Ketama126 ha sempre rappresentato il volto più crudo della Lovegang: non è un caso che la sua poetica fatta di eccessi l’abbia reso non solo un precursore della trap in Italia, ma anche uno dei massimi rappresentanti del sottogenere.
Tuttavia, ciò che lo ha distinto dai rapper della scena del 2016 è una spiccata tendenza alla sperimentazione (complice una formazione musicale più raffinata di quanto si possa pensare, evidente nell’approccio eclettico alla produzione), che, nonostante i risultati raggiunti, non ha mai virato in direzione del pop da classifica: dopo il primo passo nella scena mainstream avvenuto con “Oh Madonna” (2017), con “Rehab” (2018), ha intercettato, in anticipo sui tempi del rap italiano, la contaminazione oltreoceano fra trap e chitarre; nel 2019 ha pubblicato “Kety” (2019), l’album della consacrazione, il più “pop” fra tutti (le virgolette sono doverose, considerando il tenore dei contenuti); nel 2022 è stata la volta di “Armageddon”, disco in cui l’originalità delle produzioni (che riprendevano solo in parte la trap e la drill di tendenza) non ha sicuramente ricompensato in quanto a numeri; nel 2023 è tornato al boombap nel posse album “Cristi e Diavoli” e, nello stesso anno, ha attinto dall’afrobeat e dalla dancehall nei singoli Piano Piano e Cane… E poi?
E poi, a fine 2024 Ketama126 ha pubblicato “La Caciara”.
Già il titolo della canzone è un esibito richiamo alla romanità. Non che l’autore avesse mai nascosto il proprio senso di appartenenza alla città (parliamo pur sempre di un rapper che si porta Trastevere già nel nome d’arte), ma in questo brano anche le scelte lessicali, espressioni proverbiali comprese, sono orientate verso un recupero più marcato della dimensione neo-dialettale romanesca:
A chi tocca n’se ‘ngrugna (No)
Ketama126 – La Caciara (33, 2025)
Il più pulito ha la rogna (Ah-ah)
La verità è una menzogna
L’amore carogna
Che vita amara
Sirene in mezzo alla strada
Lei balla come ‘na gitana (Ehi)
Una di Magliana
Du’ piotte sulla tangenziale (Skrrt)
Senti che caciara
Musicalmente parlando, è evidente l’influenza dello stornello, rielaborato con cura e rispetto della tradizione, a differenza di recenti esperimenti sanremesi al limite del macchiettistico: la veste più trap di Ketama è in secondo piano, ma c’è sempre, dal cantato con l’autotune a qualche ad-lib aggiunto a mo’ di easter egg.
Questo brano è stato il primo assaggio del suo sesto album, intitolato “33”, come gli anni di Cristo, come gli anni che Ketama ha appena compiuto; d’altronde, i riferimenti e addirittura gli accostamenti al sacro sono sempre stati frequenti nella sua discografia (mi limito a citare «Sono Cristo, mia mamma è la Madonna» in Oh Madonna e «Sono Dio, sono Gucci Mane» in Giuro su Dio, ma c’è veramente l’imbarazzo della scelta).
Proprio lo scorrere del tempo è il tema principale dell’album, come evidente nel discorso in apertura del progetto, nel quale Ketama menziona Un tempo piccolo di Franco Califano e Il tempo di morire di Lucio Battisti, quasi ad anticipare all’ascoltatore di non aspettarsi un disco rap.
Er tempo… er tempo… er tempo brutto, er tempo bello. Er tempo è denaro dicono. Ma io dico che, se fosse denaro, se potrebbe comprà e invece n’se può. Il tempo speso male non te lo rimborsa nessuno. Il tempo è tutto ciò che abbiamo, ma non è mai abbastanza. Il tempo cura le ferite. “Dai tempo ar tempo”, dice. “C’è un tempo grande e un tempo piccolo”, come diceva qualcuno e anche “il tempo di morire”, come diceva qualcun altro. Ma ora non abbiamo tempo per morire. Ora è tempo di risorgere.
Ketama126 – Intro (Resurrezione) (33, 2025)

Dunque, “33” segna davvero la morte e la rinascita artistica di Ketama126 per come l’abbiamo conosciuto?
Indubbiamente l’album traccia un netto cambio di rotta musicale: nei 9 brani (escludendo i 2 skit), interamente prodotti in analogico, l’artista ibrida cantautorato, stornello, influenze sudamericane, musiche popolari e addirittura cassa dritta (presente nell’ultima traccia, remake della canzone romana Fiori Trasteverini, scritta da Romolo Balzani e interpretata da Gabriella Ferri), riducendo sensibilmente la componente rap. Anche la penna esplora nuovi territori: nei brani Balla da sola, Alla Frontiera e Che ne so, Kety sospende l’autobiografismo del rap e racconta storie di altri, avvicinandosi più alla testualità delle ballate cantautoriali che a quella dello storytelling hip-hop.
Un pescatore alle luci dell’alba ritira la rete
Ketama126, Che ne so (33, 2025)
A volte gli è andata bene, altre invece non c’era niente
C’è chi fa il mestiere più antico del mondo ma in città moderne
E ritorna a casa dopo che ha finito l’ultimo cliente
[…]
Un ragazzino che prende le botte fuori dalla scuola
Non se le scorda poi diventa grande e compra una pistola
Un barbone mi ha detto che tanto tempo fa era ricco, il numero uno
Ma che poi quando sono finiti i soldi non è più rimasto nessuno
“33” è anche il disco più introspettivo e malinconico di Ketama126. Barlumi di euforia si intravedono fra una traccia e l’altra, ma alla fine si rovescia la medaglia e rimane un’angosciante sensazione di vuoto, la solitudine di cui l’autore parla nella title track.
Se in Love Bandana (2019) ironizzava dicendo «a quarant’anni squaglio il disco d’oro, ma non è mica detto che c’arrivo», in “33” il (non più) Piccolo Kety sembra rendersi conto che quell’età non è poi così lontana: il tempo è volato e, per quanto il rapper non si senta diverso da prima, si guarda intorno e tutto è cambiato. Non è un caso che proprio il verbo cambiare, accordato alla descrizione di un senso di stasi, ricorra più volte nel disco:
E mentre fuori il mondo cambia, sopra la mia testa grandina
Ketama126 – 33 (33, 2025)
Provare a cambiare è inutile per me
Dolore dentro, provo a cambiare vita
Ketama126 – Un teschio e un fiore (33, 2025)
Ma tanto i problemi me li porto appresso, c’ho una calamita
Ma come si fa a cambiare, senza farsi o fare del male?
Ketama126 – Che ne so (33, 2025)
E tu che mi chiedi ancora come sto
Ma io che ne so?
Ketama126 non è cambiato, è cresciuto. “33” non è un ritorno alla trap, come in molti si auguravano, è il riflesso più sincero della sua maturità, l’ennesimo tassello nella discografia di un autore tanto imprevedibile quanto coerente.
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