«E niente insomma alla fine siamo riusciti a fare un tot di dischi, alcuni belli, alcuni bellissimi» diceva Marco Fiorito, in arte Kaos, in un’intervista del 1997.
Più che con spocchia, il rapper parlava delle sue esperienze, ancora relativamente acerbe, con sincero orgoglio (e un velo di ironia), consapevole del duro impegno che metteva nella musica per migliorarsi album dopo album.
Una condizione in cui Egreen, veterano del rap italiano, si è pienamente rispecchiato, motivo per il quale questo emblematico frammento d’intervista torna ripetutamente come skit nel suo nuovo disco, chiamato per l’appunto Bellissimo.
Ma, provocazioni a parte, Bellissimo com’è?
Egreen non è mai stato il tipo da compromessi con l’industria musicale (basti pensare alla valanga di singoli pubblicati a cadenza bisettimanale da qualche mese a questa parte, una blasfemia per l’attuale culto dell’hype) e questo progetto, più di altri antecedenti, non intende essere accessibile a tutti, anzi, si rifà ai paradigmi di quella scuola di rap prevalentemente autoreferenziale che, in fin dei conti, è la più rap di tutte.
Esattamente quella tipologia della quale il buon Kaos è stato (e continua ad essere) un magistrale rappresentante.
«Ho sempre avuto più barre che storytelling» è l’eloquente apertura di Bellissimo, che rovescia l’autobiografismo dominante in Nicolàs: infatti, se Egreen descriveva il precedente LP rappando «questo non è un disco per suonare, è un disco personale», Bellissimo è esattamente l’altra faccia della medaglia.
Sulle batterie grezze di Sick Budd, beatmaker che ha curato l’intera produzione dell’album, Fantini regala banger «allo Zenit del Fastidio», uno dei tanti riferimenti a Kaos su cui ci concentreremo a breve (nello specifico una semi-citazione a Quando vengo a prenderti, arricchita dalla menzione al suo primo album), con i quali mette in primo piano la propria costante presenza nell’underground nostrano, senza rivendicare alcun ritorno del rap, cosa che negli ultimi anni si tende ferocemente a decantare. Poi va detto che certe barre parlano da sole:
«Quale king, fra’, sono un povero stronzo
Egreen – Bellissimo (2023)
Ma uno come me al microfono ancora deve venire al mondo
Non rivendico uno status quo
A casa mia questo cazzo di rap è in forma da mo
La gente si dimentica esaltata dal momento
E nella musica quello che conta è solo la prova del tempo»
Senza la dovuta knowledge Bellissimo può arrivare, perché l’esplosività lirica di Egreen raramente lascia indifferenti, ma la maestosità del lavoro risiede senza dubbio nella fitta rete di riferimenti intertestuali, che, come il filo spinato della copertina (tributo addirittura visivo a Kaos, nello specifico all’artwork di kArma), avvolgono l’intero album.
Tra copertina, titolo (del disco e dell’outro, che riprende il nome della conclusione di L’Attesa), canvas di Spotify, skit, riprese scratchate di alcune barre e innumerevoli, inequivocabili citazioni, Kaos è sicuramente l’artista più omaggiato nel progetto, ma non l’unico: Egreen fa dei tributi in rima al mondo del writing, richiamando crew storiche come i Lords of Vetra e i CTO; rispetto al rap italiano, tra gli autori rievocati figura sicuramente Esa, citato più di una volta, ma sono celebrati diversi classici tra brani come Cani Sciolti dei Sangue Misto in Per principio e album come Chief & Soci in Back on Black. Sottilissimo il riferimento a Cronache di resistenza dei Club Dogo in Sacrifici, («questa merda è Vigo che cita Battiato», dunque citazione di citazione!) e nello stesso brano spicca anche un suggestivo richiamo oltreoceano, un calco della strofa di Method Man in The What di The Notorious B.I.G.
Egreen più volte ha scherzato sul suo essere monotematico o ripetitivo (anche in Per principio, dicendo «so che non ho temi che ti fan cascare dalla sedia»), ma la minuziosa rifinitura che c’è dietro le sue barre (tratto che, ahimè, tende a non colpire il grande pubblico se non accompagnato da un corredo contenutistico pseudointellettuale) è eccezionale.
Ma poser e fan dell’ultima ora a parte, è difficile pensare che i pareri della nicchia in grado di cogliere le scrupolose sfumature intertestuali del progetto siano troppo dissimili dal titolo dell’album.
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