Recensione di BV3
“Gang” è un anglicismo che deriva dal verbo “to go” (“andare”) e indicava un gruppo di persone che facevano del movimento il proprio modo di vivere la vita, ma in seguito a tutti i riadattamenti che i termini subiscono e alla connotazione criminale che talvolta la parola è arrivata a ricoprire, oggi, in maniera del tutto bonaria, viene più utilizzata nel gergo comune per indicare un gruppo di amici particolarmente affiatato, rumoroso e spesso impegnato nel vivere comunitariamente situazioni chiassose.
Se in queste parole, riuscite a scorgere nella vostra mente la figura della Machete Empire, dico già da adesso che state compiendo uno sforzo immaginifico davvero immane perché ora la Machete, di gang, seppur lo avesse ripetuto continuamente, come un mantra anche nelle canzoni (vedi “GANG!” di MM4, “Machete è LA gang”, come se fosse davvero l’unica in Italia), di gang ha davvero ben poco e “Bloody Vinyl 3”ne è la confutante dimostrazione.
“Bloody Vinyl 3”, meglio conosciuto come BV3, per chi non lo sapesse, è il terzo episodio della serie di mixtape targata “Bloody Vinyl”, ed un lavoro, come ci ha insegnato la tradizione, che viene affidato, plasmato e messo appunto da chi si occupa di concepire i sottofondi musicali; se prima a fare ciò era solo DJ Slait, storico produttore e DJ della Machete, oggi partecipano anche i nuovi adepti tha Supreme, Young Miles e LowKidd.
Essendo un progetto interamente pensato dai produttori, BV3 si pone lo scopo di dimostrare che queste quattro menti, tutte dello stesso collettivo, se messe insieme, sono in grado di dare alla luce un prodotto valido, armonico e di valore poiché, essendo in teoria amici prima che colleghi, dovrebbero saper generare un composto finale figlio di un lavoro di squadra e di stima reciproca.
Il disco si presenta all’ascoltatore come un insieme di 15 brani, con una durata complessiva di quasi 43 minuti , che vede la partecipazione di ben 25 artisti italiani e non; dovrebbe sembrare apparentemente una festa, una di quelle che possono essere davvero divertenti se il DJ sa mettere bene la musica e i drink sono fatti con ottimi ingredineti… ma ciò che invece emerge invece alla fine di questo prolungato party-ascolto, è il grande disorientamento, il reflusso gastrico dato dai drink-ospiti e il lieve mal di testa causato dallo sbalzo continuo di alte e basse frequenze.
E’ giusto iniziare la disanima partendo di cosa c’è di buono, e a clamor di popolo, thaSupreme è il primo da prendere in considerazione, anche facilmente rilevabile causa anche il suo invadente cantato che però in, secondo luogo, ha saputo dare una vera impronta riconoscibile alle strofe. Al di là del fatto che possa piacere o non piacere, bisogna ammettere che thaSupreme è uno dei pochi nuovi artisti mainstream italiani che si lascia subito riconoscere; il rischio di cadere in un noioso loop ripetitivo dopo gli ultimi successi c’era, ma a quanto pare, in questo progetto, a discapito di alcune rime altamente banali ma sacrificate in nome della musicalità, ha saputo offrire sfiziose strofe senza autotune, linee vocali interessanti, cambi flow inaspettati, beat martellanti sul solito solco ma rimodulati con nuove sonorità meno cartoneesche e più adattabili al testo. L’outsider Young Miles, seppur influenzato dal suo giovane collega, tenta anche esso di essere distinguibile ed originale, ma in diverse situazioni resta poco riconoscibile, ciò però non toglie le rosee prospettive che gli si stanno profilando. LowKidd è rimasto coerente con la sua carriera portando le sue atmosfere cupe e ambigue risultanti sempre fertili per i rapper della Machete. Menzione d’onore va fatta a Slait che, oltre ad aver curato tutte le tracce del disco, rimanendo ideologicamente il padrone del progetto, è riuscito, insieme a Young Miles, a rimettere a suo agio Salmo lasciandogli il campo adatto per abbandonare le rime da “pastore”, a cui ultimamente ci aveva abituato, per risfoderare l’energico e tagliente flow, esibito su un beat future-house, che fa ricordare ai più nostalgici lo stile aggressivo del Salmo con la maschera (“MACHETE SATELLITE”, Salmo feat. Taxi B). Degne di nota sono le sonorità transnazionali ispaniche di “ALASKA” (feat. Davido, Hell Raton & Shiva), “OMG” (feat. Vale Pain, Hell Raton & Guè) dai richiami francesi intelligentemente accoppiati all’attitudine italo-peruviana di Vale Pain e “SPACETRIP” per la sperimentazione elettronica su cui viene fatto ambientare Drast degli Psicologi. Buona e divertente la comparsa atipica di Rosa Chemical.
