Recensione di Kety
Era la seconda metà dell’ottocento quando si osservò l’esplosione della figura del poeta maledetto, uno scrittore atipico, che tratta spesso temi scomodi e inusuali con approcci estremamente malinconici e pessimisti. Il trionfo del decadentismo si palesò proprio quando gli stessi scrittori rifiutarono l’ideale di vita borghese e convenzionale dell’epoca approvando invece un modus vivendi fuori dalle righe maturato anche in concomitanza alle mancate risposte che il positivismo non riuscì a dare all’uomo nell’ambito dell’estetica e del gusto.
Fatta questa premessa, torniamo ai giorni nostri, più precisamente al 18 ottobre 2019, data di pubblicazione di “Kety”, il primo disco ufficiale di Ketama126 per la Sony. Il rapper romano classe ‘92 conosciuto al grande pubblico solo da un paio d’anni, è giunto finalmente al momento della verità, alla ricerca di un affermazione già anticipata dalle strofe rilasciate in occasione di “QVC 8” e “Mattoni”.
Fin dalle prime tracce arrivate ai più, la peculiarità principe notabile già dai primi ascolti è sempre stata la dannazione e il tormento che questo ragazzo porta dentro di sé, e che sistematicamente riversa nelle sua canzoni, regalandoci un prodotto unico, malinconico e rabbioso come pochi altri e perciò subito riconoscibile all’interno del rap game nostrano. Chiaramente questa caratteristica influisce anche sullo stile e il sound di Ketama, portandolo ad essere perennemente cupo, anche nelle tracce dagli intenti più leggeri, ottenendo quasi un emo-trap dalle sfumature grunge. L’atmosfera viene concretizzata molto bene anche dalla copertina di questo disco, fatta di toni scuri e da un’atmosfera offuscata dal fumo.
Per analizzare e capire a fondo il disco è necessario
ricondursi al progetto precedente, l’ep “Rehab”, pubblicato il 25 maggio 2018,
dove la tematica cardine è il suo rapporto di amore e odio con le droghe, come
anticipa il titolo, e come queste influiscano sulla sua vita e sulle sue
emozioni, cantate su basi con forti componenti riconducibili ad un pop-punk in
stile Blink 182.
Con Kety, fin dalle prime tracce, è percepibile un filo conduttore con quest’ultimo progetto. Il disco è una sorta di evoluzione dell’EP, sia in termini di sound che di tematiche, più vario e maturo. Se prima Kety ha sperimentato in alcune tracce con il rock, in questo disco spazia su vari generi, dal rock duro di “Come Va” coi suoi riff di chitarra a un suono più spagnoleggiante e filo-orientale in “Gitano”, ma sempre riuscendo a rendere al meglio il suo stile e senza snaturarsi. Nella sezione contenutistica testuale è possibile rinvenire diverse tematiche: troviamo il racconto del suo percorso musicale, il passare dal poter essere un “tossico morto” all’essere un “tossico ricco”, come lui stesso dice in “Love Bandana” con Tedua, uno dei featuring più di spessore del disco; parla anche di amore e del suo rapporto con esso, sia in chiave romantica (“Babe” con Generic Animal) che in chiave più cruda (“Dirty”) passando per una lettura più filosofica e introspettiva (in “Cos’è l’amore” con Franco Califano e Franco126) e del suo paese, di Roma, la sua città, e dell’Italia in generale, con tutti i problemi che affliggono la sua realtà.
La selezione dei featuring è ben ponderata, selezionando artisti dal background simile e capaci di adattarsi al suo stile. L’unico punto leggermente sottotono in questo caso è un Fibra che riesce ad amalgamarsi a pieno nella completezza del progetto a differenza degli altri, pur facendo un lavoro ottimo, che è ciò che una collaborazione di quel livello garantisce. Noyz Narcos invece è il rapper che è stato più capace di seguire Ketama nel suo intento, forse non il feat migliore ma quello più azzeccato, probabilmente anche per le diverse similitudini tra i due, che hanno un background assolutamente affine, cresciuti entrambi affrontando problemi con le droghe nelle strade della capitale, trovando nel rap una valvola di sfogo oltre che un’ancora di salvezza.
Alla luce di tutto ciò, è necessario provare a capire l’approccio che Ketama ha adottato questo disco al fine di comprendere anche il suo concepimento. Nel frangente di concezione dell’interezza del progetto la visione di “Kety” è inevitabilmente influenzata dai suoi trascorsi e dal suo vissuto, che sembra non riuscire ad essere positivo, lasciando trasparire una continua angoscia intrinseca, molto simile alla visione e al punto di vista con il quale i vari Baudelaire e Angiolieri interpretavano la vita, rendendo la definizione di “poeta maledetto” non così fuori luogo se utilizzata nei confronti di Ketama126. La noia e il mancato stimolo offerto dalla contemporaneità fa sprofondare Piero in un vortice di droghe e alcol che deformano e minimizzano la sua realtà, fino a dargli una visione quasi apocalittica. Se potessimo vedere ciò che Ketama vede tramite i suoi occhi, assisteremo ad un inferno in piena regola, fatto di condannati ad una vita scomoda e frustrante, esente da soddisfazioni. Non a caso l’immaginario cristiano riaffiora costantemente: nel girone infernale costituito da fiamme demolitrici, a Piero non resta che affidarsi a delle identità superiori (es. “la Madonna che piange”, “Fatima”, “Cristo” ecc…) che possono fornirgli il pass per la salvezza. La fede, reale o fittizia che sia, è un dono che non tutti posseggono, spesso spinge ad oltrepassare dei limiti che l’umano fa fatica a superare con i propri mezzi; è anche così che potrebbe essere letta la scalata di Ketama verso il successo, come un miracolo avvenuto ad un dannato bruciato dalle fiamme del peccato.
Il viaggio nella testa di Ketama permette anche al ragazzo più puro e casto di immaginare quanto sia difficile e avvilente la vita di quelle persone spesso definite “scarti societari”. Non può non destare stupore il fatto che “un tossico” sia riuscito a tirare fuori un prodotto tanto identitario quanto peculiare. “Kety” è un disco più che mai all’italiana. Seppur si percepiscano ispirazioni provenienti dall’immaginario punk e grunge, il rapper romano è riuscito a coagulare tutti questi influssi in un canale espressivo che trova terreno fertile solo nell’ambientazione italiana. Se gran parte dei rapper italiani scopiazzano gli americani, Ketama decide di andare controcorrente e decide di dare alla luce un progetto che racconti Roma, il suo quartiere, con le immagini della cultura italiana, da quella street, a quella paesaggistica e addirittura a quella cristiana.
Kety può essere considerato la trasposizione ai giorni nostri di un’opera dei suddetti poeti? Forse no, visto e considerato quanto sia spinoso l’attuale dibattito su cosa è cosa non è la poesia contemporanea, ma sicuramente il ragazzo romano ha molti punti di collegamento con queste figure che hanno deciso di sovvertire l’ordine sociale ordinario riuscendo a portare sotto gli occhi di tutti le figure degli emarginati continuamente bistrattati.
Di Simone Molina
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