“Fino A Qui Tutto Bene” arriva nel 2010, cinque anni dopo “Roccia Music”, due anni dopo “Marracash”. In quegli anni Fabio Rizzo viene sempre più travolto da Marracash, dal successo e dal peso che gli comporta quel nome nato quasi per scherzo, capovolgendo uno sfottò e facendone un punto di forza, una caratteristica distintiva.
Nel 2008 il suo primo disco aveva contribuito all’abbattimento di quel muro tra il rap e il pubblico di massa, dopo le prime picconate ad opera dei Club Dogo e Fabri Fibra, Marracash è stato il colpo definitivo. L’URSS del pop conservatore aveva perso e la perestrojka attuata da Universal portò il rap nelle case di tutti gli italiani. Marracash inizia così la scalata al successo, ripercorre tutto il ciclo di vinti e arriva forse, lì dove neanche Verga era mai arrivato, a descrivere il lusso e la sua società.
Mi chiamo Fabio, ma i ragazzi per la strada mi hanno sempre chiamato Marracash. Due anni fa ho firmato un contratto, ho pubblicato un disco e la mia vita è cambiata, ora tutti mi chiamano Marracash. Io e la mia crew eravamo al top nella musica in italia; avevamo tutto: soldi, donne, droghe, ammirazione della gente, seh, la gente! Tutti si facevano in quattro per essere gentili con me e si facevano da parte per farci entrare nei locali. Intanto il paese era cambiato, la città era cambiata, la gente era cambiata, e anche la strada era cambiata; parole come onore, rispetto, lealtà, fratellanza: tutte stronzate […] Beh, come si dice, fino a qui tutto bene, fino a qui alla grande.
Marracash – Due Anni Prima (Fino A Qui Tutto Bene, 2010)
Nella percezione del pubblico, “Fino A Qui Tutto Bene” è il disco più debole e meno famoso di Marracash. Se doveste pensare al suo disco più riuscito senza dubbio pensereste a “Persona”, “Marracash” o addirittura “ Noi Loro Gli Altri”, eppure “Fino A Qui Tutto Bene” è la fotografia più nitida di un paese e una società in caduta libera che a ogni piano per distogliere lo sguardo si aggrappa a qualsiasi futilità e distrazione. Serate in discoteca “Fino a qui tutto bene”. Rapporti occasionali e distaccati “Fino a qui tutto bene”. Alcol e droga “Fino a qui tutto bene”.
Eppure, gli anni ‘10 sono tempi in cui il peso della gravità è più forte e i piani scorrono più rapidamente, se da una parte c’è il nuovo e veloce che avanza -la creazione di Instagram, l’inaugurazione del Burj Khalifa tempio del lusso, l’elezione di Kim Jong Un- dall’altra c’è il vecchio che non cede di un millimetro portandosi dietro la crisi del 2008.
E non è più politica, è spettacolo, quindi il popolo è il pubblico
Marracash – Continuavano a Chiamarlo Marracash (Il Divo) (Fino A Qui Tutto Bene, 2010)
E sta guardando sé stesso andare nel baratro
Sotto queste premesse “Fino A Qui Tutto Bene” merita un’apologia. Il disco ha i tratti di un flashback, parla degli avvenimenti al passato. Marra arriva al cinquantesimo piano e rimane in bilico sul baratro a osservare le persone in caduta. La descrizione di un girone dantesco dove i dannati nel limbo continuano a cantilenare “Fino a qui tutto bene” come una preghiera.
Tra le pieghe del disco è possibile leggere un concept album coeso. Le tracce dialogano tra loro tramite gli skit finali che richiamano le tracce successive e il titolo-mantra che rimbomba in ogni traccia, metafora di una caduta sempre più ripida, fa da collante all’intero progetto. Il tempo ha condannato il disco a una damnatio memoriae anche a causa delle sonorità elettro considerate fuori luogo.
