In Trainspotting, il classico del 1996 di Danny Boyle, Mark Rent (il protagonista) in totale crisi d’astinenza si ritrova a dare finalmente sfogo ad una costipazione durata troppo per qualsiasi essere umano. A quel punto, giunto nella “worst toilet in Scotland”, e dopo aver perso una dose in una tavoletta strabordante, decide di tuffarcisi dentro.
Il putridume che quella scena ha lasciato stampato nella memoria di un’intera generazione, però, è diventato qualcosa a cui Rome Streetz si è ispirato con l’omonimo progetto appena pubblicato. Aldilà dell’aria grottesca della scena, a colpire il rapper è stata proprio la fotografia, l’atmosfera disperata ma iconica che il film è riuscito ad imprimere a quel momento.
L’obiettivo era proprio questo: marchiare perennemente la memoria di chi cliccherà play trovandosi poi a parlarne a decenni di distanza.
Il titolo del disco oltre che ad omaggiare, con una metafora, il collaboratore ed amico Conductor Williams, ha voluto richiamare direttamente il cult di Boyle mutuandone l’energia cupa e drammatica ma allo stesso tempo frenetica.

I tempi della gavetta sono ormai alle spalle così come le notti in custodia cautelare e la galera, ricordi tormentati di un passato criminale.
Il nuovo joint-album del duo che già nel 2022 aveva benedetto la fan-base di Griselda e tanti altri novizi con Kiss The Ring, assomiglia ad un coming of age. Rome è ormai all’apice della sua carriera, le cicatrici che la vita di strada gli ha lasciato addosso non scompariranno, ma come ha dichiarato in un’intervista a Rolling Stones: “Personally for me, this is just the next level. I’ve experienced a lot of things in the music industry so this is just a new take on my experiences.”.
Non è un caso che la scelta di promuovere l’album sia ricaduta su “Rule 4080”, uno pseudo-dissing diretto all’industria musicale e ai suoi A&Rs, avidi di streams e nemesi degli artisti.
Una traccia che pur adottando uno stampo di denuncia sociale e culturale, mantiene l’anima delinquenziale di cui la discografia di Rome trasuda. Nel video si vedono un gruppo di schiavisti bianchi aggrediti dalla loro servitù stufa dei soprusi e pronta, nella più classica delle trame, a prendersi ciò che gli spetta a tutti i costi: la libertà. Tutto questo mentre, oggi, un’ormai indipendente Rome cerca di “rompere le catene” a cui le case discografiche hanno legato gli artisti di oggi, compromettendone libertà artistica ed economica.
“It’s the game, these niggas’ll finesse you if you let ’em
You a corporation, when you locked they spell your name in big letters (Dead ass)
Wonder why I do your research
It’s all about self-preservation, fuck you, I feed me first (Fuck you)
Back in the days, I’d be a runaway slave
Fuck workin’ for free, my destiny’s to be paid
I would hide in the field and stab master in the face
Go kidnap his wife and drown that bitch in the lake (Bitch!)”
Sebbene siano stati scritti in rapida successione, “Kiss the Ring” e “Trainspotting” non sono legati direttamente dallo stesso filo rosso, tanto che i due escludono l’uscita di un s
econdo capitolo del disco pubblicato nel ‘22. Di certo, i punti di contatto non mancano. Basti pensare a tracce come “Blood in Boogers” e “Connie’s Revenge” per ritrovarsi all’istante in quell’incubo tossico in cui “Heart on Froze” e “Reversible” ti fanno precipitare.

