In Inghilterra esiste un proverbio che dice “If you want something done right, do it yourself“, letteralmente “se vuoi qualcosa fatto bene, fattelo da solo”. Questo è l’esatto concetto che ha portato Guè, stanco di un mercato secondo lui troppo vincolante, a creare una nuova etichetta, la sua etichetta (e dei suoi collaboratori di sempre, Shablo e Jacopo Pesce), che risponde al nome di Oyster Music. Oggi siamo qui per parlare del primo progetto sotto questo nome, il joint album del fondatore insieme a Rasty Kilo, “KG”.
Per comprendere questo joint album prendiamo in considerazione prima “Oyster Music”
Non possiamo parlare del progetto senza fare un breve excursus sulla creazione di questa nuova realtà, perché è dalle stesse idee ed ideali che “KG” prende forma, come volesse essere un manifesto di cosa Oyster Music andrà a rappresentare. Vi propongo una descrizione di un post tratto dal profilo Instagram dell’etichetta, datato 9 febbraio:
“Sarà la nostra nuova casa, una fabbrica di idee, di arte, dove cercheremo di mettere in primo piano l’autenticità, la libertà di espressione, la cultura hip-hop e soprattutto la musica”
post del 9 febbraio sul profilo instagram di “oyster Music”

Ecco “KG” nasce da questi principi: un progetto libero da vincoli, generato dal puro amore verso questa cultura, verso il racconto di strada, la narrazione che guarda in quei vicoli dove le autorità non vedono e in quelle situazioni dove la maggior parte delle persone evitano.
Gangsta rap per il puro gusto di farlo, un esercizio di stile fine a se stesso in cui i due si divertono senza porre, a loro e a noi, alcun tipo di aspettativa o finalità. “Il disco è questo, a noi piace, se vi va bene ok, sennò a noi non interessa”, questo sembra balenare nella testa dei due nella costituzione del disco.
“KG”, a cavallo tra l’Italia e gli USA, ma guardando sia da una parte che dall’altra
L’effetto finale ricorda molto più gli States che l’Italia: l’impressione al primo ascolto è quella di ascoltare un tape americano piuttosto che un joint album del Belpaese, vuoi per il sound molto ispirato a quella corrente, vuoi per la scrittura quasi freestyle, ricca di autocelebrazione, flex e criminalità, persino la cover del progetto pesca a piene mani da quello stile.

L’atmosfera mi ha riportato alla mente il periodo in cui Gucci Mane pubblicava decine di mixtape ogni anno; è un disco che sembra uscito da un’altra epoca, da un altro contesto, effetto prodotto dalla ricchezza di citazionismo e riferimenti musicali.
“Vedo rosso, Marlboro
Rasty Kilo & Guè – KG Anthem (KG, 2025)
Bevo Champo, guido un toro
Io non rappo, alzo i soldi dal suolo
Dieci anni dopo, i ragazzi d’oro”
“Il mio ferro è gay perché si fa gli uomini, Kilo vox populi (Rrah)
Rasty Kilo & Guè – Bulletproof (KG, 2025)
Le spruzzo in gola, zio, Propoli
Sto ancora in mezzo ai tossici in strada, sogno i tropici
Sono famoso, ma arrotondo coi narcotici”
Questi sono solo due esempi di come le citazioni al passato di Guè e dei Dogo giochino un ruolo importante nel progetto, da “KG Anthem” che cita “Il Ragazzo D’Oro” in questa barra ma anche nella struttura dell’intero pezzo a “Bulletproof” con la citazione a “Ciao Proprio”, passando da “Connor” che riprende la struttura del ritornello di “JCVD” brano forse dimenticato dai più contenuto in “Che Bello Essere Noi”.
Anche gli States giocano un ruolo fondamentale nell’architettura sonora del progetto, con tanti brani ripescati dagli anni ’90 e 2000 ed utilizzati per strutturare le sonorità di “KG”: il ritornello di Enny P in “Duemilatre” è una citazione al brano “Love Don’t Cost a Thing” di Jennifer Lopez, e il bridge della stessa che precede l’ultimo ritornello si rifà a “I Know What You Want” di Busta Rhymes. In “Rimango Free” con Tony Effe troviamo invece il campione di “Somebody’s Watching Me” di Rockwell, brano del 1984 di fama internazionale, e queste sono solo le più palesi.
