«Frà, allora di “Canerandagio – parte 1” di Neffa parli tu?»
Questo è il messaggio che Giordano mi ha inviato qualche giorno fa. Che paura. Scrivere di disco vuol dire confrontarsi con un progetto artistico, con un autore, con le sue scelte creative, con le sue volontà. Quando a dover passare sotto al vaglio di un ascoltatore è un classico, la gara diventa impari.
Dialogare con un gigante vuol dire incasellare nei limiti di una pagina bianca la complessità di una figura che travalica il tempo e lo spazio, che straborda di interpretazioni e non detti; vuol dire sentirsi piccolissimi. Eccomi, microscopico davanti a Neffa.
«Va bene, Neffa lo faccio io.»
Trattengo il respiro e rimbocco le maniche. Recensire Neffa vuol dire attraversare un campo minato, in cui ogni passo cela il pericolo della polemica, del fraintendimento. Quindi, caro lettore, sii paziente e preparati a camminare in punta di piedi.

“Canerandagio – parte 1” è l’ultimo album di Neffa, disponibile ovunque a partire da venerdì 18 aprile. Dieci tracce, 26 minuti. Come ha dichiarato più volte il suo autore, “è un disco di rap“. L’espressione mi fa sorridere: quella preposizione semplice tra “disco” e “rap” stona nelle orecchie di chiunque si sia trovato a masticare questo genere musicale, come se provenisse da un altro tempo.
Neffa sembra il testimone linguistico di un qualcosa che non c’è più e già solo nel parlare del suo stesso progetto utilizza categorie estranee a noi cresciuti e pasciuti nel XXI secolo. Neffa ha 57 anni ma per capire tutto dobbiamo riavvolgere il nastro a un quarto di secolo fa.
Sul palco dell’Isola nel Kantiere, centro sociale di Bologna, ci sono tre ragazzi: uno produce e due rappano. Il giovane dietro i piatti è Dj Gruff, i due, che sputano rime davanti a uno sparuto pubblico, sono Deda e Neffa. E’ il 1994 e il trio che infiamma i pochi spettatori ha il nome di Sangue Misto.
Riassumere la storia sarebbe troppo lungo, ma in quegli anni, agli sgoccioli del millennio, Neffa, Deda e Gruff furono gli artefici della rivoluzione culturale che avrebbe portato il rap in Italia, dando vita a quella che Paola Zukar avrebbe definito “la più potente forma artistica degli ultimi 20 anni”. Poco e niente: in Italia la cultura HipHop aveva dato vita a poche manifestazioni, molto derivative e poche identitarie.
I Sangue Misto prima e Neffa poi, con i suoi progetti da solista, plasmarono un immaginario, inventarono delle metriche, generarono contenuti con cui riempire i loro brani; vestirono il rap, gli diedero una voce e furono gli ispiratori di un’intera generazione di artisti che poi avrebbe consegnato a suo volta il testimone ai propri epigoni. Lì a Bologna, Neffa ha dato al rap le gambe che per 25 anni gli hanno permesso di correre fino a diventare oggi la punta di diamante del mercato discografico italiano, fino a scalare le vette delle classifiche.
Come ogni demiurgo che si rispetti, dopo aver generato la sua creatura, Neffa abbandonò la sua strada. Dopo lo scioglimento dei Sangue Misto nel 1999, l’artista salernitano lasciò il rap per intraprendere una carriera artistica completamente differente, rendendo orfano di padre un’intera cultura. Da allora la figura di Neffa è assorta allo stato di mito, di leggenda indiscussa, di padre fondatore dell’HipHop italiano, rimanendo avvolta di aura degna solo delle divinità, sprofondando nell’attesa infinita di un ritorno generazioni e generazioni di ascoltatori.

Poi, dopo 25 anni, qualcosa si è mosso. La coltre marmora che avvolgeva la figura dell’ex Sangue Mista si è incrinata. Qualcosa è cambiato. Le tappe di tuto ciò sono irruente, tempestive e sconvolgenti. Il punto di rottura totale, però, uno ed è sotto gli occhi di tutti: la notte del 14 febbraio 2025, Neffa sale sul palco del festival di Sanremo, per rapper “Aspettando il Sole“. Vi rimando alla lettura del post di Francesco Rapuano sulla nostra pagina Instagram, lui meglio di chiunque altro ha saputo raccontare l’importanza storica di quel momento.
