Immaginate di mangiare il vostro piatto preferito, fatto con gli ingredienti più costosi, ricercati e di qualità possibili, ma preparato male, ma non così male, e con tempi di cottura sbagliati, ma non di troppo.
Indubbiamente vi piacerà, riconoscete gli ingredienti e ne riconoscete il pregio, ma proprio perché è il vostro piatto preferito sarete anche più critici nel valutarne i pregi e i difetti. “17” di Emis Killa e Jake la Furia è così; sarebbe potuto essere il nostro piatto preferito, ma non riesce ad esserlo, sebbene resti un prodotto di alta qualità.
Recensione di 17
La qualità portata innanzitutto da un Jake la Furia, che dopo un periodo di riposo e di vacanza passata nelle radio degli italiani con i suoi brani estivi e più leggeri, è pronto a tornare nella palestra del rap game e nonostante qualche incertezza, l’ex Club Dogo inizia la sua riabilitazione fisica con la classe e l’abilità che da sempre lo hanno contraddistinto.
Non si può dire lo stesso di Emis Killa però, che nonostante, come per il collega, abbia una penna ottima e dalla quale tutta la scena dovrebbe ispirarsi, putroppo cade nell’errore di mantenere sempre il medesimo flow, non cambiando quasi mai modo di rappare. Questo non sarebbe tanto un problema se non fosse aggravato dal fatto che i suoi ritornelli sono veramente scoutistici e banali e che quelle che per Jake sono delle semplici incertezze, per Emis diventano delle vere e proprie gaffe.
A penalizzare ancora l’operato dei due rapper milanesi, c’è la troppa lunghezza del disco: diciassette tracce. Non sarebbe un gran difetto se non fosse che, a differenza di precedenti celebri della stessa lunghezza (vedi “Mr. Fini” ) non c’è la minima variazione di stile e tematiche, rendendo il tutto monotono, il che, complice la bassa soglia d’attenzione dell’ascoltatore medio, rende 17 un boccone difficile da digerire.
La stessa monotonia si può trovare nelle produzioni, ma in questo caso il discorso è diverso, musicalmente ci troviamo davanti a un lavoro notevole, ben curato e tecnicamente perfetto, anche in questo caso ad inficiare sull’ascolto è la lunghezza eccessiva che fa scadere nel ripetitivo produzione altrimenti di altissimo livello.
Nonostante tutto ciò, per i giovani resta un lavoro miliare, rappato davvero bene e costruito ad hoc per far sentire ai ragazzi un po’ di rap fatto come a dovere sebbene sia spogliato delle vere tematiche hip hop, che potevano dare al disco un notevole valore aggiunto.
Guardando i featuring, il disco continua a sembrare altalenante, dove Salmo e Fabri Fibra deludono, Lazza, soprattutto nella prima collaborazione, e Massimo Pericolo stupiscono. Differente è il discorso Tedua, la sua strofa è di per se ottima, ma risulta completamente fuori luogo con ciò che la circonda.
Dopo un percorso così tortuoso arriverei a quello che è il vero difetto del disco, il vero motivo per cui tutti lo hanno percepito così sottotono: l’hype.
Il disco non paga i tre mesi di attesa e tutte le promesse fatte: il prodotto, anche a detta delle molte orecchie dei fan, sente la pressione di una campagna di marketing troppo lunga, sbagliata e fuorviante, a partire dal rilasciare un solo singolo, sino al reveal della discutibile copertina. Annunciarlo come “il disco veramente rap” è stata una mossa azzardata, che ha reso Jake e Emis vittime della loro stessa tracotanza.
Una nota d’onore va infine fatta a “Renè & Francis‘, probabilmente miglior traccia del disco e uno dei migliori storytelling dell’anno con davvero pochi rivali, dove il voler essere “Malandrini” o criminali, non stona anche se raccontato da due padri di famiglia, in quanto recitano la storia vera di due famosi gangster del passato.
Un articolo di Giordano Conversini e Alessandro Toso
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