Credere che con questo disco Loyle Carner abbia toccato la parte più intima di lui sarebbe un torto, non solo alla sua discografia, ma principalmente alla sua storia. Questo perché la crescita di “Ben”, sia personale che artistica, è sempre stata davanti agli occhi di tutti.
“hopefully!” è l’ultimo atto di una vita raccontata ed affrontata attraverso la musica, senza mezzi termini o strati di veli scuri. Incontri, traumi, fasi che hanno costantemente ispirato le rime di uno dei rapper e poeti inglesi più delicati e talentuosi degli ultimi decenni.

L’infanzia segnata dall’assenza del padre biologico ma riempita, non senza dolore, dall’amore incondizionato di quello putativo, morto nel 2014. Gli anni dell’adolescenza tra amore, dipendenze, la ricerca di un’identità e la rabbia verso un passato che lo aveva privato di una serenità strappatagli via. Poi l’età adulta, tra raggiunte consapevolezze e i tentativi di curare le ferite del proprio “inner child”.
“My heart heaving, panic, but I couldn’t find the meaning
Loyle Carner – purpose (hopefully!, 2025)
I wonder if it’s just my childhood I’m grieving
Laying on that cold floor, staring at the ceiling
I watch as the fan spins
And as I lose, another man wins”

Tra i molti, il tema della paternità torna spessissimo nella sua musica. Il suo rapporto con la mancanza di una figura paterna e con sé stesso, in quanto padre ma prima di tutto figlio, è sparso in tutto il suo catalogo come molliche di pane che guidano verso casa.
“BFG” e “A Lasting Place” ad esempio sono soltanto alcune delle tracce con cui Ben ha tentato di dare un significato a quell’assenza. Tentativi di guarire da un vuoto esistenziale da poter occupare solo con se stessi.
Per quanto doloroso, in questo costante ciclo di immedesimazione LC sembra però trovare finalmente la sua pace, come se non ci fosse altro modo per venirne a capo.
“hopefully!” suona come una cassetta registrata, di quelle che lasci nelle scatole dei ricordi che potrai aprire soltanto al momento giusto. Un testamento d’amore ai suoi figli che senza aver speso nessuna parola gli concedono un silenzio che guarisce, permettendogli così, di fermarsi ed accorgersene.

Spesso mi sorprendo di quanto si parli poco della sua musica. Carner non è il solito rapper. I suoi raps non raccontano di sensazionali storie criminali, alimentando in chi ascolta una perversa fascinazione o curiosità verso un mondo così oscuro. Allo stesso tempo: dolore e abbandono sono sempre lì; è la lente attraverso la quale si guarda a queste emozioni che cambia.
Mentre ascoltavo l’album, in diverse occasioni ho avvertito la stessa quiete che tracce come “Circles” di Mac Miller o “Place to Be” di Nick Drake mi hanno impresso a vita sulla pelle. Le parole di LC sono le parole di un virtuoso, di chi dovrebbe essere letto senza sottofondo. Consiglio di prendersi qualche minuto per leggere il testo di brani come “time to go” o “purpose”.
La sua è una voce sincera, di quelle che riscaldano e cullano. Eppure, nelle sue parole non c’è mai la soluzione. “Ben” non illumina, ma riesce ad allargare lo spettro rallentando un tempo che appare a tutti, anche a lui, cinico e spietato.
“You didn’t know you’re fakin’
Loyle Carner – time to go(hopefully!, 2025)
I see it on your face
Now that I’m wide awakened
There’s nothing I can say
To keep the sun from bathin’
Up in a hundred rays
Making your own mistakes is
Really the only way to know”
La palette musicale del disco non si allontana di molto da quella delle precedenti uscite. Chitarra, batterie e pianoforte si intrecciano perfettamente con le basse frequenze che Carner mantiene per tutto l’album, non suonando mai noiose, specialmente quando le percussioni scandiscono ritmi jungle come in “feel at home”.
A conferma dell’enorme carico emotivo che permea il disco, e a differenza delle precedenti uscite, in “hopefully!” LC lascia moltissimo spazio al canto. Non si tratta di saper “cantare bene”, ma di una scelta necessaria: “the main reason I was singing, is because a lot of my music is maybe, like, about my kids, and I don’t have the words to express how I feel about them. So the only thing that can come across is, like, singing.”
Scelta inusuale per lui (quasi per tutti a dire il vero), sicuramente coraggiosa ma molto pericolosa. Rappare e cantare non è da tutti, anzi spesso questa combinazione è invisa ai più. Lo stesso rapper di South London ha rivelato di essere stato estremamente nervoso durante le registrazioni:
“Singing is fucking scary, if I’m honest. I didn’t think it through until it was too late. Obviously, it’s easy in front of no one. Then, the more people who started to come into touch with it and start to listen to it, it’s been a bit more scary. I’m trying to roll with it, trying to brave it.”
A spingerlo fin qui, le influenze di artisti come Elliott Smith, Bob Dylan e l’ultimo album dei Fontaines D.C. In un’intervista con Amelia Dimoldenberg, racconta di aver tentato di convincere Grian (la voce principale del gruppo irlandese) a cantare alcuni ritornelli per l’album, e che questo avrebbe smesso di rispondergli non appena proposto. Dopotutto non è stato un male, la voce di Ben assomiglia ad una linea telefonica di emergenza.
Certo, il timore di non essere all’altezza del suo ruolo si riflette perfettamente nella timidezza avvertita nelle parti cantate, molto meno “espressive” di quelle rappate. Tuttavia, il tono calmo, quasi sopito che scolpisce le sue storie rallenta i battiti e i ritornelli si trasformano in rassicuranti ninne nanne. Più che conscious-rap, LC sembrerebbe aver creato un vero e proprio filone, una sorte di dad-rap.
Ad oggi, “hopefully!” è forse il progetto più organico e “sentito” del rapper londinese. Un’artista che ha fatto della sua vulnerabilità ed introspezione le proprie cifre identitarie. Caratteri che spesso lo hanno sottoposto a perfidi auto-scrutini, eppure, senza i quali, una tale umanità non avrebbe avuto spazio e modo di fiorire.
“Funny how the past can judge … still
Loyle Carner – time to go(hopefully!, 2025)
But the only thing that’s real
Really is that pressure that you feel
A man trained to
Yeah
I’m just a man trained to kill
To love yo I never had the skill”
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