Questa ricerca delle reference e l’approccio americano rendono “KG” atipico per il mercato italiano. Questo “effetto tape” che rimanda la memoria al metodo di lavoro americano è qualcosa che in Italia vediamo raramente: una mancanza nel mercato che Guè, da buon imprenditore, ha colto e vuole andare a riempire con questo e altri progetti sulla stessa falsariga già semiannunciati (quello con Rose Villain per il 2026 ne è un esempio).
Qui nello Stivale è più usuale vedere un esaltazione del prodotto a volte anche eccessiva: ogni album sembra essere il nuovo progetto destinato a fare la storia, per poi rivelarsi l’ennesimo disco simile ad altri mille. Guè e Rasty hanno avuto l’onestà di non alimentare aspettative eccessive e fuorvianti per un progetto fatto al solo scopo di divertirsi, anche se una buona fetta di pubblico sembra non averlo capito, rapita dal tunnel dell’hype, finendo per aspettarsi chissà cosa e rimanere delusa da un progetto che per primo non si faceva grosse aspettative.
Ma, come nella maggior parte dei casi, non è tutto oro quel che luccica. Questo effetto tape è dato anche da una mancanza di amalgama che tra i due si percepisce. Ok il Gangsta Rap ma si avverte la mancanza di un concept e di un feeling che nei joint album siamo abituati a percepire. Lo stesso Guè, insieme a Marracash in occasione di “Santeria“, ci aveva regalato un progetto ben più coeso, che fin dall’intro immergeva e coinvolgeva l’ascoltatore. Jake ed Emis Killa hanno fatto dei loro punti in comune a livello tecnico e della stima reciproca la base fondante di “17”, Salmo e Noyz avevano la passione per le atmosfere tetre e l’horror a trainare “CVLT”; qui la base fondamentale su cui costruire il progetto è molto generica, troppo poco per conquistare completamente l’ascoltatore e permette all’interesse di perdersi un po’ per strada.
Il livello tra i due non sempre è pari, in qualche brano si sente la difficoltà di Rasty Kilo di stare al passo con un mostro sacro come Guè. Nei brani più “vendibili” dove esce la capacità del Guercio di costruire linee vocali e ritornelli ad hoc si percepisce come Rasty non sia propriamente a suo agio, non è esattamente il suo stile. Rasty appare come un rapper costituito per rappare duro, per sputare veleno sul microfono senza troppi fronzoli e questa è la sua grande forza ma anche il suo grande difetto. Basandosi solo su questa dote è difficile reggere un disco intero; è un problema che abbiamo notato in tutti i progetti di Rasty e “KG” non fa eccezione, aspetto che contribuisce a limitare la coesione dei due sulla traccia.
Per ovviare a questo problema i due hanno scelto di inserire un numero considerevole di collaborazioni esterne che aiutano lo scorrimento del progetto, tutti scelti ad hoc per il ruolo che dovevano svolgere. Tony Effe in quella che potrebbe essere la prossima street hit dell’estate, Enny P per il ritornello sopracitato stile anni 2000, Terron Fabio per l’aura reggae, Tony Boy nel brano conscious e Nerissima e Papa per aggiungere ancora un po’ di crudità che in questi casi non basta mai.
E poi c’è Noyz.
Per “Dedication” voglio fare un breve discorso a parte che secondo me merita. È senza dubbio il brano più forte e sentito del progetto, personale, squisitamente old grazie anche alla produzione di un capostipite come Bassi Maestro. Una dedica accorata a tutte le persone che la strada la vivono davvero, ogni giorno, in mezzo a mille difficoltà, che arriva da chi conosce bene quello struggle come un possibile appiglio per sopravvivere. Brano riuscitissimo dove tutti e tre danno il meglio che hanno in un’atmosfera di nostalgia, dolore e speranza.
“Delle volte nel silenzio prego solo nel mio letto
Rasty Kilo & Guè – Dedication feat. Noyz Narcos (KG, 2025)
Ho una paura fottuta di tornare indietro
Dedicato a noi, gli ultimi rimasti fuori
Perché tutti i nostri amici o sono dentro o sono morti”
Chiudo facendo quello che hanno fatto i due per tutta la durata di “KG”, citando, con una frase dello stesso Guè che esprime al meglio l’essenza che ho avvertito in questo joint album, e l’essenza stessa del tipo di rap che i due amano ed esprimono.
“cinema di strada, io sono il proiettore”
Con la collaborazione di Matteo Maiuri.
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