Si è parlato abbondantemente del percorso degli Psicologi e noi di Rapteratura siamo sempre stati fervidi sostenitori del movimento, se possiamo definirlo tale, creato da Lil Kaneki e Drast. La separazione non è passata inosservata e non è stata indolore, ma le riflessioni a posteriori portano a pensare che sia stata una scelta necessaria, una scelta che prima o poi andava fatta.
Troppo simili per non stare insieme ma troppo diversi per poter durare: i due artisti sono sempre stati complementari, capaci di mescolare le proprie differenze nella musica e renderla particolare, ma la sensazione è che sia Kaneki che Drast avessero dato tutto ciò che potevano dare (in coppia, chiaramente). Perché il disco di Kaneki prima e quest’ultimo di Drast poi, uscito venerdì scorso, ci dimostrano che il proprio spazio bisogna ritagliarselo con scelte coraggiose, anche a costo di tagliare e poi ricucire.
“Indaco”, il nuovo album, è tutto ciò che è stato Drast e buona parte di ciò che sarà, un primo assaggio del suo nuovo percorso da solista. Perché si dice che “nuovo è sempre meglio”, ma non è detto che bisogna cambiare poi così tanto.
Il nuovo Drast in realtà è sempre lo stesso, e questa forse era l’unica certezza che avevano i fan prima dell’uscita del progetto. “Indaco” è la naturale prosecuzione dell’io artistico dell’artista napoletano, infatti l’atmosfera malinconica e la spiccata capacità di far proprie le melodie del pop più melenso, rendendole personali e riconoscibili, sono punti cardine del suo progetto.
Già dalla copertina, ritraente il suo sguardo, Drast sceglie di dare un’impronta più che personale al progetto. Dalla prima all’ultima traccia sembra di passeggiare tra le vie di Napoli, tra chiacchere con gli amici nei bar e ricordi messi nero su bianco a cui non apparteniamo, ma a modo nostro è la storia di tutti.
Drast non sembra mai esser stato così sé stesso, con tutti i lati positivi e negativi del caso: nei progetti con Kaneki i due prendevano un po’ dell’uno e un po’ dell’altro e quasi mai abbiamo potuto vedere la personalità dei due pura al 100%; l’impressione era quella di un’identità “macchiata” e questo ha in primo luogo agevolato e arricchito il percorso del duo, mentre in secondo luogo rende più affascinante e difficoltoso questo nuovo percorso in solitaria.
Che poi “nuovo” forse non è sempre meglio, anzi. Se si arriva a criticare questo progetto per la sua vena Pop allora non si ha mai avuta chiara l’indole di Drast. Nato rapper sì, ma in “Indaco” non c’è niente di diverso in termini di attitudine dal Drast che ha acquistato consensi negli anni.
Brani come “Gran Finale” o “Fino a Ieri” sono ciò che più si avvicinano alla sua musica, per non parlare di “Buio” che è una traccia ideata più di 3 anni fa la cui bozza era stata già pubblicata su Instagram in piena pandemia.
In conclusione, non parliamo del disco migliore dell’anno, ma non ha neanche l’ambizione di esserlo. Drast si è perfezionato e professionalizzato a livello musicale, mostrandosi anche coraggioso nel dar più spazio alla propria voce, rendendo il progetto originale quasi come fosse una versione acustica.
A molti manca la versione più grezza del primo Drast, ma quello è solo un problema d’apparenza. Perché se guardate gli occhi nella copertina e ascoltate bene, si parla sempre dello stesso artista. Un po’ meno grezzo, ma un po’ più consapevole.
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