Evidenziato ed estrapolato ciò che di buono è emerso dal disco, è bene sottolineare la scelta di alcuni tridenti altamente rivedibili come “Nitro, Fabri Fibra e Jake”, in cui il primo sfigura insieme alle altre due vecchie guardie che invece si sono scrollate un bel po’ di polvere dalle spalle, e il trio “Lazza, Madame e Massimo Pericolo” (WEEKEND”) in cui un ripetitivo Lazza, archiviata la simpatica comparsa sulle note della sigla di Studio Aperto (“BLOODY BARS – STUDIOMOB”), riutilizza lo stesso flow e le stesse argomentazioni da “Re Mida”. Qui la giovane Madame, uno dei talenti più interessanti e cristallini, viene rilegata ad un semplice ed insipido ritornello e Massimo Pericolo, con una strofa, si ritrova il dovere morale di salvare e mettersi in spalla una traccia che con tali nomi doveva per forza di cose avere un esito diverso. Totalmente decontestualizzato, se considerate tutte le atmosfere, è il brano “ALTALENE” (con Mara Sattei e Coez); un’ottima canzone se presa autonomamente ma che, gettata nella mischia, spezza l’ascolto del tape e tenta quasi forzatamente di trasportare l’ascoltatore in un luogo mentale che gli era totalmente estraneo fino a 15 secondi prima.
I brani non nominati, invece, risultano monotoni, faticosi, quasi un brodo annacquato di “Machete Mixtape Vol.4” che cerca in tutti i modi di colpire i nervi sensibili dei giocatori incalliti di Fortnite, degli amanti nostalgici della musica house e di quella cerchia di ascoltatori che si sente alternativa perché ascolta la Machete.
Se il disco doveva dimostrare quanto i quattro beatmaker fossero affiatati e quanto sapessero orchestrare bene le cose, direi che ciò non è riuscito affatto perché, se alla fine di questo party-ascolto ti viene un leggero mal di testa, significa solamente che il padrone di tutto ciò è stato inequivocabilmente thaSupreme, che ha quasi monopolizzato il disco.
BV3 avrà probabilmente un ciclo vitale che non supererà i 3 mesi e tra qualche anno, se verrà ripescato, suonerà incredibilmente anacronistico e vecchio.
Tutti i problemi di ascolto qui elencati si risolvono in due punti che sono uno il figlio dell’altro: il voler riutilizzare nomi culto già sedimentati nell’immaginario per attirare una fetta di ascoltatori mutuati (vedi MM4 e ora BV3) e la trasformazione completa da “Machete Crew” a “Machete Empire”, etichetta discografica e non più collettivo musicale.
La storia insegna che gli episodi sequel di una saga attirano tutti i figli prodighi, poiché si fa leva scorrettamente su un sentimento di nostalgia, ma la nuova puntata del progetto non sarebbe stata un problema se di fondo fosse rimasta l’idea vera di Machete, cosa che invece è scomparsa da un po’.
Qualche anno fa la Machete Crew era un’alternativa valida alle scuole milanesi e romane, era un collettivo sardo che portava in tutte le sue varietà, tramite le diversità linguistiche di accenti, timbri e prosodie, le loro comuni passioni (cinema, videogiochi, musica ecc…) , le loro avventure e le loro riflessioni (sono questi i casi di Machete Mixtape 1-2, meno con il 3, idem con Bloody Vinyl 1-2 e i loro dischi solisti in cui si chiamavano a partecipare a vicenda), oggi invece la Machete Empire è un’etichetta discografica che di gang ha poco o niente e ciò che invece traspare è che in realtà un gruppo lavorativo che si ritrova occasionalmente per fare musica e portare un prodotto studiato, congeniato e confezionato per detronizzare gli avversari e monopolizzare la classifica.
Così il mixtape dei produttori diventa un lavoro personalizzato del loro artista più di punta, così la “Crew” diventa “Empire”, così i fan nostalgici e speranzosi si ritrovano l’ennesimo progetto di plastica in mano e così la Machete diventa il surrogato di una major; facciamocene una ragione, per quanto gli artisti a bordo siano talentuosi, la Machete non esiste più, e come dice un mio caro amico, di essa è rimasta forse solo il teschio, l’ascia è stata sotterrata da un pezzo.
Di Riccardo Bellabarba
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