Abbiamo fatto due chiacchere con Armani Doc in occasione dell’uscita del suo ultimo progetto “Iddu”, un concept album dal sapore estivo e siciliano.
Ho avuto la fortuita coincidenza di intervistare Armani Doc mentre facevo un piccolo giro della Sicilia. Il caso ha voluto che, ignaro del riferimento al vulcano di Stromboli (che potete osservare sulla cover del disco), mi sia reso conto che il concept dell’album – che ha costituito la colonna sonora dalla mia piccola vacanza – fosse proprio a tema “estate in Sicilia”, mentre si svolgeva l’intervista stessa.
Le coincidenze non finiscono qui, anzi, sembra che queste abbiano tracciato un rotta sotterranea in tutta la carriera della giovane promessa milanese, ma lascio a voi il piacere di trovarle.
Come ci si sente ad essere uno dei nuovi rapper più in forma della scena?
Armani Doc : ma non lo so, mi sento come ieri.
Da dove nasce il nome Armani Doc?
AD: Doc è il nome con cui mi chiamano tutti in zona, ed è anche il nome con cui ho iniziato perché le prime cose sono uscite così. Poi è successo che ho fatto un pezzo per Gioielli, il pezzo che si chiama “Giorgio Armani” che è in “Young Bettino”. Gli remixai il pezzo e gli mandai la mia strofa, ma andavo di fretta e glielo dovevo mandare via mail, a quel punto gli scrissi come oggetto della mail Armani Milano perché non sapevo come chiamarlo, e Armani Milano doveva essere il titolo del pezzo. Lui pensò che fosse il mio nome e gli piacque fin troppo, tanto che voleva chiamarmi Armani Milano, ma a me non piaceva perché era il nome di una città più il nome di una marca e non aveva senso. Dopo un po’ di discorsi abbiamo stabilito che avrei tenuto il Doc assieme ad Armani e da lì è nato.
Ti andrebbe di raccontare come hai conosciuto Gionni Gioelli e poi com’è nata la collaborazione?
AD: Proprio in seguito a questa cosa. Il remix di “Giorgio Armani” l’ho fatto perché lui aveva fatto una sorta di contest, Gioielli aveva dato le sue strumentali ad un sito e chi voleva poteva partecipare registrandoci sopra. A quel punto gli mandai la mia strofa che era figa, che poi è diventato “Montecarlo”, che Gioielli ha remixato ed è uscito poi in “Michele Alboreto”. Il giorno dopo lui mi fa: “che cazzo fai? sei a Milano?” E così mi ha chiamato per andare in studio in Corvetto, e la stessa sera ho conosciuto sia lui, che Blo B, Ensi, Garelli.
Erano in studio a fare le loro robe e io sono finito lì per caso. Alla fine, quella sera abbiamo fatto un altro pezzo di “Alboreto”, ho fatto due chiacchere con Ensi, con Blo, e da lì ci siamo conosciuti, ormai sono 4-5 anni che ci conosciamo.
Cosa ha rappresentato e rappresenta per te MxRxGxA?
AD: Per me è arrivato in un momento in cui io facevo le cose da solo. In quegli anni lì ero partito da zero verso i 17 e non venivo dalle battle di freestyle, i contest ecc… quindi, ero nella mia bolla che facevo le mie cose con qualche amico, ma ero molto “make it yourself“.
Nel momento in cui ho conosciuto la MxRxGxA ho avuto il primo vero contatto diretto con una scena di persone; anche solo conoscere Ensi, Blo B randoom in studio e gli altri mi ha permesso di approcciarmi subito ad un livello superiore ed esserne riconosciuto. Questo cosa mi ha fatto saltare tutto uno step di… chiamiamola “gavetta”, ma in realtà si tratta di uno step di qualità nel sottobosco della scena che mi ha permesso di elevare la mia roba perché, quando ti confronti con roba più figa riesci a farla più figa anche te.
Io non sono più dentro MxRxGxA, o meglio, il capo regia è unicamente Gionni Gioielli. Negli ultimi due anni, secondo me, eravamo diventati un gruppo, o comunque la percezione era quella lì anche per il pubblico, e siamo arrivati ad un punto in cui o si andava avanti e diventavamo un gruppo fisso, quindi con i membri vecchi, oppure si tornava all’origine, cioè che MxRxGxA è ciò che fa Gioielli e, tecnicamente, adesso siamo tornati a quel punto lì.
Io adesso ho “ThinkFast“, Rolls, Santa Sede ecc, e anche l’ultimo disco se guardi (“Be Great F.C.“), a parte ragazzi più emergenti ecc del gruppo solito c’è Gioielli, Grano, Lil Pin, Blo, ma il concetto è che Gioielli è il proprietario, è lui che fa le cose, decide, vende i vinili.
Mentre raccontaci un po’ di ThinkFast?
