Nel 2022 in Europa è stata registrata la condizione di siccità più grave da 500 anni a questa parte, metà del Vecchio Continente si è trovata in allarme rossa per mancanza di acqua; anche in Italia, in quell’anno, è stata registrata la più grave soglia di aridità dall’Ottocento ai giorni nostri, con una buona parte dei corsi d’acqua ai minimi storici, in particolare il Po.
Senza dimenticare i vari disastri ambientali a cui il mondo ha assistito proprio in quell’anno, e, tra i tanti, anche l’Italia è stata teatro di tragedie come l’alluvione delle Marche di settembre o le frane che hanno falcidiato l’isola di Ischia a novembre. E sembra incredibile, ora, a distanza di anni, notare che proprio in quell’anno lì ha visto la luce “Oro Blu” di Bresh, in cui l’artista genovese inizia a definire ancora di più il suo stretto contatto con il mondo marino e nautico, senza nascondere un rapporto di fratellanza con l’elemento principale e fonte di vita per l’essere umano.
“Oro blu perchè anche il necessario ha un prezzo, che sfiga”
Bresh – Caffè (Oro Blu, 2022)
Il titolo del disco problematizza proprio quanto sia incredibile, in un mondo come il nostro, all’apparenza così evoluto e a prova di bomba, che un bene necessario come l’acqua sia un bene inestimabile in tante parti del mondo e non più scontato dove invece sembrava non scarseggiare.
Ora, nel 2025, le cose vanno un po’ meglio in Italia da questo punto di vista, ma nell’Europa centrale soprattutto, il problema è lo stesso di 3 anni fa; per Bresh invece questo è stato l’anno del suo primo Sanremo, figlio della buona riuscita di “Oro Blu”, un disco che ha toccato e rinfrescato, dato vigore alle giornate di tante persone.
Il suo rapporto con l’acqua, o meglio con il mare, non è mutato: “La tana del granchio” ha ricevuto la sua approvazione da parte del pubblico mainstream e, come già si poteva intendere da alcuni segnali del disco precedente e da alcuni singoli (“Guasto d’amore” e “Altamente mia”), la carriera di Bresh sembra aver preso la direzione di un cantautorato in cui riecheggia quello genovese reinterpretato in chiave moderna. Una scelta musicale, quella di Bresh, che non sorprende considerando anche i vari esperimenti fatti nel suo primo progetto in assoluto, “Che io mi aiuti”.
“Mediterraneo”, il viaggio nel mare dell’introspezione.
Il suo rapporto con l’acqua non è mutato, ma l’immaginario visivo suggerito dal titolo del suo nuovo progetto “Mediterraneo” si è ristretto. Dal concetto di oro blu, dall’acqua, Bresh ha ristretto il suo focus e si è concentrato sul mare che bagna la sua Genova e che circonda tutta l’Italia.
“Mediterraneo”, l’ultimo progetto da solista di Bresh, uscito il 6 giugno scorso, è composto da 16 tracce completamente figlie dell’interpretazione fresca di cantautorato dell’artista genovese.

Sin dalla prima traccia, “Rotta Maggiore (Partenza)”, l’atmosfera che emerge profuma di mare, immaginario presente in tutto il disco come un’onda travolgente, cavalcata in primis da Bresh, poi accompagnato da Tedua, Kid Yugi, Sayf e Achille Lauro, suoi compagni di viaggio. Ciascuno di loro porta con sé una sfumatura distinta, che arricchisce il viaggio sonoro di Mediterraneo: Tedua che rinsalda il filo con la terra d’origine, Kid Yugi, che dà una nota più ruvida e introspettiva, Sayf che aggiunge una vena più melodica e confidenziale e Achille Lauro, che regala un elemento di rottura quasi teatrale che si intreccia con coerenza alla traiettoria artistica di Bresh.
A partire dalle sonorità in cui riecheggia l’aria di mare, il disco si percepisce come un viaggio nelle atmosfere marine e solari del Mediterraneo; ma, attenzione, non è un viaggio di piacere, Bresh non è salpato con l’idea di divertirsi.
Il tragitto che l’artista compie è un’immersione nel suo mondo interiore, con una forte componente emotiva, dai ricordi al presente, che come legante hanno l’elemento che accomuna tutta la carriera musicale di Andrea, il suo locus amoenus: il mare.
Attraversa tutto l’album come una presenza costante e multiforme: non solo paesaggio sonoro e sfondo simbolico, ma anche vera e propria figura dell’anima.
È un elemento che si trasforma di continuo, a tratti è calma piatta, a tratti è tempesta, e in questa sua mutevolezza Andrea si specchia e riflette la sua identità.
Il mare assume diverse sfumature: se da una parte è orizzonte e sicurezza, dall’altra è anche vertigine, paura di cadere, di guardare giù, è promessa di ritorno e, al tempo stesso, possibilità di perdersi.
Tra “Oro Blu” e “Mediterraneo”, c’è continuità tra le due cover. Nella prima troviamo Bresh di spalle su una scogliera, con di fronte a sé la grande vastità del blu del mare che si fonde con quello del cielo; in “Mediterraneo” c’è sempre Andrea da una posizione più ravvicinata, che “cavalca” la base della vela di un’imbarcazione, ma questa volta, oltre a lui, il protagonista è il cielo blu e bianco, e non c’è un accenno di mare, che questa volta deve essere la via di comunicazione del progetto.
