15 anni, vita che corre, cuore che galoppa. Qualche tempo fa ho visto in rete un’intervista di Michela Murgia, in cui la scrittrice rifletteva sulla potenza di quell’età: “il momento in cui ciascuno di noi poteva ancora essere tutto“. Forse in quell’età si nasconde la convinzione di poter diventare chiunque si voglia, l’ingenuità di sentire nelle proprie mani il peso del mondo e sulla propria lingua il sapore dell’esperienza. 15 anni, a gambe divaricate tra l’infanzia che va via e la vita vera che bussa alla porta come una disperata. 15 anni Coez li aveva nel 1998.
“1998” è anche il titolo dell’ultimo disco di Coez, disponibile ovunque a partire da venerdì 13 giugno.

Tra il lettering del titolo sulla copertina si intravedono delle foto in analogico, i colori sbiaditi che sembrano fermi immagini di un’emittente televisiva di fine millennio. Il blu della cover è desaturato, quasi consumato dall’uso, come se il colore portasse i segni dei 27 anni che lo separano dal presente. C’è tanta vita vissuta in quelle istantanee, oleate di una malinconia: c’è la storia di Silvano, quella di Coez, la mia che sono nato in quell’anno, la tua che sei mio coetaneo, la tua che sei nato 3 anni dopo, 2 prima, 10 dopo, 5 prima.
Silvano ferma il tempo, riavvolge il nastro e nel suo ultimo disco ci racconta quella precisa tornata d’anni della vita di ognuno, quel momento di estrema potenza e fragilità insieme, la sensazione di essere in bilico sul baratro del futuro. “1998” è un momento personale e universale, è l’anno di Coez e di tutti coloro che sentono il bisogno di ritornare a quella purezza adolescenziale che, nel corso della vita che passa, inevitabilmente.
In realtà è un momento in cui, prima del 2001 e anche della diffusione capillare di Internet, dove ancora c’era come una speranza che le cose potessero continuare a essere un pochino più solari. C’era più speranza. Poi te lo dico da figlio di Internet, perché senza non sarei nato, cioè proprio a livello artistico, però almeno fino alla fine degli anni ‘90 c’era ancora un filo di speranza nel futuro. Ti ricordi poi tutto il terrore per il Millennium Bug?
Coez, intervista per GQ Italia
Per me Coez ha un ruolo particolare. “Faccio un Casino” è l’album che nel 2017 ha intercettato le necessità emotiva della mia generazione, facendosi colonna sonora di quel giro di vita che stringe la fine del liceo e l’inizio dell’università; quelle tracce sono rimaste scolpite in un immaginario forte, portatrici della rivoluzione “indie”, divenendo gli inni dell’itpop all’italiana ed entrando ad honorem nelle canzoni da cantare a squarciagola in auto, sulla spiaggia, strimpellando una chitarra. Un pubblico intero, coeso e riconoscente, ha fatto in modo che quei brani non scadessero, ma rimanessero nel tempo come l’occhiello alle pagine di un libro che non vuoi dimenticare e si sono legati all’artista come voce narrante di esperienze indelebili.

Mi spiego meglio. Con il tempo Coez, perdonato dalla nicchia per aver tradito l’hiphop, è riuscito a consolidare intorno a sé una fanbase concreta, che è cresciuta con lui, che ha seguito il graduale passaggio dalle barre alla melodia, ne ha apprezzato l’evoluzione e riconosciuto l’autenticità, sinceramente legandosi all’artista perché cantore di una generazione intera, quella nata tra la fine dei ’90 e i primi ’00. Non mi riferisco alla massa di pubblico che portano gli streaming a sei zeri e i riconoscimenti di diamante: quelli sono ascoltatori evanescenti, che sfumano nel giro di un anno. Silvano col tempo ha aggregato intorno a sé una nuvola di streamer reali che gli hanno garantito la possibilità di sperimentare, senza mai perdere pubblico.
Quest’ultimo disco viene dopo l’esperienza di “LoveBars” in collaborazione con Frah Quintale, un disco acclamato, fresco, in cui l’RnB, l’elettronica, il soul, il rap incontrano l’indie italiano in un esperimento alternativo riuscito sia in studio sia in tour; l’ultimo disco segue “Volare“, in cui Coez riscava le sue origini street, tra barre, boom bap e Brokenspeakers. Il Silvano degli ultimi anni devia dal seminato e può permettersi di farlo, perché ha l’approvazione di un pubblico che si fida di lui.
“1998” inverte la tendenze e ci restituisce un Coez più classico, melodico e romantico; meno sperimentale e aggressivo, ma più riflessivo e sentimentale. Gli occhiali scuri, i brand e la vita veloce che erano emersi negli ultimi lavori scompaiono in questo progetto che racconta la nostalgia per un passato emotivo puro, in cui ritrovarsi. Coez non scrive un disco per adolescenti, ma si rivolge alla parte più matura, fedele e attaccata della sua fanbase, per rivivere un’adolescenza che è personale e condivisa contemporaneamente, in cui amori, assenze, amicizie e rimorsi si fondono. L’artista ritorna ad un’impostazione meno peregrina e più canonica, più vicina alle orecchie dello zoccolo duro del suo pubblico: “1998” non è un disco estetico che diverte, ma un album ritorna nei ranghi per scendere in profondità. Coez per capire i suoi cambiamenti (e farci capire i nostri) rimane sempre uguale a sé stesso.
