Il problema, dunque, non sarebbe di natura musicale, bensì di natura culturale. Ne consegue, quindi, che solo con il verificarsi di un aumento del ‘soft power’ europeo – tramite specifici investimenti orientati verso cultura, media, politica estera ecc. – potrebbe a sua volta verificarsi un sorpasso ai danni degli States, fino ad ottenere dei risultati che possano riflettersi anche in ambito musicale. Solo ed esclusivamente in questa maniera l’Europa potrebbe in qualche modo sperare di trasformarsi nella più forte potenza culturale attiva nel mondo, capace di imporsi sulle tradizioni e sulle abitudini di chi lo popola.
In conclusione, i presupposti che – almeno in teoria – renderebbero l’Europa il prossimo epicentro del rap mondiale sono presenti e in continua crescita. Musicalmente parlando, infatti, il divario fra le due ‘potenze’ (quella americana e quella europea) sembrerebbe oggi diminuito in maniera considerevole rispetto al passato, grazie all’operato di interessanti e carismatici artisti, subito seguiti da una schiera di producers validi e all’avanguardia, che renderebbero a pieno titolo la scena europea quale una delle più interessanti in circolazione. Ma per fare in modo che una tale rivoluzione sia possibile, è importante comprendere che la battaglia decisiva sia oggi da giocarsi in ambito extra-musicale e non diversamente.
Di Ciro Arena
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