Da qualche anno a questa parte, attraverso il linguaggio del rap italiano, sembra essere rinato il seme del cantautorato. “I rapper sono i nuovi cantautori” diceva vasco Rossi in tempi non sospetti, ma il connubio tra cantautorato e rap non ha mai avuto vita facile. Per Lucio Dalla -presente nel disco con una campionatura di “Liberi” – il rap era “demenziale, inutile e stupido” e Fabri Fibra ribadì l’allontanamento del rap dal cantautorato in “Vip in Trip”: “Quale cantautore? Vaffanculo, al rallentatore (Vaf-fan-cu-lo)”
Eppure, per il rap italiano, un vero e proprio genere d’importazione americana come i McDonalds, lo streetwear e la Gladio – direbbe il buon Dargen -, l’eskimo cantautoriale sembra essere stato il vestito migliore. Non tanto per le tematiche e le vicissitudini dei centri sociali che hanno fatto nascere il rap nella penisola ma semplicemente per similitudini di linguaggio e dinamiche intertestuali. In Italia non sono mai esistiti James Brown e Gil Scott Heron e di conseguenza nella ricerca di modelli e di citazioni, i cantautori, per la loro mole e per il modo autentico di descrivere la società, hanno fornito vie alternative di ispirazione.
E lo fanno ancora oggi. Basti pensare al trittico messo in piedi da Marracash negli ultimi sei anni e alla sua vittoria al Premio Tenco, ai nuovi progetti di Nayt e Dutch Nazari. Allo stesso Fabri Fibra che nonostante le parole di dieci anni fa, negli ultimi due dischi rappa sui campionamenti di “Il cielo nella stanza” di Gino Paoli e “L’Avvelenata” di Guccini.
È in questo clima che va inserito Caleydo, artista classe 2000 nato e cresciuto nella provincia di Varese. NewChansonnier o Chansonnier ’25 si descrive nelle sue bio di Instagram e Spotify, una dichiarazione di intenti che intende saldare, più che ricucire, il legame tra i cantautori e i rapper new gen.
“PANOPTICON” è il suo nuovo e primo progetto ufficiale rilasciato con la collaborazione eccezionale di Bassi Maestro. Per un rapper così giovane, incidere il primo disco con uno dei padri fondatori dell’hip hop e del rap italiano è marchio di garanzia inestimabile e forse, il motivo per cui ho notato il disco, l’ho ascoltato e sono qui a parlarvene.

Entrare nel “PANOPTICON” costruito da Caleydo non è semplice; un faro-totem apocalittico si erge al centro di una costruzione ad anello: la costruzione è divisa in celle, illuminate dalla torre centrale senza che i carcerati possano osservare all’interno del faro.
Il titolo non solo cita apertamente il modello di prigione perfetta ideato dal filosofo Jeremy Bentham nel 1791 ma prende in prestito uno dei concetti chiave usati Focault per descrivere il potere in “Sorvegliare e Punire”. Usando metafora del panottico per descrivere un potere invisibile, – visibile ma inverificabile per usare le parole esatte di Focault – che controlla senza essere visto, il quale paradossalmente usa la luce per nascondersi nell’ombra.
Tante gabbie, altrettanti piccoli teatri, in cui ogni attore è solo, perfettamente individualizzato e costantemente visibile. Il dispositivo panoptico predispone unità spaziali che permettono di vedere senza interruzione e di riconoscere immediatamente. Insomma, il principio della segreta viene rovesciato; o piuttosto delle sue tre funzioni – rinchiudere, privare della luce, nascondere – non si mantiene che la prima e si sopprimono le altre due. La piena luce e lo sguardo di un sorvegliante captano più di quanto facesse l’ombra, che, alla fine, proteggeva. La visibilità è una trappola.
Micheal Focault – Sorvegliare e Punire (1975)
Caleydo decide di usare la metafora focaultiana del potere per descrivere la società che lo circonda. Sceglie di non essere spettatore passivo e utilizza la visione panottica come strumento per analizzare una contemporaneità individualistica e divisa. Le dieci tracce del disco scorrono in un flusso di coscienza che scava e ripercorre attimi di vita, situazioni quotidiane in una collettività perennemente atrofizzata da un clima soporifero; tra enormi Tv al plasma che non colmano la solitudine interiore, città-zoo che vivono una libertà artificiale e paranoiche chiacchere da bar.