Il disco si apre con un’assenza: “Nessun Tramonto” racconta di una persona che si perde dopo aver promesso di tornare, di un’assenza mai colmata. In diverse interviste Coez ha sottolineato come nella prima metà del disco aleggi la morte, un forte sentimento di mancanza. I brani incalzano ed effettivamente l’argomento viene sviscerato nelle prime tracce come “Qualcosa di grande” o “Dentro al fumo“, in cui l’artista romano parla addirittura di “un’ombra su di me”.
Il tema, però, la sua più piena realizzazione in “Estate 1998“, uno dei brani più riusciti dell’intero progetto. Su una base britpop che strizza l’occhio al rock leggero degli Oasis, Silvano si lascia andare a uno storytelling in cui emergono i contorni di una persona che non c’è più, di un amico andato via, di qualcosa che è sfuggito dalle mani. L’ambientazione della traccia è magnetica e trasuda l’estetica di fine anni ’90 promessa dal titolo: tra canotte Jordan, giri in motorino e il Daspo allo stadio, Coez tratteggia una gioventù affamata di vita sull’orlo del nuovo millennio, ignara della rivoluzione tecnologica, sospinta solo da un’orizzonte di sconsacrata felicità.
La canotta di Jordan, mi dicevi: “Ti giuro, taglierò la corda”
Coez – Estate 1998 (1998, 2025)
Qua la vita è strana chi per come noi nasce sotto una stella storta
E ogni tanto sparivi, t’urlavo da sotto: “Scendi, ti sbrighi?”
Era il ’98, prima del botto, prima dei telefonini
In due con un casco, l’adesivo di Vasco
Allo stadio col Daspo, poi sei scomparso
Faceva strano vederti in quei giri
Coez continua e nel resto del disco riavvolge il nastro della sua vita, guarda il passato con nostalgia, rilegge il presente con consapevolezza e sofferenza. L’artista riunisce i tasselli della sua storia e li racconta. Non importa se non condividi il suo stesso orizzonte esperienziale: per Coez la musica è empatia inconsapevole in storie che non sono la tua, soggettivo e universale perdono le loro differenze. Dunque, nel disco c’è Roma, come sempre, in “Roma di Notte” in collaborazione con Franco126 e Tommaso Paradiso (unici featuring del progetto), dove la capitale fa da sfondo alla serie di amori che i diversi interpreti raccontano nelle strofe della traccia; in “1998” Coez inserisce anche indizi per i nostalgici e così “Mr. Nobody” riprende il concept di “Figlio di Nessuno“, album del 2009. Silvano racconta la storia della sua vita nella traccia (che non a caso è la più rap del disco), gli esordi, l’intuizione, il sogno della musica inseguito come unica salvezza da una vita meschina, lui che dopo 16 anni è diventato “Mr.”:
Ho lasciato un’ossessione fare breccia
Coez – Mr. Nobody (1998, 2025)
Ho seguito una visione nella nebbia
Piacere, Mr. Nobody
Se da un punto di vista tematico il disco è tenuto in piedi da un profondo lirismo, da una scrittura molto intima, che scava e va a fondo, da un punto di vista sonoro le tracce sono legate da un’atmosfera molto precisa. “1998” vive negli anni ’90, tra MTV e Malcolm, e si fa forte di un’ambientazione sonora che trasporta l’ascoltatore direttamente in quegli anni, tra britpop e sperimentalismo italiano. Non è un caso che il progetto abbia mosso i suoi primi passi in tre date a Londra, a Camden Town, quasi a voler ricollegarsi con un altrove sonoro, per ritornare a suonare davanti a pochissimi intimi, a sentire la musica in un altro modo. Di tutto ciò sono dimostrazione i video di “Ti manca l’aria” e “Mal di te” declinano un’estetica smaccatamente novantina, senza mezzi termini.
Da un punto di vista sonoro episodi come “Inverno 1998” e la stessa “Mal di te” trasportano l’ascoltatore sui palchi degli Oasis, degli Smiths, dei Cure: la nostalgia di Coez è anche sonora e impregna le tracce del disco che sono testimonianza di “quegli anni in cui la musica l’assorbivi senza neanche accorgertene”. Coez dà varietà al suo lavoro cercando un’atmosfera vintage ma fresca contemporaneamente: “Non dire no” prodotta da Riccardo Sinigallia sa di Roma all’Italiana alternative rock, “Roma di Notte” palleggia su una produzione leggera di Golden Years e la chitarra inglese taglia “Senza di te” prodotta da okgiorgio.
Chiudiamo.
Oggi non sei la sola
Coez – Il tempo vola (1998, 2915)
Sì, lo so che fa male guardarlo passare
Però il tempo vola
Guardi il mondo girare, la gente cambiare
E tu no, tu no, tu no, tu no
Io vorrei darti solo il poco che ho
Rimani ancora un po’
Anche se c’è rimasto poco
L’ultimo album di Coez è una retrospettiva al tempo che è passato, un ripercorrere le proprie orme per ritrovarsi e forse non è un caso che si concluda con “Il tempo vola“. Il brano è l’apice del progetto: Silvano fa un’ampia riflessione sullo scorrere del tempo, su come tutto cambi velocemente e come certe cose restino uguali a sé stesse. Il brano è intimo, delicato e tra le sue pieghe c’è il senso più profondo del disco: ritornare alle radici per scoprire i lati più nascosti, più profondi di sé, accettare la stabilità per abbracciare la mutevolezza.
“1998” è stato l’anno dell’età dell’oro di Coez. 1998 l’anno in cui sono nato io; forse lo stesso in cui sei nato tu che mi stai leggendo, che 15 anni li hai avuto e senti, al solo nominarli, la dolce nostalgia di un momento irripetibile della tua vita. Anche per te questo disco sarà un bellissimo e delicatissimo viaggio nel tempo.
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