Recensione di Solo Tutto
Cosa significa raggiungere il successo prematuramente e inaspettatamente è un concetto che a molti sfugge e che pochi possono raccontare, Massimo Pericolo è uno di questi.
Se volessimo ricorrere a populiste e spicciole considerazioni, potremmo dire che la sua è stata una fortuna e che ci sono persone che hanno avuto sicuramente disgrazie peggiori, ma non è questa la visione che serve abbracciare per analizzare questa peculiare situazione. La stragrande maggioranza degli individui immersa nelle comunità tende a ricercare, creare, una zona di comfort, a progettare sul medio-lungo termine l’ipotetica scalata da fare per raggiungere un proprio successo personale, ma quanti, dopo la gioia momentanea, prenderebbero bene un fortunoso jackpot colossale capace di ridefinire di soppiatto tutte le geometrie vitali?
“Solo Tutto”, il primo album ufficiale di Massimo Pericolo, è una metabolizzazione di questo e una ri-predisposizione dei piani che il dolce destino ha garbatamente scombussolato.
Perché sarebbe più corretto definirlo primo album ufficiale? Perché “Scialla Semper” è un prodotto che nasce come EP ma che assume le fattezze e la carica di un album solo con le aggiunte delle tracce presenti nella “Emodrill Repack”. Il progetto “Scialla Semper”, trainato prima da “7 Miliardi” poi da “Polo Nord” nella versione deluxe, viene alla luce più come una raccolta di brani, un comodo riferimento su Spotify per i suoi fan, ma la volontà e lo scheletro di un vero e proprio album erano totalmente assenti. In maniera in parte involontaria, Massimo Pericolo aveva generato un teatro di realtà percepito come suo: la vita di strada, di provincia, del carcere, erano scenari che aveva vissuto, raccontato, i contenuti nell’album rappresentavano la fascia giovanile della popolazione che vive il disagio dei contesti dimenticati. Il boom dei suoi singoli, la prematura investitura di tutti i grandi della scena rap, le prime collaborazioni importanti arrivate in tempo zero hanno fatto sì che il successo, più che a poco a poco, arrivasse addosso a Massimo Pericolo come una violenta doccia di champagne. Da rappresentante del ceto basso ad un rapper arricchito che invece di salire per step si è ritrovato ad essere fiondato con una piacevolissima violenza, in un battito di ciglia, in cima, per quanto dietro in realtà ci sia stata un’incredibile gavetta fatta nel sottosuolo della scena.
“Solo Tutto” è il nuovo inizio che dà la possibilità all’autore di raccontare il suo vissuto da una nuova prospettiva, al riparo dalle intemperie sociali, con una postura differente e uno sguardo sul mondo cambiato radicalmente. Un’autopsia, traccia per traccia, di un disco che racconta e riporta un simulacro di un segmento di vita dell’uomo in quanto tale sarebbe una vera e propria violenza poiché si andrebbe presuntuosamente a oggettivizzare, a immobilizzare, una materia dinamica che può comprendere a pieno solo l’individuo che la racconta e chi l’ha vissuta da spettatore, si andrà invece a tratteggiare, con tratti vaghi e non troppo marcati, tutti gli elementi che a mano a mano affiorano negli ascolti.
Massimo Pericolo, già dal primo brano, rompe la parete che lo separa dall’ascoltatore e sedendosi vicino a questo confida la difficoltà professionale di scrivere un secondo disco dopo il boom iniziale. Il tono che proviene dall’uomo Massimo questa volta emana un’aura di consapevolezza dei propri mezzi (“Sono il meglio del momento ha detto Marra/Ma è facile in questo momento esserlo in Italia” – “Casa Nuova”) che fanno capire i processi di interiorizzazione portati a compimento e (“E ora pure in casa sono di strada/Perché per sempre in strada sarò di casa”) la coscienza di tenere bene a mente la situazione che imperversa fuori dalle sue nuova mura (“Son diventato grande anche senza sapere come/Qui i bambini fanno la guerra prima dell’amore” – Debiti). Il peso di avere sulle spalle una voce di una fazione quasi nazionale grava come un macigno, il rimpianto di una maggiore spensieratezza espressiva trovano il superamento nella rottura del blocco dello scrittore: la volontà di trasformare ogni sensazione in parole fono-fissate permette all’autore di sviluppare una muscolatura narrativa che trova la sua crescita solo nel momento esatto della pubblicazione e della fruizione del pubblico.
