Re Mida oltre ad essere il mitico re frigio che ottenne da Dioniso la facoltà di mutare in oro tutto ciò che tocca, è anche il titolo e il metro di paragone che adotta Lazza nel suo ultimo album uscito nel primo giorno di Marzo 2019.
Lazza, piuttosto che scomodare una divinità del pantheon greco, chiede a Low Kidd e a DJ Slait di convertire in oro tutto ciò che entra in contatto con il suo flow, i componenti della 333Mob lo accontentano subito. L’autotune si fonde con la voce dell’artista per tutto il disco, come a farlo sembrare un gigante di metallo prezioso che narra le sue gesta. Il software per manipolare il canto in alcuni casi esalta la sua “r grattata” ma in altri la annulla, tuttavia la modulazione vocale, che Lazza ben conosce visti i precedenti al conservatorio, riporta spesso l’equilibrio.
I tappeti musicali, finemente cuciti usufruiscono di fiati, pianoforti, chitarre e strumenti tropicali e riescono così a trovare la giusta alchimia con i suoni elettronici che riportano alla mente dell’ascoltatore il tintinnio dei gioielli e delle collane.
Non appena Lazza si adagia sul beat, la sua t-shirt si trasforma in una camicia Burberry, i suoi pantaloni di tuta divengono Amiri all’ultimo grido, la giacca di pelle che aveva in dosso si tramuta in un bomber costosissimo che rifrange la luce dei proiettori che gli viene sparata addosso e la panchina su cui era seduto ora è un trono presidenziale con foglie d’oro riccamente decorate.
Il suo status sociale è cambiato, il suo conto in banca è cresciuto, ma Lazza rimane sempre Jacopo Lazzarini.
Il rapper ci tiene a farlo presente nella traccia iniziale del suo disco (Per Sempre), che, oltre a glorificare la sua storia chiedendo di suonare Chopin al suo funerale (richiamo alla base di “Overture”, la traccia iniziale dell’album Zzala e al suo passato in conservatorio), zittisce chi blatera sul suo conto, acquieta i fan che chiedevano insistentemente il disco e spiega che i soldi se ben usati non logorano l’esistenza. Re Mida di Lazza è sfacciato, insolente ed irriguardoso. Ne sono un esempio le critiche fatte all’hype esagerato e ormai troppo preponderante (Box Logo), le grandi pretese fatte dalle ragazze che ha avuto senza che loro dessero tanto in cambio (Superman). Nonostante ciò non si vergogna di mostrare la melanconia che affiora sistematicamente (a tratti in Re Mida, preponderante in Catrame), figlia della frustrazione data dal successo che identifica con gli smartphone nel brano 2 Cellulari, in cui dimostra come oggi siano i mezzi principali tramite i quali gestiamo le nostre personalità.
Ho due cellulari
In uno lavoro, gli amici, la donna ed i miei genitori
Nell’altro c’è il pusher ed un paio di troie di cui non so i nomi
– Lazza, 2 cellulari
Una parte consistente di malinconia è contenuta anche dalla hit mietitrice di streaming, “Porto Cervo”, dove racconta la sua prima estate da musicista professionista in cui ha visto gli effetti del successo, come se ora fossero solamente ricordi ovattati e sfumati dal momento che, in una realtà così veloce, si è già abituato alle reazioni sbalordite del pubblico. I pezzi particolarmente autocelebrativi (“Cazal”, “24h”, “Povero Te”, “Gucci Ski Mask”), oltre a mettere in evidenza la vena spocchiosa di Lazza che pulsa forte per tutto il disco, esibiscono, grazie a rime ragionate e sofisticate, grandi citazioni alla moda street e alla cultura filmica in omaggio a grandi attori e registi, sfoggio della cultura velata da un sostrato di cafonaggine degna del tamarro da piazza che è fiero di essere. Il “riocontra” (ndr. slang tipicamente milanese delle parole al “contrario”), oltre ad essere un grande tag di appartenenza milanese, si presta ad essere anche un ottimo serbatoio di rime nuove da cui Lazza attinge continuamente in tutto il progetto.
Ogni featuring, come pietre preziose incastonate che esornano un fine lavoro di gioielleria, aggiunge un peso maggiore: Fabri Fibra porta il suo cinismo, Izi la sua grinta, Tedua il suo romanticismo, Luchè la sua credibilità, Gué Pequeno un surplus di cafonaggine e Giaime (in una delle due bonus track) una signorile diplomazia.
Il disco risulta essere piuttosto lungo per un ascoltatore del 2019, contiene qualche strofa riempitiva, intro tutte troppo uguali e flow che spesso si ripresentano, ma nonostante ciò il rapper dà prova di una maggiore maturità artistica e disvela celatamente che il successo è sì bello e gratificante, ma nasconde anche pieghe ed ombre che flagellano l’anima e che non calmano la fame, bensì crea un maggior livore che l’artista tenterà forse di smorzare in secondo tempo. “Re Mida” è un album che è capace di immettere grinta e adrenalina nelle orecchie di chi lo ascolta per merito delle acrobazie metriche e ritmiche eseguite da Lazza; infatti è un disco che si può ascoltare in auto, durante un viaggio, o addirittura durante una sessione di allenamento, potendo cogliere, in mezzo a tanta sfrontatezza, le varie massime rilasciate dal rapper milanese.
E’ difficile immaginare che Lazza rinunci al suo tocco aureo come fece re Mida, anzi, probabilmente manterrà il suo modo barocco di rappare, ma è giusto che l’artista tenga bene a mente che in un ipotetico disco futuro potrà non essere del tutto sufficiente avere rime sofisticate accompagnate da contenuti disseminati qua e là.
Zzala ha saputo reggere bene la sfida del secondo album (definito da molti artisti il progetto più difficile da partorire),ma per innalzarsi dallo stadio di “buon rapper” e trasformarsi in un “un gran rapper” fonte d’ispirazione per le nuove generazioni, dovrà superare sé stesso dando al pubblico qualcosa di così tanto nuovo e complesso da diventare paradigmatico.
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