Come dicevo, entrambi sono al punto più alto della loro carriera, testimone il co-sign di diversi pesi massimi della scena.
Uno tra tutti, e sopra tutti, Method Man. Johnny Blaze (uno dei tanti pseudonimi) salta su “Ricky Bobby” come un leone su una preda ormai paralizzata. Su una strumentale in pieno stile Wu-Tang Clan, a metà tra classici come “Tearz” e “Listen”, le rime della leggenda di Staten Island, New York suonano fresche come se il tempo non fosse mai passato.
“They hearin’ footsteps in the dark like the Isleys
If you was me and I was you, I wouldn’t try me
It’s a art to foldin’ paper, origami
Not a paper chaser, spendin’ paper made off a Ponzi
I got time today, might write a rhyme today
The way I rhyme, perfect time to make a rapper rhymin’
Throw his rhymes away”
Per il resto dell’album Rome offre la solita graffiante performance. Le rime sono sempre affilatissime e le punchline rimbombano come cartellate. Tuttavia, mantenere sù l’asticella dopo un lavoro come “Kiss The Ring” è complicato, il livello di liricismo è pur sempre alto ma alle volte sembra mancare qualcosa. Fortunatamente ci sono grandissimi highlights qua e là, e tutto è condito da strumentali semplici ma allo stesso tempo stratificate.
Il Roland 303 e il Roland 606 usati da Conductor rendono i tagli inferti da Rome ancora più profondi. I grooves sono sono sempre imprevedibili, nonostante le batterie del “maestro” creino dei loop ipnotizzanti che potrebbero andare avanti in eterno senza mai stufare.

Pochi altri sono i duo rapper/producer che funzionano così bene, per citarne alcuni: Freddie Gibbs/Madlib, Snoop Dogg/Dr.Dre, 21 Savage/Metro Boomin’. Creare una sinergia così naturale, al punto da rendere difficile immaginare “quelle barre” su altre strumentali non è solo il frutto dell’incontro di due talenti.
E’ un gioco di tributi, immedesimazione ed immaginazione. Come accade per i ghostwriters, penso a “The Watcher”, bomba atomica scritta da Eminem per Dr.Dre in “2001”, l’obiettivo è dare voce agli arrangiamenti e allo stesso tempo profondità e credibilità alle barre. Così, tutto si trasforma in un immersivo piano sequenza che si srotola come un papiro davanti agli occhi di chi ascolta, per poi richiudersi al cadere dell’ultima parola o batteria. Ecco, quando questi due connettono, c’è solo da sedersi e prendersi un momento, popcorn o no sta a voi.
In questa forma Conductor è capace di dilatare il tempo facendo calare il buio da un momento all’altro, mentre l’MC del Queens, New York ci naviga ad occhi chiusi.
In “M*A*S*H”, ad esempio, il maestro manipola la realtà come Dr.Strange, la strumentale farebbe venire la pelle d’oca al peggiore dei killer ma Rome a confronto sembra appena tornato dagli inferi, pronto per fondere i diamanti della sua collana.
“Died 1000 times” è un inception. L’ho ascoltata per la prima volta in cuffie, e alla scoppio della batteria il cuore mi è caduto nei calzini, facendomi sentire come Lil Wayne nel video di “6 Foot 7 Foot”. Al posto dell’acqua gelida di una vasca però, si viene inglobati e risucchiati da un buco nero. Roba da spaghettificazione.
Quella dell’MC di New York e del ragazzo di Edimburgo sono storie che non nascondono nulla. Nel rap, la credibilità, è una delle caratteristiche necessarie per poter emergere tra la miriade di storie, reali o non, che vengono raccontate. In questo caso, Rome è un paroliere di strada indiscusso. Le sue storie sono sempre vivide, quasi puoi sentire il battito accelerato prima della scarica di proiettili o il fumo della metanfetamina che salendo dalla pentola ti invade la faccia.
Conductor Williams da parte sua sfoggia un’altra performance eccezionale, in un 2025 che fino ad ora porta il suo nome. La sua personalità, di cui i beats straripano, gli permette di dirigere alla perfezione le rime intricate e pungenti di qualsiasi rapper, diventando così il regista preferito dalla scena.
“Trainspotting” è crudo, vero, non perfetto ma che tu lo voglia o no è pronto ad arrivarti dritto in faccia quando meno te lo aspetti, lasciandoti sul corpo segni di cui difficilmente potrai dimenticarti.
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