AD: ThinkFast l’ho proprio creata io. Siamo partiti io e un paio di miei amici ai tempi. Un ragazzo che mi curava le grafiche, uno che mi dava una mano dal punto di vista delle scartoffie, cioè ufficio stampa, e io che mi occupavo del lato più musicale. Poi questi miei amici col tempo si sono messi a fare altro, e io nel periodo 2020-2023 non è che ci ho badato tanto. Ho avuto altre esperienze, appunto con MxRxGxA, e quindi l’ho lasciata un po’ lì.
Quando l’ho ripresa in mano, avevo Blo che, adesso, cura tutte le grafiche, Garelli che mi pensa al lato musicale ed ha sposato la causa; quindi, dal 2023 siamo ripartiti con questo nuovo approccio. Garelli e Tosses dal lato musicale, Blo B che ovviamente può fare quello che vuole: rappa, disegna, tutto il lato grafico lo cura lui.
Tosses, oltre al lato producer, si occupa di master a livello di vinile, i contatti per la produzione, per dire, la distribuzione dei dischi in vinile ce l’ha tutta lui, quindi diciamo che abbiamo ristrutturato il gruppo. Ci sono anche un paio di ragazzi come Toni Zeno che stiamo mettendo in ogni disco, ma il problema è che lui sta giù a Messina.
Diciamo che “ThinkFast” è una nuova identità: abbiamo ripreso tutti quelli che volevano fare cose vicino a noi e abbiamo creato una sorta di vera e propria etichetta. Poi ovviamente è un’etichetta che si basa sul principio del trovarsi e sentirsi bene tra di noi. Ho un paio di idee per il futuro con degli amici un po’ fuori dal gruppo con cui mi piacerebbe fare qualcosa, la stessa Lenor che è nel disco mi piacerebbe farle fare un EP, o qualcosa, però come per ogni cosa siamo partiti dal piccolo, da quello che era sicuro. Quindi abbiamo fatto il disco di Blo, quello di Garelli, il disco mio e poi altre robe che usciranno in futuro. Diciamo che è tutto fluido, è un’etichetta in cui siamo tutti così legati che alla fine sembra un collettivo no?
Che poi non è altro che il trucco MxRxGxA, cioè quello che ha funzionato con loro, ma che poi secondo Gionni non andava più bene. Secondo me andava benissimo e quindi ho deciso di approcciarla alla ThinkFast, mettiamola così.
Noi eravamo arrivati ad un punto con “MxRxGxA” che era: o andiamo verso l’emersione di un polo di artisti, in cui si ha una forma fluida tra etichetta, una crew, un gruppo, che un po’ si capisce un po’ non si capisce. Oppure si andava su un’altra linea che era quella dei primi tempi, in cui semplicemente “MxRxGxA” o anche “ThinkFast”: c’è una figura che decide cosa si fa, dà i beats, vende qualche cd e si vede come va.
Diciamo quindi che Gionni è voluto tornare alle origini, mentre io ho pensato che questa formula funzionasse e mi son fatto la mia roba, che già ce l’avevo e ognuno ha scelto la sua strada. Mi piace ad esempio che esce il disco di Garelli, in cui non è che ho dato una mano per le scelte musicale, ma magari ho collaborato per il concept, per pensare a come spingerlo, perché come voi con la vostra pagina web, basta un gruppo WhatsApp, fare due chiamate ogni tanto e ci si sente, si parla, ci si tiene in contatto.
Di base il gruppo l’ho voluto creare partendo da un nucleo di gente con cui di base vado d’accordo a parlare di questa cosa, Garelli, Blo B, Tosses, Zeno è tutta gente mega presa bene con questo progetto, mega propositiva, tant’è che siam già a 3 dischi in un anno.
Cosa significa “Iddu” e com’è nato il concept del tuo nuovo EP?
AD: “Iddu” tecnicamente vuol dire “lui”, in siciliano base. Io sono di Milano e non ho parenti siciliani, però la mia ragazza va da sempre a Stromboli in vacanza. Lei ha proprio casa lì quindi negli ultimi due, tre anni che stiamo assieme sono sceso spesso con lei e il posto giù è veramente incredibile. L’isola con il vulcano, per arrivarci, ci metti 10-12 ore in barca, quindi è veramente un paradiso e mi ha ispirato a scrivere un disco che in realtà io volevo già fare, cioè un disco estivo.
Sono circa un paio d’anni che volevo fare un disco estivo, cioè fin da “Alta Moda”, solo che poi un anno abbiamo fatto “FestivalBars“, un anno Gioielli ha fatto “5 Bambole”, l’anno dopo ha fatto “Mediterraneo”, io avevo altri cazzi per la testa, altre cose da fare, ed ero in tutti i dischi estivi dei miei amici, ma non ero mai riuscito a farne uno mio, allora quest’anno ho detto “fanculo, lo facciamo”.
