C’è un uomo. E’ disteso su un divano disgustosamente barocco, a volute dorate, in broccato di lino bianco. Alle pareti della stanza in cui giace, pendono quadri bellissimi, attorniati da cornici in legno, impreziosite da gemme.
L’ambiente è sfarzoso, arredato in stile Impero, vomitevolmente pomposo: velluto scarlatto sulle tende, velluto scarlatto sui tappeti, drappeggi aurei. L’uomo ha lo sguardo nel vuoto. Perle al collo, pendenti ai suoi lobi, diamanti alle sue dita, ciondoli ai suoi polsi.
Nei suoi occhi, però, nessun bagliore. Una vestaglia aperta, in seta viola, lascia intravedere il corpo consunto, tornito dai tatuaggi. Una banconota arrotolata tra le sue dita, cocaina sul suo naso, amfetamina nel suo sangue.
Se ogni album è un immaginario, per me, questo è “Pour L’Amour” e quell’uomo lì, in disteso tra il lusso più sfrenato e il baratro della più nera perdizione è il suo artefice, Achille Lauro.
Per raccontare questo disco le parole non bastano, bisogna scomodare le immagini, ammirare la loro ammaliante superficie, per scoprire tutta la disperazione che celano. “Pour L’Amour” è un disco che racconta l’estetica più sfrenata e la sua vuotezza, l’apice della vita e la pienezza della morte, il glamour e la sua stessa raccapricciante parodia. Partiamo dalla copertina.

Achille troneggia, ma la radiografia della strada che campeggiava sulla cover di “Ragazzi Madre” sembra acqua passata. Il rapper è in primo piano anche questa volta, ma in nuovi panni: è vestito da angelo, da messaggero celeste, brillante di azzurro, elegante e divino, prototipo di una mascolinità alternativa sideralmente lontana dal machismo ostentato del rapper di strada.
Una tuta aderisce al suo corpo, sul dorso splendono ali pennute. Nel bianco immacolato di questa cover però, brilla solo il nero dello sguardo del rapper. Gli occhi di Lauro sono cerchiati di neri, oscuri, cupi, scrutano minaccioso chi guarda, saettano e implorano pietà: è l’angelo caduto di Cabanel.

Nella più radicale contrapposizione tra Inferno e Cielo, vive interamente “Pour L’Amour“.
In un’intervista del 2018, in occasione dell’uscita del progetto, Lauro dichiarava che l’album era stato totalmente registrato in una villa di lusso del 1979, dispersa in un’indefinibile località italiana. Circondato dal lusso più sfrenato, dalle più elevate manifestazioni della classe e dell’eleganza, Achille è rimasto chiuso nella dimora per due mesi, insieme ad altre 15 persone.
Durante quell’isolamento, che il rapper racconta con toni quasi onirici, per la casa sono sfilate più di 100 persone, per produrre una quantità di brani tale da riempire tre album. Tutto a una condizione: tutti gli inquilini del palazzo erano soggetti a “microdosing”, ossia sotto un costante, perpetuo e lento dosaggio di sostanze stupefacenti. Eccola, la vita vissuta così intensamente da diventare morte.
Angeli e droga aprono il disco, che non a caso inizia con “Angelo Blu”. Il brano in collaborazione con Cosmo, coproduttore della traccia insieme a Boss Doms, racconta una storia d’amore impalpabile, in cui lei più che un essere umano sembra essere la personificazione di un cristallo di metanfetamina.
La voce di Achille si trascina su una base Samba Trap interamente psichedelica, le parole si accostano l’una all’altra senza un filo logico reale, perse in un flusso di suoni distorti e disgustosamente colorati.
Il video del brano è esemplare: Achille truccato, brilla nel suo costume angelico, circondato da persone di ogni orientamento sessuale che si baciano tra loro. Angelo Blu sintonizza l’ascoltatore sull’immaginario che tiene in piedi tutto il disco: il glamour spinto al limite, l’estetismo più sfrenato, la classe che diventa vuotezza.
