Recensione di Alone At Prom
Tory Lanez è sempre stato un artista eclettico, capace di essere a suo agio in ogni tipo di sperimentazione o influenza che scegliesse di interpretare all’interno dei suoi lavori: non è sicuramente stato esclusivamente un rapper in senso stretto, risultando più un artista r’n’b che rap.
La grande liquidità di Alone At Prom, il suo ultimo disco, uscito una settimana fa, ha ulteriormente confermato questa sua indole portandola ad un livello superiore.
Il disco è solo l’ultimo in ordine temporale di un’ondata vintage che è solo all’inizio, iniziata nella sua fase embrionale nel 2020 con due artisti di caratura mondiale (The Weekend con “After Hours” e Dua Lipa con “Future Nostalgia”) e ripresa negli ultimi mesi dell’anno corrente con “An evening with Silk Sonic” di Bruno Mars e Anderson .Paak pubblicato poco più di un mese fa e, appunto, il disco di Tory.
Della questione tematiche e testi non c’è molto da dire: tutto il progetto naviga sull’onda di un tema unico che riempie l’intero tempo di ascolto che è l’amore, non inteso come vita di una relazione ma più tendente all’innamoramento, all’istante e contestuale situazione in cui questo sentimento così potente nasce ed ha il suo momento di massima carica emotiva. Dalla prima all’ultima traccia, infatti, i testi non fanno altro che raccontare una serie di situazioni estemporanee senza una collocazione precisa nello spazio e nel tempo, prive di soggetti precisi, quasi evanescenti nella loro indefinitezza, ma che riescono ad esprimere pienamente tutta la gamma di sensazioni ed emozioni che questi processi portano con se.
Questo alone quasi nebbioso viene portato ad un livello superiore, quasi onirico, grazie ai titoli, che compiono un compito ben preciso: quello di rappresentare il brano ma in modo non tradizionale, ovvero cogliendone un termine ricorrente o una frase, ma andando a descrivere il tutto con una rappresentazione esteriore e apparentemente scollegata dalla canzone, ma in grado di riflettere l’essenza del brano stesso. Un processo intenzionato ad essere più affine a un’opera quale un quadro piuttosto che alla musica, ma perfettamente calzante in questo caso, con una prima parte di titoli dall’aura sognante come “Enchanted waterfall” (la cascata incantata) e una seconda parte tendente ad una dimensione ancora superiore, fuori da questo mondo e, a tratti, da questo universo, con “Lady of Namek” (seguito di “Lady of Neptune” presente nel disco precedente, che in qualche modo anticipa anche il sound di questo), “Pluto’s last comet” e “Last kiss of Nebulon”.
Il punto focale di tutto Alone At Prom però, che è il fattore maggiore di contribuzione a quest’atmosfera, è la gamma di sonorità scelte, che dettano il concept di tutto il lavoro: una costante oscillazione tra il vaporwave e la disco-pop degli anni ’80 con una forte ispirazioni ad alcune delle hit più famose di quel periodo, a tratti esplicitamente citate come “Careless whisper” di George Micheal nel ritornello di “Enchanted waterfall”, e altre volte con un riferimento più intrinseco, come i campionamenti di “Into the groove” di Madonna in “Ballad of a badman” e di “Easy lover” di Phil Collins in “Last kiss of Nebulon”. A coronamento di tutto ciò c’è un lavoro estremamente minuzioso di produzione grazie ad una selezione minuziosa di suoni e strumenti tipici di quegli anni come il basso e un uso massiccio di tromba e sax, che Tory interpreta a meraviglia svecchiandone la componente vintage grazie alle sue tipiche linee vocali e ad un utilizzo magistrale dell’autotune. Fondendo il la sua voce alla strumentale, Tory genera un pop perfettamente bilanciato tra moderno e vintage capace di suonare attuale ora è in un ipotetico momento vivo negli anni ’80. Un prodotto perfettamente riuscito ed apparentemente senza tempo da questo punto di vista, che ancora una volta ci conferma la duttilità ed il talento del rapper canadese.
Se Tory Lanez è sempre stato considerato un passo indietro (se non due) rispetto ad artisti che lavorano con sonorità limitrofe a lui, quali Post Malone o il sopracitato The Weekend, nonostante abbia più volte dimostrato di avere le carte in regola per giocarsela a quel livello, questa è la sua occasione d’oro per arrivare a giocare al tavolo dei grandi. Certo, bisognerà attendere il responso del pubblico che negli ultimi anni si è dimostrato apprezzare questo mood retrò, ma, come ogni volta in questi casi, non è facilmente prevedibile.
Ai posteri l’ardua sentenza, il rapper di Toronto si è giocato le sue carte al meglio e ci ha regalato un prodotto unico, di indubbia qualità.
Di Simone Molina
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