Kodak Black è esattamente una di quelle persone che viene salvata dal rap, e non una volta, ma costantemente. Questo lo si può intuire ascoltando il suo ultimo progetto uscito venerdì scorso “When I Was Dead” ma anche dalla sua stessa vita. Per questo motivo vorrei fare una prospettiva sulla sua vita prima di parlare del suo nuovo progetto. Perché probabilmente senza aver chiaro chi è Kodak Black non potremmo comprendere appieno il suo ultimo album, già a partire dal titolo, cioè, “Quando ero morto”.
Quindi o pensiamo che Kodak abbia fatto un album ispirato al “Fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello, oppure cerchiamo di capire questa rapstar e guardiamo a tutta la sua carriera. Il titolo sembra riferirsi al Kodak Black del 2018, quando era convinto che per vivere bisognava morire, come recita l’album fatto uscire dalla prigione: “Dying to Live”.
Comprendere la vita di Kodak Black per capire “When I Was Dead”
Il rapper classe ’97 nasce da genitori haitiani immigrati a Pompano Beach in Florida. Kodak inizia a rappare alle elementari e a frequentare una casa di spaccio dove poteva registrare musica. Nel 2009 si unisce al suo primo gruppo rap i Brutal Youngnz all’età di 12 anni.
Nel 2013 pubblica il suo primo progetto “Project Baby”. Un titolo che è sia una descrizione che un destino perché, se guardiamo la vita di Kodak è inevitabile pensare che sia un predestinato dei prefabbricati. Sembra un predestinato perché per lui rap e crimine sono andati a braccetto fin dall’infanzia, sembra che non possa fare a meno di sfuggire a un destino di criminalità e prigione nonostante il successo. Ma andiamo per gradi. Il bimbo del project finisce varie volte in un centro di detenzione giovanile, prima di raggiungere la maggior età per essere arrestato ufficialmente la prima volta nel 2015.
Le accuse rivolte a Kodak sono le più svariate: rapina, aggressione, sequestro di minori, possesso di cannabis, possesso di armi da fuoco e violenze sessuali. Accuse che si palesano nel 2015 e che ritorneranno in continuazione nella vita della rapstar. Kodak non si fa mancare niente della parte malsana dei project, o forse, è proprio lui che non può farne a meno. Kodak è una vera testa calda.
Giusto per capire quanto sia calda dopo il 2015 è stato arrestato anche nel 2016, nel 2017 e nel 2018. Quest’ultimo arresto lo vede protagonista di un video in diretta streaming su Instagram, dove passa una canna e un’arma da sparo ad un bambino. Nel 2019 viene arrestato di nuovo e potremmo dilungarci sui particolari delle varie accuse che gli sono state rivolte, ma passiamo oltre.
La conversione
Credo che sia un momento fondamentale della vita di Kodak e un tratto che, oltre a caratterizzarlo come persona, caratterizza anche il suo rap. Torniamo indietro nel tempo rispetto a quanto detto fin qui. Tra il 2014 e il 2018 al di là dei crimini, avviene una trasformazione nel project baby. Il rapper scopre la propria spiritualità grazie al prete della prigione con cui studia le Sacre scritture.
Grazie a questo incontro Kodak iniziò a identificarsi come ebreo israelita. Nel 2018 cambierà il proprio nome ribattezzandosi come Bill Kahan Blanco, dove Kahan dovrebbe riferirsi alla parola ebraica che sta per sacerdote.
Al cospetto della sua vita tappezzata di crimini e prigione, pensare che Bill Israel abbia una così spiccata sensibilità religiosa può sembrare strano, anzi, quasi impossibile. Ma c’è un nesso tra religione e rap che non smetterà mai di riemergere nella storia del genere e l’ultimo album di Kodak ne è l’ennesima testimonianza.
Cosa c’è di più religioso dell’aspirare alla redenzione dalla propria vita criminale?
When I Was Dead è un album che ha il sapore di redenzione, ma anche no. Diciamo che più di una vera e propria redenzione Kodak aspira a redimersi. Kodak sembra prendere coscienza della propria vita sregolata, rendendosi conto di quanto egli stesso sia responsabile del proprio stato. Sembra voler liberarsi dalla necessità di morire per vivere.
Quand’è che Kodak era morto? Kodak era morto prima di metabolizzare il fatto di essere stato in un brutto angolo per tutta la sua dannata vita. Così come possiamo ascoltare nel ritornello dell’ultimo pezzo del disco, in collaborazione con OG Bobby Billions:
«I’ve been on the ugly corner all my damn life, every day a tragedy
he streets done took over, ain’t nothin’ nice, I can’t even master peace»
Kodak cambia la propria visione del mondo, si rende conto che deve dominare la pace, deve proteggerla, perché come dice in “Fuck you too”:
«I’m at peace with myself, I don’t need nobody to make me happy
Still waitin’ for thangs don’t value me
Where were you when I couldn’t stay out that county jail for nothin’ and everybody used to laugh at me?»
Bill K. Blanco ha trovato la pace con sé stesso e non ha più bisogno di nessuno per essere felice. La nuova consapevolezza di K non riguarda soltanto il fatto di essere in pace, ma l’aspirazione alla redenzione dalla sua tragedia quotidiana. Kodak è alla ricerca di una via d’uscita da una vita che lo vede come un predestinato, ma non in senso positivo.
Nel corso dell’album ci sono due tappe fondamentali che ci fanno comprendere l’aspirazione di Kodak. Queste tappe sono “Eaze your mind” e “Right in time”. Entrambe sono dedicate ad una Lei che spinge Kodak a voler uscire fuori dal suo stile di vita, così come recita l’ultima barra di “Right in time”: «I cleaned up and got sober, now, I’m thinking better».
Non si tratta solo di amore. Kodak lo rende chiaro in “Close to me” e in “I’m Kodak”. La prima è una presa di coscienza della propria posizione nel mondo, dove Kodak confessa a sé stesso e ai propri fan che:
«Mentally, I’m dyin’, physically, I’m drained
I’m fucked up emotionally
And spiritually, I’m dead, been livin’ on the edge
Can’t let no one get close to me»
La sincerità del super gremlin si fa ancora più diretta nel secondo pezzo.
“I’m Kodak” è una strofa senza ritornello che fa il punto esistenziale della vita del project baby e direi che è il pezzo più rappresentativo del messaggio che vuole veicolare con “When I Was Dead”.
Kodak ha pubblicato un album dove le collaborazioni sono ridotte all’osso, infatti, vediamo apparire solo WizDaWizard, Wam Spin tha Bean e OG Bobby Billions. Se guardiamo alle collaborazioni dell’album del 2018, quando era convinto che si dovesse morire per vivere, capiamo quanto questo progetto sia molto più intimo. Sembra che Kodak voglia circondarsi soltanto dell’essenziale nella propria vita, così come nella propria carriera e nelle proprie rime.
Possiamo dire che Kodak Black non si limita a restituire la realtà come la fotografia di una Kodak, ma prende il negativo tenendolo fermo davanti a sé con la volontà di superarlo, alla ricerca di una pace che è più faticosa di qualsiasi successo.
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