Siamo a novembre e ci avviamo verso la conclusione di questo 2023 discretamente ricco di uscite. Vengono in mente Lil Yachty e Travis Scott per gli ottimi dischi realizzati, ma ottobre in particolare è stato il mese di Drake, nel bene e nel male. Il post di oggi ha l’obiettivo di consigliarvi un’uscita super interessante che forse non avete ascoltato.
“A Great Chaos” di Ken Carson è il disco in questione. Per chi non lo conoscesse, l’artista statunitense è nella cerchia di Playboi Carti e già questo può essere un indizio/stimolo per approfondirlo. Questa vicinanza al più celebre amico poteva essere considerato il principale motivo del suo seguito ma con “A Great Chaos” ha alzato il livello rispetto al precedente; infatti, in questo c’è più personalità e la scelta delle strumentali è più specifica, i brani sono più riconoscibili seppur seguono lo stesso mood del progetto. Ha dimostrato di avere un suo valore specifico e indipendente da chi lo circonda.
Partiamo dal titolo, “A Great Chaos”. Un titolo banale, se vogliamo non particolarmente profondo, ma sarebbe poco definirlo solo “azzeccato”. Riflette alla perfezione la caoticità delle atmosfere, beat con pause, difficili da definire a parole e la soggettività è necessaria per farlo, una mia amica parlerebbe di “atmosfere cibernetiche e ultraterrene”, per dire.
Caratteristiche comunque inscrivibili nel contesto del Rage Rap: un sottogenere riassumibile in maniera super semplicistica e forse erronea con “la roba che fa Playboi Carti”, ma è un tipo di musica decisamente da approfondire e con un immaginario tutto suo.
È proprio per questo che le vibes le cogli se apprezzi il rage rap. Io non sono addicted al rage rap, ma “A Great Chaos” mi ha mandato fuori di testa e mi ha incuriosito, ma non posso dire di aver colto il tutto. Mi è arrivato il chaos, questo è certo. Ma perché apprezzarlo? Da cosa nasce?
Molto banalmente il riferimento è al pezzo di Playboi Carti e Trippie Redd “Miss The Rage”, che si riferisce ai moshpit dei concerti, alle folle in visibilio e fuori di testa ai concerti di alcuni rapper americani che sicuramente avrete visto su qualche Reel/Tik Tok, mentre pensavate “quanto vorrei essere lì”.
Proprio per questo “A Great Chaos” sembra esser realizzato per essere performato nei contesti giusti rispettando le caratteristiche del genere a cui si ispira, con fan scatenati e presi bene. Tutto molto made in USA.
A proposito di ispirazioni, anche quelle non mancano. Partendo dal fatto che le produzioni e i mix sono il punto focale del progetto, così come nella rage, ci sono punti in cui le reference sono definibili. Prendiamo come esempio la traccia “Hardcore” in cui sono chiari i riferimenti ad artisti come Future, Playboi Carti, Young Thug e a quel tipo di mumble rap, con versi e frasi brevi ripetuti in loop.
Non per questo però Ken Carson non ha un approccio tutto suo. Oltre che dalle canzoni, possiamo vederlo in maniera tangibile anche grazie a un banale profilo Instagram creato dal rapper apposta per l’uscita del disco in cui ha pubblicato reference, video snippet, armi, e foto inerenti al suo immaginario “sgranato” in stile un po’ VHS, accompagnato da atmosfere horror. Basti anche vedere la cover del progetto per capire di cosa si parla.
Tornando alle tracce, ce ne sono più rilevanti di altre. Chiaramente o ti chiami Kendrick Lamar o progetti così lunghi nascondono dei filler. Partendo da “Green Room”, l’intro, Ken Carson si esprime su un beat etereo su temi personali, parlando ad esempio del suo passato, di come fosse un ragazzo senza speranze e di come non si aspettasse di raggiungere il successo. Temi comunque ricorrenti nel rap, chiaro.
Possiamo considerare come tracce rilevanti anche “Jennifer’s Body”, in cui c’è un richiamo al film omonimo, della quale ha anche realizzato un video, e in cui si esplicita di più la sua scelta di usare una voce acuta e pitchata, che non a tutti può piacere; “Succubus”, in cui inizia parlando della sua pu**ana emo che si taglia le vene, richiamando un immaginario “emo” nel senso di ”emotional”, ma il disco ha un’impronta rage appunto; “Fighting my demons”, brano virale su Tik Tok caratterizzato da uno switch del beat a metà canzone dopo il quale diventa più hardcore e cupa; infine abbiamo “i need u”, l’ultima traccia, molto diversa dalle altre, con vibes simili al resto del disco ma da cui si distacca. È romantica, speranzosa. Alla fine, se vogliamo, il disco tratta anche un po’ il tema dell’amore senza lieto fine.
Ken Carson ha avuto la sfortuna di uscire nello stesso periodo di Drake, ma realizzando un progetto di maggior personalità. Ne ho sentito parlare poco, molto poco, ma un gran bene dai pochi ascoltatori in Italia. Ma perché qualcuno dovrebbe preferire “A Great Chaos” a “For all the dogs”? Stando alla percezione e ai giudizi in giro, il disco di Drake viene considerato anonimo, puoi farne a meno. Drake è un artista fatto e finito, Ken Carson si deve affermare, si percepisce l’instabilità e la differenza da un prodotto mainstream. Non per questo motivo il disco di Ken Carson è un classico, ma ha personalità ed è fuori dagli schemi.
Sì, puoi storcere il naso, rischia di suonare ripetitivo, ma è particolare. Non devi focalizzarti sui testi ma sulle vibes e sulle atmosfere. Mi ha ricordato il piacere di uscire dal canonico e dello stupirsi, nonostante quei suoni già li avessi sentiti. Già ho ascoltato Playboi Carti, con “Miss The Rage” ci andai in fissa, ma non si approfondisce mai tutto ciò che ci piace. A volte quello che cerchiamo ce lo abbiamo proprio sotto gli occhi.
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