Sono passati 10 anni dal grande salto. Non stiamo parlando del primo disco di Nitro, ma quello che lo ha lanciato definitivamente tra i nomi di spicco della scena rap italiana. Nel 2015, Nitro si presentava ad un pubblico più vasto con “Suicidol”. Al suo interno era presente il featuring di Fabri Fibra, nella deluxe poi si sarebbero aggiunti Madman, Jake la Furia e Jack The Smoker.
Molti sono i classici di Nitro appartenenti a questo disco, come “Baba Jaga”, “Sassi e diamanti”, “Pleasantville“. Alle spalle di Nicola, a curare il suono troviamo produttori come Low Kidd (il più presente), Don Joe e Shocca. Il progetto fu anticipato da “Rotten”, in cui Nitro, già solo nell’attacco riesce a racchiudere come in un anthem, le caratteristiche della sua musica:
Questo non è rap, non è hip hop, è il diario di uno psicopatico
Nitro – Rotten (Suicidol, 2015)
Con crisi di panico date da un cervello sadico, uh
Ho un trauma cranico, ma mi ha detto un dottore
Che un uomo col mio dolore sta meglio solo se muore
Il rapper di Vicenza classe ‘93 ha sempre fatto della sua arte un sacco da boxe su cui scaricare tutta la frustrazione e il dolore per i disagi della propria esistenza. Il primo Nitro, quello ventenne, si nutre dell’insoddisfazione e repressione di un ragazzo che non riesce a piacersi e a volersi bene in alcun modo. E’ il prodotto di un adolescente insicuro, chiuso e depresso, che grazie al rap riesce finalmente a trovare una valvola di sfogo alla sua rabbia.
La parola d’ordine è proprio questa, “rabbia”. Il primo Nitro è rabbia pura, pronta a riversarsi sulla sua penna che concretizza in immagini vivide tutte le percezioni della sua esistenza, tra turbe di complessi individuali e relazionali. La tempestosa rabbia di Nicola non si rivolge solamente verso i rivali o quei primi haters che sono saliti sul trespolo dopo “Danger” (2013), anzi, essa è prima di tutto rivolta a sé stesso, e a quel dannato cervello sadico che causa continue crisi di panico.
Ciò che mi affascina del primo Nitro è proprio la sfrontatezza comunicativa: completamente disinibito e senza vergogna, Nicola si presenta in diretta televisiva e apre la sua scatola cranica, tira fuori uno dopo l’altro tutti i putridi rifiuti contenuti al suo interno, e invece di smaltirli subito, prima li dà in mano alla stampa e li offre alle videocamere dei curiosi.
Oggi invece è un’altra storia, perché il motivo per cui siamo qui è per parlare di “Incubi”, sesto disco in studio di Nitro, ormai più che trentenne (32 per l’esattezza). Ne è passata di acqua sotto i ponti in questi 10 anni, ma soprattutto sono 4 i dischi di Nicola in questo arco di tempo.

Non sono tantissimi, se paragoniamo la sua mole di produzione con quella di altri colleghi della scena, ma questo semplice dato numerico ci fornisce un fatto sul come Nitro, negli anni, abbia gestito la sua carriera. Siamo davanti a un artista che non ha mai puntato alla costanza, quanto più alla sostanza.
In questi anni sono cambiate molte cose nel rap game italiano e Nitro si è sempre fatto portavoce di quella controproposta, caratterizzata da identità musicale e critica sociale ormai sempre più mancante nella scena italiana (con le dovute eccezioni). Nel progetto tutto questo non manca, ma ci arriveremo gradualmente.
“Incubi”, il nuovo secondo album di Nitro
Nella recensione di “Outsider”, Alessio Marras aveva parlato del disco come di un “nuovo primo album”, e, per me, anche questo progetto segue il filone di quello precedente: “Incubi” è un “nuovo secondo album” per Nitro, considerato molto spesso il più difficile per un artista.
In questo caso, “Incubi” è stata una conferma del nuovo inizio, o meglio ancora, il proseguimento di un viaggio che sta andando bene, come un’imbarcazione col vento in poppa. Nitro è cresciuto e la rabbia non è più solamente il suo unico motore. Nicola adesso è un uomo lucido e maturo, che sembra aver raggiunto la sua identità, la stessa di cui diceva di essere alla ricerca in “Danger”.