Le esperienze di vita passata, o di una vita che potrebbe essere, vengono riportate in prima persona (“Sai Solo Scopare”, “Bugie”, “Troia”, “Solo Sex”, “Stupido”, per citarne alcune), soprattutto gli spaccati di vissuto sentimentali relativi ai rapporti con eventuali partner: il lessico per descrivere la donna, o le donne del testo, viene spesso usato in tono misogino e dispregiativo. Per ritrarre i momenti intimi d’amore viene utilizzato quasi esclusivamente il verbo “scopare”, a delineare quanto in realtà, oltre al consumo stesso dell’istinto di riproduzione e al soddisfacimento di questo ci sia ben poco. Le difficoltà relazionali con l’altro sesso palesate, la mancanza di modello affettivo, un culto atavico, devozionale, della madre e il ritratto di un padre fuori ruolo hanno contribuito a creare nell’immaginario dell’artista una visione tetra e pessimista dell’avvenire che lo scoraggiano fortemente nel credere ad una realtà intatta e ad un equilibrio portatore di stabilità nonostante la sua condizione economica. La mancanza di recezione del reale bisogno dell’interdipendenza tra persone crea in lui uno sconforto tale (A che serve l’amore senza una donna?/A che serve la droga la prima volta?/A che serve la fama senza rispetto?/Un bandito, ma senza ferro, la strada senza una svolta /A che serve una villa senza famiglia?/Un uomo furbo senza uno pirla? […] A che serve Dio senza la sofferеnza? /Sbirro, che facevi senza la mia dеlinquenza? – Debiti) da evocare immagini di zone di periferia che, oltre a diventare i teatri delle storie raccontate ben caratterizzati dalle sonorità cupe di Croockers, assumono le fattezze di castelli anarchici in cui si svolge una vita a parte (“G”, “BangBang”, “Brebbia 2012”). La postura del rapper cambia quando la narrazione avviene in terza persona (“Airforce” e “Fumo” in particolare): quando il punto di vista è più distaccato le forze centrifughe che governano il mondo appaiono più addomesticabili, gli amori, per quanto situati negli ambienti dissestati, appaiono più docili, le storie, anche quelle più crude, assumono tratti più marcati, decisi, segno di un chiaro e netto distacco dallo stile di vita che prima conduceva. Non mancano, nella stessa traccia, casi di intersecazione e scambio delle voci narranti di prima e terza persona selezionate in base alla circostanza che l’artista vuole raccontare.
I featuring vengono chiamati in causa per dare quel qualcosa in più che l’artista non poteva dare: Venerus, Madame portano la delicatezza e la profondità di una voce capace di toccare i nervi meno scoperti, Salmo apporta la sua corrosività e la caustica ironia nell’apparente traccia-meme “Cazzo Culo”, J Lord offre un doppio di Massimo Pericolo in versione campana, più giovane e ancora arrabbiato.
Le rime interne, una gestione differente del respiro nel pronunciare i versi in alcuni casi, i giochi stilistici all’interno dei testi compensano le semplici e circoscritte scelte lessicali che rendono inequivocabile il senso di ogni barra, accessibile a qualsiasi tipo di ascoltatore senza applicare a queste nessuna difficile interpretazione. Lo stile di scrittura, ancora un po’ acerbo ma trasparente e riconoscibile permette a Massimo di far germinare al meglio tutti gli argomenti abbozzati in “Scialla Semper”: in “Solo Tutto”, i ricordi e le avventure di strada hanno la possibilità di maturare e di diventare dei veri e propri stralci di vissuto che portano con sé insegnamenti e valori intenti a premiare l’esercizio della buona scelta davanti alle difficoltà e il culto del duro lavoro.
Massimo Pericolo, con “Solo Tutto”, esegue fin dall’inizio del disco una vera e propria terapia d’urto con l’ascoltatore a partire dalla presentazione della tracklist (la scelta di titoli molto discutibili va a premiare chi non si ferma alle apparenze) e offre a questo, come ricompensa, l’effige di Alessandro Vanetti consegnata al pubblico come un’offerta sacrificale predisposta a epurare tutte le parti negative del successo.
Grazie al nuovo album possiamo constatare di trovarci davanti ad un artista che usa il rap per raccontare, per raccontarsi, per auto-psicanalizzarsi e dimostrare la grande umanità che accomuna tutti gli artisti che decidono di ergersi a martiri intenti a sacrificare la propria vita privata per lasciare al pubblico un tramite che permetta una connessione emotiva comune.
Non tutti in un periodo come questo possono permettersi di pubblicare un disco, anche per un discorso di economia e architettura delle prossime future date live, ma Massimo Pericolo, oltre ad ampliare una scaletta che poteva risultare esigua, scavalca tutte le vicissitudini del caso, del guadagno e condivide un prodotto che nel periodo paralizzato dalla pandemia dà una forte scossa emotiva, nella speranza che questo si sedimenti nell’ascoltatore fino a farlo diventare una parte di sé da interiorizzare e da far esplodere quando ritorneranno i concerti dal vivo.
Di Riccardo Bellabarba
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