Andrea Molteni, in arte Axos, abita un mondo musicale triste, talvolta doloroso, da cui emana una voce che bene o male riecheggia in tutti noi. Ascoltarlo vuol dire accettare una discesa presso i dannati: Axos Caronte ci fa bere con loro, soffrire delle loro pene, gioire di rarefatte grida di entusiasmo. La sad army che il rapper milanese classe ‘90 convoca al suo seguito in “La pluie” è un’orda di irosi, eccitati, malinconici, poeti.
I suoi personaggi e destinatari siamo noi. Siamo noi quali troppe volte, per una ormai
diffusa estetica del sorriso, non vogliamo mostrarci. Siamo io e te alla domenica pomeriggio, in lotta con quel “demone meridiano” che ha nome noia, o angoscia (spleen): il viso torvo, la immotivata stanchezza, la maldisposizione verso gli altri, la pigrizia, le voglie.
La sua musica inscena le contraddizioni tremende che perennemente si rinnovano dentro di noi: il fascino dell’eccesso e della perdita del senno di fronte al richiamo della coscienza e degli affetti, ad esempio. Nel regno delle pulsioni da lui sapientemente evocato, si narra un’esperienza totale di anima e corpo, delicata e turbolenta al tempo stesso.
Esplicita è l’allusione alla poesia di Charles Baudelaire, cui rimandano le atmosfere sospese e infernali, i profumi stomacosi dell’assenzio, le figure demoniche: “Vivo una vita violenta come Baudelaire / Vado all’inferno e non ci porto te / L’inizio di una fiaba che finisce osé” è l‘incipit di “Harem”, sua ultima uscita. L’albatro da lui creato ha un volo violento e faticoso, ben diverso da quello ampio e contemplativo ne “L’Albatro” di Marracash, Dargen D’Amico e Rancore (Roccia Music II). Irreversibilmente caduto, convoca i poeti tristi e canta con loro, godendo di rari bagliori di luce: “solo di pioggia siamo avvolti noi, senza volti poi / Ci piacciamo solo morti come gli avvoltoi” (La pluie). Una Musa è invocata a ispirare il suo verso e – forse – salvare la sua anima, ma la sua apparizione è tardiva: Axos è già ri-precipitato tra i suoi fantasmi. Il suo canto non è di usignolo, né sale: è un canto oscuro e pesante, che scende con violenza sotto la terra e sotto la pelle.
I tentativi di redenzione passano attraverso una progressiva presa di coscienza: prima, i deliri di onnipotenza e il fascino del lusso in Mitridate (2016); poi, il viaggio dell’anima in Anima mea EP (2017); infine, il quasi sentimentale percorso del corpo in Corpus: l’amore sopra (2018). Ovverosia: la voglia di successo, la sete di conoscenza, l’ineludibile fascino del corpo. Per questo Axos, in fin dei conti, è tutti noi.
I pochi accessi luminosi – perlopiù attinenti all’amore – tradiscono in realtà un buio interiore totale: non rara è la contemplazione dell’ipotesi dell’annichilimento di sé (“voglio fumare e diventare subatomico”, Liberami dal male), del salto nell’abisso, del suicidio. In uno dei suoi pezzi più iconici, non a caso, prende forma un soliloquio tremendo sulla vita, la morte, la solitudine: “lo stile è potenza isolatrice” e “organizzare il proprio suicidio giorno dopo giorno è pazzia: eppure lo fai anche tu, eppure lo fanno tutti” (Liberami dal male, 2016).
A una analisi più attenta, tuttavia, risulta evidente che l’invocazione è illusoria.
Axos non vuole essere liberato dal male, poiché lì origina e si nutre il suo verso. Molteni convive con la pioggia, con i silenzi, con gli accessi d’ira (“Imparo addosso cosa insegnerò a mia figlia: / solo quando rompe i giochi mi accorgo che mi assomiglia”) e ne trae una impetuosa forza poetica.
Sapere di esser solo (“siamo l’ultima speranza di noi stessi”) lo conduce a una illuminante scoperta: “non avere niente è la parte più bella dell’avere il tutto” poiché, nel nuovo teatro del mondo, l’uomo sapiente avrà potere su se stesso. “Ogni atto di volontà è un atto magico”.
Sdoganata per sé l’inquietudine e la follia, esse diventano poetiche: “i miei fantasmi mi hanno tolto il senno e mi hanno scritto il disco”. Non avrebbe senso per Axos separarsi dalla tristezza, costante della sua vita: “sono nato suicida con la corda intorno al collo”. La sua narrazione, infatti, è e vuole essere una antologia di immagini forti: “Narrami [o Musa] di come nel baratro il tempo mi agita / di come il cuore ansima, il fato, lo strappo all’anima” scrive in “Narrami, o Musa”, da Spleen Mixtape (2011).
Dove sta la gioia? Dove la bellezza? Proprio qui:
“la gioia io non la voglio: / sembra abbastanza la bellezza della malinconia
come più grande dono”. E ancora: “la bellezza è l’ombra di un fiore, è il moto
di un’emozione, / lo schianto dell’onda, il grido del male” (Narrami, o Musa).
L’inquieto esiste anche con e dentro l’amore: a raccontarcelo Polvere, lettera intima e tremenda, la canzone d’amore e d’odio che dovresti davvero ascoltare stasera.
Insomma: in universo in cui il male non ha bisogno di una teodicea, Axos non ha bisogno di salvezza.
Di Marco Palombelli
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