Ho letto a giro che Claver Gold ha droppato un album che lo fa sembrare una specie di Mannarino uscito male, che vuole utilizzare melodie pop-indie-cantautoriali, ma che in sostanza quel che fa, lo fa in maniera forzata perché non riesce più a dare qualcosa di nuovo come artista. Purtroppo le persone parlano quando non sanno che fare, invece di starsene zitte. Claver Gold è una delle penne di maggior prestigio della scena italiana, la sua carriera riluce dello smalto dell’autenticità, senza aver mai ceduto a dinamiche commerciali di alcun tipo, insomma tutto questo per dire che chi accusa Claver di voler catturare ascolti tramite una forma sempre più pop per le proprie canzoni, scambia il proprio pregiudizio per un commento valido su ciò che l’artista crea.
Errore da principianti, ma scusabile in quanto commesso dalla maggioranza degli ascoltatori di ogni genere musicale. L’album di Claver non è il tentativo maldestro di porsi nel mercato del pop mainstream, ma è il tentativo riuscito di alzare l’asticella del mainstream, così come dell’underground con la perfetta alchimia degli elementi. Ma fermiamoci un attimo, per chi non conoscesse Claver Gold e volesse veramente conoscerlo, le tappe più importanti della sua carriera (tralasciando i primi dischi) restano Tarassico*Piscialetto (2012) con Dj West, Mr.Nessuno 2013, Melograno (2015) con Kintsugi, Requiem (2017) ed Infernvm (2020) con Murubutu. “Questo non è un cane” è l’ultima fatica del Goldone assieme al produttore Gian Flores. Il titolo dell’album rimanda all’epico quadro di René Magritte dal titolo “Ceci n’est pas un pipe” cioè “Questa non è una pipa”.
Come la copertina dell’album è la rappresentazione di un cane, e l’album stesso ci dice che quello non è un cane, così il dipinto della pipa del pittore surrealista ci dice che quell’immagine non è una pipa, ed è il quadro stesso a comunicarcelo. Non dobbiamo sottovalutare questo riferimento, anzi dovete mettere in play l’album e ascoltare bene quel cazzo d’intro, perché sì, gli album non si ascoltano più dall’inizio alla fine, ma sì, sono fatti per essere ascoltati dall’inizio alla fine, non dico sempre, ma almeno per la volta in cui volete capire cosa l’artista in questione ha voluto dirvi. E Claver lo dice fin da subito, in un intreccio di riferimenti alle avanguardie storiche, sì, perché il titolo dell’album rimanda al Surrealismo di Magritte, ma nell’intro il mondo è tacciato di essere dadaista: “È un mondo dadaista, esteta, culturista, si gonfia e si sgonfia, a seconda dei punti di vista, sì, Il mio punto di vista, mi hanno detto che i cani sono meglio delle persone che questo non sono io, è solo un mio ritratto, E dunque non rappresenta un’opera, non ha nessun valore”.
L’MC vorrà soltanto evidenziare la sua cultura in storia dell’arte? Oppure è più di una scelta stilistica il rimando all’avanguardia? Se si ascolta bene è evidente, Claver sta trasformando l’immaginario e i concetti delle avanguardie, in elementi di un disco che si fa manifesto nazionalpopolare. Ascoltandolo ci rendiamo conto di come Claver, sia riuscito a rendere ascoltabile e fruibile un flow crudo e un immaginario impregnato del suo vissuto, da un potenziale pubblico di adulti, ragazzi e bambini, grazie alla perfetta armonia stilistica che dà forma al progetto, di cui il merito va riconosciuto al produttore Gian Flores, a cui è affidata la totalità delle produzioni. Solitamente si lega all’idea di avanguardia quello di un pubblico nicchia, cioè di un prodotto che può essere apprezzato soltanto da una ristretta cerchia di persone. L’esempio può essere qualsiasi opera d’arte contemporanea, di cui spesso il significato è talmente astruso e complesso che nella maggior parte dei casi una persona, che non bazzica gli ambiti delle gallerie d’arte, delle mostre, e dei musei potrà facilmente giudicare come una stranezza priva di senso.
Credo che sia l’obiettivo di ogni grande artista, quello che Claver riesce a raggiungere, cioè creare con coerenza granitica un prodotto di avanguardia, che di solito rimanda ad una nicchia, ad una ristretta cerchia di persone, con la potenzialità di essere ascoltato e apprezzato da chiunque. Claver è riuscito a costruire un album che è orecchiabile al grande pubblico mantenendo intatta la propria autenticità, mantenendo la fattura pregiata di ogni sua rima, come si ascolta in “Quelli come noi” che direi essere la versione più classica del Claver. La metrica patetica delle pance sazie non ha intaccato la sua scrittura, come dice Tormento, riferendosi al padrone di casa alla fine di “Sapori e Sostanza”: liricista numero uno. L’intro è il manifesto del disco, dove l’artista prende le parti contro un mondo dadaista, nel suo senso più negativo, cioè un mondo in cui si mette al bando ogni significato del passato, della tradizione per proclamare il dominio, a volte del non senso.
Il maestro di cerimonia invece riallaccia i fili con la nostra tradizione cantautoriale di un tempo, quella di Guccini, Claudio Lolli, Dalla e De Gregori, proprio perché quel che ascoltiamo è il passato di un mondo operaio italiano, come ascoltiamo in “Malastrada”: “Mio padre aveva almeno sette bocche da sfamare, Non ha tempo per amare, non ha mai voluto un cane ,Noi tornavamo quando il sole sorpassava i pini, Quando il profumo della cena usciva dal balcone, Raccontavamo dell’Italia del dopo Pertini, di Pasaedina, del Codino e l’ultimo rigore”. E ancora in “Sapori e Sostanza”: “Quando muore un partigiano, ancora noi piantiamo un fiore, fatti di psilocibina, digerendone le spore”. Da notare come le rime intessono la vita del rapper con la storia dell’Italia. Non si tratta soltanto di cantautorap. Claver fa emergere la presenza del mistero nella vita quotidiana nello Stivale, tramite la tragica melanconia del suo flow. Una tragicità che tinge di intima eternità ogni cazzo di barra. Di contro al dadaismo del mondo, l’mc di Tofare sostiene il realismo surrealista del suo punto di vista, quel verismo surreale del rap, che troppo spesso è stato appiattito all’idea di telegiornale di strada, cioè la denuncia sociale del tg del ghetto. Ma il rap è molto di più che descrizione e denuncia del reale, è anche creazione di mondi e immaginari. Il flow raschiante, scuro, e basso ma al contempo rassicurante di Goldone è l’architetto sonoro di questa realtà. Si può dire che l’intro, il titolo dell’opera e poi suggerirei Boloricordo, sono il libretto d’istruzioni perfetto per comprendere il mood del disco, ma non fraintendetemi, ogni pezzo del disco non è superfluo e non è lì come riempitivo.
Claver ci invita a riflettere su un mondo hip hop che non è semplice descrizione del reale, perché ciò che viene rappresentato, che sia usando le rime o che sia utilizzando un pennello, non è mai unicamente ciò che rappresenta, ma resta sempre la rappresentazione e la realtà. La domanda che fin dall’intro ci viene posta è perché se non è la realtà, ma una sua rappresentazione non dovrebbe avere valore lo stesso? Il principio hip hop del “Keep it real” è soltanto la ripetizione telegrafica della realtà quotidiana? Oppure come fa Gold-one, non si tratta solo di questo.
Di Simone Scoscini
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