Lungi da me dal fare l’avvocato del diavolo, “Fino A Qui Tutto Bene” è effettivamente un disco -soprattutto la prima metà – pieno di stonature, il pavimento musicale scricchiola e rischia di cedere a ogni barra. “Rivincita” con Giusy Ferreri, ad esempio, è la più lampante, un brano che vuole sperimentare ma diventa caotico e il passare del tempo ha solo peggiorato la situazione. Anche la scrittura non è sempre incisiva, figlia di un modo di fare rap che oggi non esiste più ma che negli anni ’10 era prioritario.ù
Fin dall’intro – “Due anni prima” – è fondamentale il tema del successo, nella sua rappresentazione più oscura e negativa, il successo che uccide l’arte e l’artista. Non fatevi ingannare dal genere grammaticale perché il successo, almeno nel disco, è prettamente femminile e lo si intuisce non solo da tracce come “Mixare è bello” dove equivale la formula cliché “successo=tante ragazze”, ma anche nella copertina. Un Marracash sorridente che viene strangolato con una catenina da mani di donna con uno smalto rosso sgargiante, le mani del successo.
La chiave di volta per capire il disco è “Stupido”, a mani basse uno dei pezzi più geniali del rapper di Barona. Il brano è un auto lobotomizzazione, Marracash capisce che essere stupidi è un trend da seguire, una prerogativa per il successo. La stupidità degli anni ’10 è un lusso, una visione sfrontata e menefreghista della vita. Lo stupido non ha paura di niente. Be Stupid.
“Stupido” anche per il suo ritmo accattivante è stata mal interpretata, infatti ecco cosa dirà a proposito del brano in “In Down” (King Del Rap, 2011)
Ho fatto il pezzo “Stupido”
Marracash – In Down (King Del Rap, 2010)
E piaceva a quelli che prendevo per il culo
Non c’è futuro
Se mi vedi in discoteca, è perché mi stanno pagando
il mio punto di partenza è di solito il tuo traguardo
In questo progetto ci sono già i germi riflessivi e sociopolitici che colonizzeranno completamente le produzioni di Marra da “Status” in poi. “Parole Chiave” è il predecessore meglio riuscito di “Sindrome Depressiva da Social Network”. Le parole chiave sono quelle di Google e tutto il brano è una metafora tra la vita vera e i social network.
“La parola che nessuno riesce a dire” è la traccia conclusiva ma per bellezza e importanza meriterebbe uno spazio a sé. Prima vi ho detto che il tempo ha condannato disco a una damnatio memoriae, non è proprio così. Questa traccia è sopravvissuta, l’intro è stato ripreso da Rkomi in “Milano Bachata” con Marracash presente come featuring e in generale è uno dei brani più apprezzati del rapper di barona.
“Fino A Qui Tutto Bene” proprio come la citazione de la Haine non si conclude con il terribile atterraggio ma prosegue nel suo limbo, il racconto del disco è un primo piano sulla caduta, secondo per secondo, e “La parola che nessuno riesce a dire” rappresenta un finale eccezionale.
Una traccia fredda, la solitudine e il suo silenzio assordante è quello che si nasconde sotto l’iceberg della frivolezza. La parola che nessuno dice è l’amore nell’accezione più umana e meno romantica del termine e in tutto il brano non viene detta esplicitamente ma fatta intendere nell’outro e nel ritornello. Il dialogo lirico tra Fabio Rizzo e la sua coscienza – impersonata da Ornella Felicetti – chiude un disco immerso nel sociale forse troppo banalizzato e preso sotto gamba a causa di alcune scelte musicali.
Questo album è stato fin troppo spesso considerato qualcosa ai margini della carriera di Marracash, uno spin off ingombrante tra “Marracash” e “King del Rap”. Eppure, non si può ignorare che tutta la crescita riflessiva e politico sociale che ha investito l’ultima trance di carriera parta proprio da qui.
Da pezzi ironici e critici come “Stupido” fino a introspezioni solipsistiche come “La parola che nessuno riesce a dire”. 2010, il successo di Marracash sta per schiudersi definitivamente. “Fino A Qui Tutto Bene”.
Questa è la storia di un ragazzo che si è arrampicato in cima a un palazzo di cinquanta piani, ma il suo Paese sta precipitando e anche lui allora decide di buttarsi giù
Marracash – Continuavano a chiamarlo Marracash (Il Divo) (Fino A Qui Tutto Bene, 2010)
Ogni giorno il Paese e il ragazzo si ripetono per darsi coraggio:
“Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene
Il problema non è la caduta, è l’atterraggio
Ma la parte interessante è il percorso”
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