La notte è insonne e dà risposte che non so
Nitro – Storia di un presunto artista (Danger, 2013)
Mentre cerco la mia identità con Jason Bourne
Non a caso “Incubi” si apre con “Storia di un artista”, che va a completare la sua trilogia, iniziata con presunto in “Danger” nel 2013, per poi diventare defunto in “Suicidol” nel 2015, fino alla scomparsa di ogni tipo di aggettivo nel 2025.
Il brano è un compendio della carriera iniziata da giovanissimo in cui Nitro ripercorre i suoi traguardi e racconta con entusiasmo i primi legami costruiti con i membri della scena che prima erano ispirazioni, poi diventati colleghi, senza escludere anche quelli con cui ora non scorre buon sangue.
Nitro fa leva sulla sua giovane età dell’epoca, in mezzo a tutti i giganti del genere con cui ha avuto l’onore di collaborare, sottolineando con forza la gavetta iniziata all’età dei 13 anni e i primi riscontri concreti ottenuti dai 16 anni con il freestyle.
Dopo un periodo buio di depressione risalente al periodo della pandemia, emerge in “Incubi” una riscoperta della vita di un Nitro che sta imparando ad amarsi, in cui gli incubi e il dolore non sono altro che un modo per crescere ed accettare il proprio lato peggiore. In “Outsider” Nitro aveva scelto di dare spazio tra i featuring a tutti emergenti, in questo disco si contorna di giovani promesse ben lanciate come 22simba, Niky Savage, Silent Bob e la solita Sally Cruz, e agli storici e ben più navigati Salmo, Tormento, Nerone e Madman.
Nel progetto emerge una massiccia quantità di critica al momento del genere in Italia, ritenuto da Nitro stagnante e piatto, manovrato e dedito solo alla ricerca dei numeri, e questo aspetto emerge con forza in “Odio il rap”.
Il brano si erge su una continua contrapposizione odi et amo: Nitro ama il rap perché gli ha dato motivo di vivere e la possibilità di esprimersi, ma lo odia quando è forzato, settario, calcolatore e limitante come in questo momento storico. In primis, ho apprezzato il brano per il coraggio. Finalmente qualcuno si è espresso sul momento del genere senza fare stories, ma sputando barre e parlando senza filtri.
L’apparato musicale del disco è quasi interamente seguito da Low Kidd con le sue indistinguibili tonalità scure che si sposano sempre molto bene con la voce bassa e profonda di Nitro, capace di adattarsi a vari stili, spesso anche più vicini al cantato.
Come avevo già anticipato, Nitro anche in questo disco ha dato spazio alla critica sociale e temi universali, come quello dell’amore, del matrimonio e dell’amore tra di loro interconnessi in “Dellamorte Dellamore” con Salmo e Sally Cruz.
Apprezzabile il ritratto di provincia svolto in compagnia di Silent Bob sul beat in “Portici”, brano che ha permesso un sodalizio tra due artisti molto vicini stilisticamente seppur di due generazioni di rap diverse. Ho apprezzato molto il brano “Luci blu” per la riflessione generale e abbastanza larga che Nicola ha fatto sull’utilizzo della tecnologia ai giorni nostri e sul nostro rapporto sempre più viscerale con gli schermi.
Trovo molto sottile il collegamento tra la difficoltà nel piacersi nel nostro periodo storico al ritornello che recita:
Luci blu
Nitro – Luci Blu (Incubi, 2025)
Fanno a gara a rubare il mio tempo
Anche se non ne ho più
Dopamina che esce dallo schermo
Il mio inferno sei tu
Nitro in questo brano ha riflettuto sull’influenza che i social e gli schermi hanno nel nostro pensiero e nel nostro giudizio, oltre a sottolineare nel secondo e nel terzo verso, la grande quantità di tempo che ormai passiamo sui dispositivi pur di annoiarci e di non pensare.
“Incubi” è il nuovo secondo disco di Nitro, che, in contrapposizione con l’irriverenza, la depressione e la frustrazione di “Suicidol”, rappresenta una rinascita umana e musicale. Nitro prosegue il suo cammino verso la tranquillità e la gestione della rabbia, gli incubi non sono più uno spauracchio per allontanare i rapaci, ma anzi, sono motivo di riflessione per trovare un equilibrio tra la sua fragilità e la distruzione incombente in cui questo mondo si sta inesorabilmente dirigendo.
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