“Pour L’Amour” rivoluziona l’immaginario del rapper di strada, gli cambia i vestiti, gli cambia la droga, gli cambia l’ambientazione e le barre; gli stravolge le basi e lo priva della mascolinità. Nel disco, qualsiasi cardine della narrativa classica hiphop, viene risemantizzato, assume un nuovo significato.
Non c’è più la cocaina da nascondere nella pancia per riscattare una vita al limite trascinata sulle ginocchia, a strisciare sull’asfalto per cercare di intravedere il domani. L’esistenza ora si consuma nel caleidoscopio delle droghe sintetiche, dell’MDMA, dell’LSD, tra gli atelier di alta moda, le boutique che partoriscono una classe che rasenta l’opera d’arte. Non ci sono più le felpe, i giubboni per nascondere le panette, le snicker sull’asfalto, ma solo borse, pellicce, gioielli, “Roba Francese”:
Metto roba francese
Achille Lauro – Roba Francese (Pour L’amour, 2018)
No, non parlo l’inglese
La mia borsa è di Fendi
Ho le Silver da quando avevi Lelli Kelly
Giovane selvaggio (Metto roba française)
“Pour L’Amour” è l’ostentazione voluttuosa di un’opulenza da regnante, da aristocratico, da divinità. “Dio Benedici queste Balenciaga e queste Yeezy” nel ritornello di “Purple Rain“, ci restituisce un orizzonte in cui la vita ha senso solo in relazione al soddisfacimento di un bisogno di bellezza quasi inesauribile.
Sembra che in tutto il disco, Lauro cerchi di diventare parte integrante del palcoscenico barocco che è la sua stessa esistenza: dopo aver vissuto quasi la sua intera vita come un animale, sguazzare nell’oro di un pacha sembra un diritto inalienabile. Così in “BVLGARI”:
Voglio i rubinetti d’oro, sì, come zingari, zingari
Achille Lauro – BVLGARI (Pour L’amour, 2018)
Ho vissuto in mezzo alle roulotte come zingari, zingari
Voglio tigri nel giardino mio come zingari, zingari
Come zingari, zingari, come zingari, zingari
Scenografico, appariscente fino all’accesso, kitsch, disgustosamente esagerato. L’Achille Lauro di “Pour L’Amour” è senza generi sessuali, androgino e controcorrente, rosa shocking e pieno di glitter. Incarna l’ideale dannunziano dell’esteta che vive ogni secondo sprofondando nella morte, che fa della sua vita una totale opera d’arte:
Voglio il funerale in piazza (Voglio il funerale in piazza)
Achille Lauro – BVLGARI (Pour L’amour, 2018)
Le carrozze, i cavalli bianchi (Le carrozze, i cavalli bianchi)
E i fiori sulla strada (I fiori sulla strada)
Hollywood, rose dall’elicottero (Rose dall’elicottero)
Oro rosa fenicottero
Arte. Un tripudio di buon gusto che trasfigura tutto, che sommerge la vita passata e la scaraventa sugli apici delle più alte manifestazioni estetiche. Tutto diventa quadro, scultura, Dalì, Renoir, Pablo Picà: “Thoiry”, in collaborazione con Quentin40 e Gemitaiz, è un catalogo di deformità artistica, uno zoo in cui tutti i membri della crew di strada dei rapper diventano artisti, pittori, scultori. La fama porta tutti su: quei soggetti deformi che in “AmoreMi” sono gli animali più feroci del quartiere, due tracce dopo diventano le più belle opere d’arte del museo.
“Pour L’Amour” è pieno di donne. Sono ovunque, sembrano circondare Lauro. Donne, su donne. Una sessualità libera, vissuta con un’intensità sconvolgente, con la leggerezza e la passionalità di chi sa di morire il secondo dopo l’orgasmo. Muse ispiratrici, Erinni dissacranti, Angeli e Diavoli: l’amore è “una gabbia a matita” in “Mamacita” ma è “venire su da te, amore dopo cena” in “Dolores”.