Ricordo la prima volta che presi gli schiaffi
Caleydo, Bassi Maestro – Quella Via (PANOPTICON, 2025)
Accade in un parcheggio un po’ più in là dei campi nomadi
A me l’amore me l’hanno insegnato i tossici
Chе cos’è l’odio lo imparai a casa dei nobili
E per un chilo ed un milionе, che ricordi
Ci sbavavano i ragazzi da Fabietto sotto i portici
Il più ricco che conobbi con quei soldi
Si comprò una depressione su uno schermo cento pollici
Caleydo descrive un micromondo brutale fatto di bestialità e finte libertà, come quello raccontato in “La Grande Città” singolo con il sample tratto da “Liberi” di Lucio Dalla e Willie Peyote – unico featuring del disco – a suggellare il ponte che crea Caleydo tra il cantautorato e il rap. Ma non è l’unico rimando, nel disco è presente un evocativo skit di Gino Paoli sulla potenza rivoluzionaria e ribelle dei cantautori e “quattro pazzi al bar” altra citazione alla quasi omonima canzone del cantante genovese.
“PANOPTICON” è un progetto che si nutre di tanti generi diversi.
Troviamo ovviamente il cantautorato e il rap ma non solo, la versatilità di Caleydo si mostra anche nel disco funk di “Disco Club” e sui synth anni 80 di “Evaporando” una delle tracce migliori del disco che sembra omaggiare le sonorità dell’ultimo Battisti.
Nel disco non c’è solo Caleydo, bisogna parlare anche delle strumentali. Tra Bassi Maestro e Caleydo corrono esattamente ventisette anni, più di una generazione. Nonostante questo, i due artisti si capiscono, si cercano e si trovano perfettamente in sintonia per ogni minuto del disco, un’alchimia in cui Caleydo sicuramente si dimostra all’altezza di coprire i beat di una leggenda vivente con oltre vent’anni di attività.
Dall’altra parte Bassi Maestro è un vero e proprio demiurgo, il tappeto sonoro è sempre curato nei minimi dettagli con una chirurgia maniacale. Da buona guida porta Caleydo in mondi musicali sempre nuovi e vivaci, da Lucio Dalla, al rap più crudo, passando per morbidi synth onirici.
Il “PANOPTICON” di Caleydo e Bassi Maestro entra silenziosamente nelle nostre vite, opera in una società già auto-anestetizzata. L’artista classe 2000 nonostante la giovane età analizza in maniera matura il tema della libertà e lo fa senza appesantire, Caleydo non usa la retorica banale e moralistica del super partes, ma ha la consapevolezza di essere pienamente immerso nella trappola in cui vive.
Con un rap che a tratti ricorda Ernia e Kid Yugi, degli ottimi ritornelli e le produzioni di Bassi, “PANOPTICON” dimostra essere uno dei migliori progetti di questo autunno. Caleydo lega rap e cantautorato nell’uso della parola per raccontare qualcosa.
Epilogo. Eleazaro Rossi. Forse a chi legge non interesserà molto, ma chi scrive quest’articolo ha un nome, un volto, ma più di tutto ha 24 anni. Ve lo dico perché il monologo di Eleazaro Rossi, “La trappola”, svela il trucco della libertà giovanile.
Quel brividino che si prova a cavallo dei vent’anni nell’essere tutto e niente allo stesso tempo, esseri perfetti pienamente liberi perché ancora non fagocitati dal sistema, dall’ordine e dalle istituzioni. Ma la magia dura poco, la trappola del tempo inizia a girare e tra “un cosa vuoi diventare?” e l’altro si rientra negli schemi prestabiliti, con una rinascita nel mondo degli adulti che porta alla morte della libertà.
L’Outro di Eleazaro ha una potenza evocativa incredibile, chiude il progetto con la descrizione di un marchingegno liberticida, una trappola in cui cadiamo da soli ma essenziale per continuare a vivere. “Bella sta trappola eh?”
Nessuno ti dice quanto sei libero. Perché te in quel frangente lì, no, sei il nemico di tutto quello che è l’ordine e la disciplina, la civiltà, il progresso, tutto. Sei il nemico numero uno. Col cazzo che te lo dicono. Sai cosa ti dicono? Ti fanno una domanda, ti fanno: “Cosa vuoi diventare te?” “Cosa vuoi diventare” come se te non fossi già qualcosa, capito. Qualcosa fra l’altro di incredibile, di potentissimo. Come se, ‘sta cosa mi manda fuori di testa, come se l’atto dell’esistenza non è abbastanza. Cioè il fatto che sei venuto, non lo so da dove cazzo sei venuto. Sei venuto dell’inesistenza, dal buio.
Bassi Maestro, Caleydo – La Trappola feat. Eleazaro Rossi(PANOPTICON, 2025)
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