Ad aprire le porte del mondo sonoro, emotivo e simbolico dell’album di Bresh è l’intro, “Rotta Maggiore (Partenza)”, il primo sguardo dentro il Mediterraneo di Bresh, che sembra più un risveglio che un inizio. Non è l’apertura enfatica di chi parte col vento in poppa, ma il lento sollevarsi di chi ha deciso, forse con fatica, di rimettersi in cammino. Il titolo richiama immediatamente il mare e la navigazione: la “rotta maggiore” è quella direzione importante, definitiva, che si sceglie quando si ha finalmente il coraggio di salpare. Ma non c’è eroismo, semmai introspezione, l’inizio di un viaggio emotivo scandito da ricordi, cadute, immagini sospese tra il reale e l’onirico.
Il brano si apre su una scena domestica, quasi malinconica:
“Il colore della porta era di un verdone scuro”.
La porta diventa simbolo di una soglia esistenziale, tra ciò che è stato e ciò che ancora fa male: da subito, il testo rifiuta ogni soluzione facile. Il viaggio che sta per iniziare è tutt’altro che liberatorio: è denso di ferite non chiuse, di paesaggi interiori corrosi, come il prato su cui “cade la pioggia acida”.
Bresh canta da un luogo che sta tra la memoria e la perdita, tra Genova e il tempo che passa. La città, mai davvero nominata ma onnipresente, è uno sfondo immutabile: “L’aria di Genova non è cambiata”, dice, ma tutto intorno è in evoluzione. La fotografia che osserva, e che chiude il ritornello, è un’istantanea del passato, un frammento che non coincide più con il presente.
Il cambiamento è inevitabile, eppure doloroso: “Com’è cambiata la mia compagnia”.
In poche righe, Andrea restituisce tutta la densità della nostalgia, il senso di straniamento che si prova nel rileggere le proprie storie come se appartenessero a qualcun altro.
Dopo la nostalgia, la rottura: “E poi ho staccato i chiodi”. Bresh si è liberato dai limiti imposti, le “scarpe coi chiodi” che lo inchiodavano a terra, ma la libertà ha il volto della caduta. “Sono caduto camminando cento volte ormai”, confessa, facendo emergere una delle verità profonde del brano: l’equilibrio non è per tutti, o forse non è per chi ha scelto di sentire, di sbagliare, di vivere senza scorciatoie.
Con “Rotta Maggiore”, Bresh apre Mediterraneo non solo come album, ma come carta nautica dell’anima. Non è un’introduzione tecnica o un’anticamera musicale: è un prologo esistenziale, che mette a nudo il cuore del progetto, lì dove il mare è assente nella copertina, ma vivo in ogni parola.
“Altezza cielo” è l’episodio più profondo del disco e probabilmente il picco più alto. In un’atmosfera sacrale articolata dal beat di Shune, Bresh assieme a Kid Yugi dialogano con un interlocutore a cui vengono date le fattezze di una divinità saggia senza genere, o meglio di un’entità capace di poter sorvegliare le attività dell’uomo, e come fa il faro con le navi disperse, indicare la via migliore, anche per mezzo di quelli che possono essere visti come brutti presagi o condizioni di svantaggio:
Hai la barba, la uso per idealizzarti
Bresh – Altezza cielo feat. Kid Yugi (Mediterraneo, 2025)
Non sei un giovane, porti i capelli bianchi
[…]
Sei la mano che fa ombra, sei la luce, sei un’onda
Sei l’errore che fa crescere, la mista che mi cade
(Bresh)
Mi hai fatto nascere schiavo, mi hai fatto crescere re
Volo in alto e mi bruci, ma se mi rompo mi aggiusti
[…]
Beato chi si prostra ai tuoi piedi, sarà il più in alto fra tutti
Non sei uomo, non sei donna, tu sei il grembo e la tomba
[…]
Sei la luce di chi mi lascia qualcosa
Sei il crocifisso che fermerà la pallottola
(Kid Yugi)
Il brano è di forte impatto proprio perché sta all’ascoltatore sciogliere il nodo di ambiguità dietro alle tante immagini create da Yugi e Bresh.
Impossibile non nominare “Aia che tia”, brano interamente in genovese scritto con lo stile di una ballata folkloristica. Si respira la volontà di Bresh di portare la sua identità territoriale al grande pubblico, tra l’altro con un brano che descrive alcune scene di vita quotidiana di Genova, coinvolgendo tutti, dai portuali agli artigiani, dalla fauna caratteristica alla marea che in base ai vari momenti del giorno, si alza e si abbassa cambiando l’aspetto delle spiagge e della città stessa.
Probabilmente questo brano è figlio della cover di “Creuza de mä” di Fabrizio De Andrè portata a Sanremo in compagnia di Cristiano, figlio di Faber. Interessante anche notare che i riferimenti più diretti alla città di Genova vengono fatti proprio in questa canzone, che può essere compresa al primo ascolto solo da chi condivide la sua stessa provenienza.
“Mediterraneo”, per quanto in linea e coerente con la crescita di Bresh, presenta alcune criticità come la quasi totale assenza di rap, che avrebbe potuto conferire al disco una maggiore varietà e personalità, senza dimenticare tra queste, una ridondanza nella scelta delle linee melodiche; tra i ritornelli del disco sono pochi quelli che rimangono impressi pur essendo una cifra stilistica fondante nella musica di Andrea.
Con “Mediterraneo”, Bresh getta le basi per un nuovo standard del neo-cantautorato genovese, lascia le acque internazionali per entrare in quelle del pop italiano dopo aver superato il test sanremese e dopo essere riuscito a reggere l’impatto con un pubblico più grande.
Con la collaborazione di Valeria Luzi.
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