Scardinare un immaginario hiphop, per costruirne uno nuovo, totalmente inedito in Italia. “Pour L’Amour” è uno spartiacque totale nella carriera musicale di Lauro e nella storia del genere in Italia. Prima di questo progetto Achille era stato l’araldo della crudezza di strada, dopo diventerà un personaggio pubblico, un performer, la rockstar che il pubblico di Sanremo ha sempre desiderato senza saperlo veramente, l’uomo che bacia il suo chitarrista in prima serata su Rai 1.
Non c’è rivoluzione culturale, però, che non sia anche e in primis rivoluzione sonora, e “Pour L’Amour” stende le braccia tra la trap di “Ragazzi Madre” e il pop rock di “1969”, andando a colmare un gap sono che nessuno, prima di lui, nel panorama HipHop aveva mai osato varcare.
Il progetto, infatti, è interamente sperimentale: il barocco visivo si fa barocco sonoro nelle mani di Boss Doms che sigla il primo disco interamente Samba Trap che l’Italia abbia mai conosciuto. Suoni tropicali, caraibici, reggaeton, casse dritte, house e dancehall: se “Pour L’Amour” ha resistito al tempo, non risultando mai veramente stantio, è dovuto alle sue produzioni, che come un caleidoscopio, rendono concreta la narrazione della nauseante ostentazione che Achille porta avanti per più di 40 minuti.
I bonghi di “Non Sei Come Me”, i bassi di “Midnight Carnival” e le percussioni di “El Ninho” teletrasportano l’ascoltatore nell’America Latina, mentre è immerso nella suite dell’albergo più blasonato della capitale. Nelle mani di Doms la villa si fa giungla, e Achille ne è il re.
Arriviamo alla conclusione.
Le luci del palco si chiudono. La festa è finita. Via gli orecchini, le pellice. Via il rossetto, il costume da angelo e i lustrini. Getta i bracciali, getta gli anelli. Sfascia i quadri che ti circondano, strappa le tende. Non valgono niente. Via la coca, non sa di niente. Questa ricchezza non vale un soldo, questo blasone non vale un grammo di felicità. E’ arrivata “Penelope“.
“Penelope” chiude “Pour L’Amour“, è l’ultima traccia del disco. La accompagna un accordo di pianoforte leggero, che gira inesorabile, semplice, lungo tutta la durata del brano. Essenziale, spoglio, disadorno, lontanissimo dalla frenesia animalesca delle altre tracce del disco.
In tre minuti e una manciata di secondi, Achille diventa Lauro, l’angelo sembra dimenticarsi di tutto e comincia a piangere, nella consapevolezza che quest’aspirazione a vivere una vita immersa nei piaceri, non sarà mai in grado di colmare un vuoto esistenziale più profondo, un’insoddisfazione esistenziale insaziabile.
Lauro prega, da angelo si fa uomo, implora Penelope di insegnargli a essere fragile, a essere autentico, a essere vero. A distanza di tanti anni, “Penelope” resta una delle più alte manifestazioni artistiche della discografia di Achille Lauro.
Finché non conta ciò che c’è ma solo ciò che manca
Achille Lauro – Penelope (Pour L’amour, 2018)
Oh, dire “sto bene” è la bugia che dico più spesso
Come “i soldi ci fanno felici”
O come “senza soldi si può essere ricchi”
Come ho detto prima “Pour L’Amour” cambierà le regole del gioco, sarà l’ultimo tassello di una storia passata e il primo passo di una storia che già conoscete, e che gli altri in redazione sapranno raccontarvi meglio di me. Quello che resta oggi di questo disco è quell’angelo bellissimo e splendente che, con gli occhi bordati di nero, piange: è la bellissima fragilità che scorre nella vita.
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