Ognuno di noi, cresciuto a cavallo del boom industriale della fine del secolo precedente e dei primi passi dello sviluppo digitale di quello attuale, è stato colpito da almeno una storia riguardante il mondo del sol levante, partendo dagli anime che hanno invaso i tubi catodici dell’occidente passando per le grandi leggende metropolitane, e non, riguardanti l’estremo oriente. Così è stato anche per Claver Gold, pseudonimo di Daycol Orsini, che nel suo nuovo EP “Il lupo di Hokkaido” ha deciso di raccontare se stesso regalando al pubblico uno spin-off di “Melograno”, album uscito da ormai 3 anni a questa parte, attraverso una delle sue passioni più grandi : la cultura giapponese.
A dire il vero però il rapper di Ascoli Piceno, al di là del suo amore per la suddetta nazione, il Giappone lo aveva già di base tra i suoi dati più importanti perché il suo nome deriva proprio da quelle lande lontane. Dopo avercene dato prova in diversi dischi precedenti, stavolta il Nostro ha deciso di creare un progetto intero con un concept dedicato ad un argomento strettamente collegato al mondo illustrato poc’anzi.
Hokkaido, la seconda isola più grande del Giappone, fino alla fine dell’Ottocento, ospitava una specie di lupo molto particolare e tipica di quella remota zona del Paese, popolata prevalentemente da degli abitanti – gli Ainu – con un’etnia decisamente più simile a quella della Russia e dell’Europa dell’Est e ciò ha da sempre causato discrimazioni dalla controparte continentale. Il lupo di Ezo, per l’appunto, era un animale così tanto comune che la popolazione autoctona decise di addomesticarlo e sfruttare le sue doti di caccia. Dopo il crollo feudale e l’occidentalizzazione del Paese, venne considerato una minaccia ed il governo decise di sfruttare anche le terre dell’Hokkaido per modernizzare la nazione riducendo però le terre a disposizione per i lupi e finanziandone anche l’annientamento; ciononostante, gli Ainu sostengono che qualche creatura sia ancora presente e che si aggiri per i boschi dell’isola.
Claver Gold nel “Lupo di Hokkaido” pone l’accento su quest’ultima questione considerandosi parte di una specie di musicisti pressoché prossima all’estinzione immedesimandosi nel lupo, che viene costantemente angosciato dall’insopportabile ricerca da parte dei cacciatori che rappresentano i tentacoli dell’industria musicale. Egli si sente scoraggiato dalla situazione attuale e sebbene cerchi di guardare al futuro è il passato a prendere il sopravvento ed il ruolo principale dei suoi ricordi. Il rapper come l’animale si rifugia nella sua tana, l’unica zona di comfort per evitare di essere facile preda del nemico affamato di denaro e schiavizzato da un ordine proveniente dall’alto, considerando il tutto come l’unica arma per poter proseguire il suo cammino lontano da tentazioni anche se ciò lo ha portato ad isolarsi ed evitare ogni bisogno materiale. Parallelamente, l’abile paroliere ci racconta anche i dettagli di una storia d’amore terminata che, potendo ipotizzare, potrebbe riferirsi sia ad un’altra persona sia alla musica stessa poiché non è stato fornito alcun senhal come riferimento. Questa figura è onnipresente nella sua quotidianità al punto che tutto gli ricorda lei e non può che ferirlo nel profondo mentre ogni ricordo brucia come la neve nelle mani.
Considerando, invece, la parte più “morfologica” del disco possiamo notare molteplici idee travolgenti ed originali come la scelta di intervallare ogni pezzo da un’introduzione in lingua giapponese per far entrare gli ascoltatori nel mood e nei panni del lupo e della mente di Claver. I brani stessi presentano ulteriori riferimenti alla cultura giapponese come “Ken Shiro” ed “I cavalieri dello zodiaco” ma non solo perché il rapper ha preferito non discotarsi troppo dalle sue origini e ha deciso di citare, oltre ad un suo vecchio pezzo, Primo Levi, Dante Alighieri ed Eugenio Montale tra gli scrittori e Gaugin tra gli artisti di arte visiva.
A livello di featuring, l’unico presente è quello di Hyst, che fa un ritornello magistrale in “Parte di me”, collegato al progetto anche per via delle sue origini giapponesi, mentre le produzioni sono tutte affidate al collettivo Kintsugi – che prosegue il sodalizio con Daycol Orsini da diversi anni – che ha deciso di creare un mood continuo per tutta la durata del disco.
Doveroso spiegare anche il significato del nome dei producer perché il kintsugi è un’arte nata, stranamente, nel continente giapponese in cui gli oggetti di ceramica rotti si riparano utilizzando metalli preziosi e ricercati come oro od argento in modo da dare visibilità, più attenzione e nobilità alle crepe createsi conferendo, dunque, nuova vita a codesti manufatti.
Dettaglio da non sottovalutare anche quello della copertina ove il lupo, rappresentazione animalesca di Claver Gold, tiene una donna – simbolo della cultura e della ricchezza – tra le zampe ribaltando il concetto della caccia al lupo e presentandosi come alternativa allo scempio imperante. Importantissimo citare anche il lettering (caratteri tipografici affidati all’annuncio) affidato ad una figura storica dell’hip hop italiano quale Luca Barcellona (uno dei calligrafi italiani più apprezzati all’estero) alias Lord Bean che rinnova il rapporto con l’artista iniziato diverso tempo fa.
In sostanza, ben consapevole di essere lontano da gran parte dei suoi colleghi, Claver Gold con “Il Lupo di Hokkaido” ha deciso di dare sfogo alle sue emozioni e di esprimersi nella maniera più personale possibile ed il che, indipendentemente dai gusti, andrebbe premiato dalla critica per coraggio ed originalità mostrando ancora una volta la maturità di un artista per cui le parole e l’arte contano più di tutto.
“È una storia d’amore, di tristezza, di gioia, immaginazione, ma anche di neve e fiori. Questa è la storia del lupo di Hokkaido.”
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