Da questo contesto nasce “Canerandagio – parte 1”, il disco di rap di Neffa. Il primo. Dopo 25 anni. Per quanto possa sembrare un fulmine a cielo sereno, il disco ha una genesi lunga a quanto pare. L’apparizione sul palco dell’Ariston è solo la punta di un iceberg che cela una gestazione lunga di anni.
Il processo creativo e le tappe che hanno segnato la creazione del progetto sono interamente rintracciabile sul profilo Instagram di Neffa: l’artista ha raccontato, nei giorni antecedenti al lancio del progetto, la genesi di ogni traccia, dalla scelta delle basi a quella dei featuring. La voce di Neffa parla di basi pronte da anni, di barre buttare giù tempo fa, tra l’Italia e Berlino, come se la scelta di tornare a rappare fosse un qualcosa di maturato e cresciuto con il procedere dei mesi.
I video, in cui il rapper (che brivido a chiamarlo così) spiega tutto questo, ci presentano anche i featuring del progetto, che sono tantissimi: 14 ospiti per la precisione, incontrati ciascuno personalmente. I reel riprendono Neffa in studio che lavoro con loro, che si confronta, che crea la musica dal vivo. “Canerandagio – parte 1” nasce, cresce e corre dal vivo, negli studi registrazione, dove ci si scambia idee, si compone e si scrive la musica. Sotto questo punto di vista il disco è testimone di un modo di lavorare quasi anacronistico e analogico.
Questo album l’ho aspettato. Lo hanno fatto tutti. Come se fosse la manifestazione di un miracolo, come un segno divino. L’aspettativa che, anche solo involontariamente, è stata generato intorno al progetto è stata mostruosa. E questo, forse, è stato distruttivo.
Ascoltare “Canerandagio – parte 1” ha voluto dire fare i conti con tutti i preconcetti inevitabile che il mito si porta dietro; con i pregiudizi leciti di chi si appresta ad ascoltare il disco di quella che è stata forse la prima vera leggenda del rap italiano. Il disco di Neffa condensa intorno a sé l’atmosfera del classico, l’intonazione del culto. Ci riesce: “Cane randagio” sa di classico, sa di irripetibile, di evento. Il problema, però, è che Neffa non rispetta le sue stesse aspettative.
“Littlefunkyintro”, l’intro del disco e il primo singolo estratto dal progetto, accoglie lo spettatore e lo prepara in maniera eccellente. Il brano è rap, classico, fresco. Neffa, con le sue stesse produzioni riadatta delle sonorità old school in chiave contemporanea e adatta perfettamente le sue barre alla traccia. Il testo è “l’unico in cui dico di essere meglio degli altri”, come ha detto lo stesso autore, “l’unico brano rap in senso stretto”. Il rapper si cita, si elogia, sottolinea il suo status, scredita i suoi imitatori. Lo fa con stile, con le rime e con l’attitudine giusta.
Vieni a sentire che ho da dire con ‘ste rime
Neffa – Littlefunkyintro (Canerandagio – parte 1, 2025)
Con ‘sto marchio registrato già da mo
Sono passati trent’anni e passa
Ancora in massa puoi sentire che mi copiano
Con il progredire delle tracce, però, qualcosa smette di funzionare. Nonostante l’intro smagliante, fin da subito si percepisce come Neffa sia arrugginito, come il suo rap manchi della fluidità necessaria. Si sente inevitabilmente che l’artista, che con orgoglio si può definire maestro del genere, il rap non l’ha praticato per più di 20 anni.
Le rime sono deboli, le metriche logore e poco brevettate. Neffa in molte interviste ha sottolineato come il suo sia un progetto che utilizzi il rap per veicolare contenuti lontani dal genere, che le metriche dell’HipHop per lui sono solo un mezzo comunicativo. Le rime affaticate, però, insieme alle barre dal sapore antico indeboliscono i messaggi del progetto che passano in secondo piano di fronte a delle performance non sempre al livello delle aspettative. “Canerandagio – parte 1” è classico, ma Neffa sembra vecchio.
Vorrei dire lo stesso dei 14 ospiti che decorano il progetto; vorrei dirvi che le loro prestazioni non funzionano e che il disco, per questo motivo, è una grande delusione. Ma non è così. Chiamati al cospetto della leggenda, gli ospiti di Neffa sentono la pressione del confronto con il mito e offrono perfomance impeccabili. L’artista salernitano incrocia generazioni, chiama vecchi amici e si confronta con le nuove generazioni; esplora il panorama rap di un tempo, quello contemporaneo, si spinge fino all’RnB di Joan Thiele e ai ritornelli di Frah Quintale.
La strofa di Noyz Narcos in “TROPPAweed” fa acquisire al brano la crudezza della strada, rievocata dal beat noir che fa da tappeto ai versi dei due rapper. Franco126 firma il ritornello e la strofa di “Bufera”: le sue rime rompono il collo al tempo del pianoforte oscuro che ingrigisce la strumentale; Ele A sfida i giganti e in “Tuttelestelle” duella con Neffa, stendendo una delle strofe più credibili del progetto e completando egregiamente il ritornello di Francesca Michielin. Menzione d’onore alla strofa di Gué in “Cuoreapezzi”: su un beat classico, dalle atmosfere distopiche e futuristiche che quasi sfiora la dubstep, Cosimo ci parla di rivoluzioni, di apatia, di depressione, dell’ansia di essere un buon padre. Da brividi.
In un disco pieno di ospiti che regalano alcune delle loro apparizioni migliori, le mancanze del padrone di casa si fanno più evidenti. Alcuni brani del progetto, infatti, perdono di intensità nel momento in cui Neffa prende la parola. “Argiento”, con Lucariello e STE, segna il ritorno al dialetto campano dell’artista salernitano. Mentre la strofa di Lucariello e il ritornello di STE portano con sé la potenza espressiva del dialetto, con immagini vivide e taglianti, il napoletano di Neffa sembra artefatto, poco spontaneo, importato e non credibile.
Tutto è da buttare? No. Alle produzioni Neffa fa un lavoro ottimo, riuscendo a confezionare un disco che ha un’atmosfera sonora definita. “Canerandagio – parte 1” è la notte che si aggira, la metropoli oscura di palazzoni e di cemento, è un futuro distopico in cui la tecnologia ha preso il sopravvento e ha annichilito le differenza tra i suoi abitanti, resi schiavi dal sistema dell’informazioni e dall’ansia dell’apparire. Le produzioni sono cupe, distorte, minimali, old school ma rivisitate, grigie come la copertina del progetto.
Ne è un esempio “Hype”, in collaborazione con Fabri Fibra e Miss Keta. Il brano ospita la strumentale di “Scattano le Indagini” la traccia di apertura di “Turbe Giovanili”, prodotta da Neffa stesso 23 anni fa. La traccia che denuncia e critica la cultura dell’apparire, figlia del monopolio dei social network, è efficace, parodica e tagliente.

Il lavoro sulle sonorità lascia trasparire una perizia creativa degna di chi ha esplorato il mondo della musica per trent’anni. Neffa è uno spirito creativo, libero dalle catene, dalle logiche di mercato e dai compromessi: uno straniero, un “canerandagio”.
La titletrack, in collaborazione con Izi (che tributa nella sua strofa “Aspettando il sole”) è una delle tracce migliori del progetto. Al suo interno è racchiuso il senso profondo del disco che schiude un’ode alla sperimentazione creativa. Il “canerandagio” è libero dalle catene, vaga e sperimenta, odia i recenti, non sottostà ai padroni. E’ la metafora di un disobbedienza creativa senza mezzi termini. L’animale selvatico, però, cela anche altro: vive degli scarti delle persone, sopravvive ogni giorno come se fosse l’ultimo, è testimone della decadenza della società umana. Emarginato e martire: Neffa sembra ondeggiare tra due poli, perfettamente rappresentati nella title track.
Sono un cane randagio
Neffa – Canerandagio ft Izi (Canerandagio – parte 1, 2025)
Nella notte fredda da lontano io abbaio
Però, quando voglio, non mi senti che arrivo
Voglio gli ossi dei tuoi scheletri dentro l’armadio
E non mi metti il guinzaglio
Solo un cane randagio
Io non trovo mai la roba pronta nel piatto
Con le cose che tu butti a terra io sopravvivo
Qualche volta con il branco anche da solo combatto
E ho fatto un patto col gatto
Chiudo. Lettore, pochi altri passi e siamo fuori dal campo minato.
Neffa è tornato. Ho volutamente tralasciato il fatto che il disco porti con sé la dicitura “parte 1”. Quella che abbiamo ascoltato è un’opera incompleta, monca di una sua metà. Toccherà aspettare prima di riuscire ad avere una visione completa su uno dei ritorni più clamorosi della storia della musica italiana.
Bene. Tiro un sospiro di sollievo. Siamo fuori dal campo minato e spero di non aver innescato qualche ordigno inesploso. Nonostante tutto sono felice.
Il guaglione è tornato sulla traccia.
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