Poi è successa una cosa che a me piace: cioè quando tu hai un’idea e diventa casualmente la scelta giusta. Io sono tornato a Milano e ho iniziato a parlare a Garelli di un paio di idee che avevo parlando di Stromboli e ho scoperto che pure lui da piccolo ci andava con suo padre. Successivamente ho trovato ulteriori legami con altri ragazzi che fan musica. Ho parlato con Drone e anche lui è uno di quelli che va sempre a Stromboli e insomma è uscito questo intreccio di legami che sembrava veramente fosse destino fare questo album, e allora ho deciso di chiamarlo così.
“Iddu” è anche il soprannome del vulcano, nel senso che chiamano “Iddu” lo Stromboli e “Idda” l’Etna. Quindi l’idea era di chiamarlo “Iddu” sia in riferimento al vulcano, sia nel senso che l’album parla di me, così da creare un gioco di riferimenti tra me e il vulcano stesso.
L’idea del vulcano poi si è unita all’idea mia di fare un disco estivo, conferendo in tal modo una connotazione più artistica al progetto, che invece chiamarlo semplicemente “musica da spiaggia”.
Il beat di “Peri Peri” com’è nato? Te lo chiedo giusto perché il pezzo mi fa impazzire.
AD: “Peri Peri” è veramente figo, è un’idea che avevo in testa da tempo – dato che volevo fare questo disco estivo da anni- , avevo in mente quei due o tre pezzi che dovevamo provare a fare. Tra questi c’era “House Party” con Mattak, che è proprio il bangerone west coast preso bene ma non gangster, ma proprio da house party mega chill, e “Peri Peri”. Io sono mega fan di quella wave di pezzi afro, afrobeats, spesso in collabo con la roba inglese.
E quindi sono andato da Garelli chiedendogli di fare un beat con questa ritmica e poi vedere come suona. Garelli, che sa fare ogni tipo di stile, ha fatto uscire bene la strumentale e io volevo dare un twist siciliano alla ritmica afrobeats, e “Peri Peri” è proprio un’espressione siciliana che vuol dire ‘piedi piedi’ e corrisponde al concetto milanese ‘a piotti’ che significa te la fai a piedi, cioè l’andare in giro. Se tu devi dire “torniamo a piedi a casa” allora dici “te la fai a peri peri” e infatti il pezzo parla di me che vado in giro finché mi gira.
Il pezzo non suonava male fin dall’inizio, ma gli mancava qualcosa, e allora ho sentito Lenor, che conosco da un po’ di anni, che me l’ha proprio svoltato. Inizialmente lo cantavo io il ritornello ma non rendeva proprio, mentre lei l’ha portato su un altro livello.
La tua passione per le reference culinarie, mi viene in mente, ad esempio, “il branzino in forno” di “Traghetto Music” o le barre in cui dici di stappare un vino naturale, da dove nasce?
AD: Diciamo che a me garba mangiare. Non cucino male, diciamo che me la cavo, quindi sono appassionato di mio e ho amici che se ne intendono pesante; quindi, negli ultimi anni mi sono preso delle belle chicche. Ti assicuro che tra Gioielli e Grano ne sanno parecchio: se ti segni i testi di Grano sul bere hai roba da bere per una vita intera, Gioielli uguale, mangia e cucina bene.
Poi la roba per cui ci sono tante reference nel disco è perché, quando sei giù, sei in un’isola e quindi lì il cibo è tutto particolare. A parte la qualità che è alta, lì il cibo arriva tramite una barca una volta a settimana, e diciamo che vai a mangiare fuori ogni tanto, ma di base te la mangi a casa; quindi, c’è molto l’idea che ti cucini da solo.
Magari vai al porto la mattina alle sei e trovi i pescatori che hanno pescato il polpo due ore prima e te lo vendono così. Alla fine, le cose che ti compri di lì e che ti cucini in casa tu sono molto più buone di quel che mangerai in un ristorante turistico sulla cosa magari, e quindi nel disco ho fatto tante reference perché giù cucinavamo spesso.
Ma anche negli altri dischi tuoi ci sono sempre delle reference alla cucina….
AD: Ma in generale quello è perché mi piace e poi lo trovo figo, è sempre stiloso no?
Sì, e a me fa venire in mente la famosa storia del fatto che il Dom Pérignon l’ha fatto diventare famoso Jay-Z e altri rapper che l’hanno messo pesantemente in mostra nei loro video più popolari, e citato spesso nei loro testi. E ti volevo chiedere: per caso avevi mai pensato alla possibilità che la musica, il rap, potesse diventare un mezzo di promozione della cucina locale? Così come può essere locale, particolare e unico un vino naturale.
A: Guarda che ci hai preso un po’, di base la mia idea è che sia figo pompare le robe italiane. Quante volte abbiamo visto un Rick Ross o un Jay-Z che si bevono mezzo Dom Pérignon o un mezzo piatto di pasta al pomodoro e se ne vantano come se fosse una cosa incredibile, quando per noi è la normalità no?
E, secondo me, è sempre figo pompare le cose particolari nostrane, cioè così come considero figo vederlo fatto dagli americani, l’ho sempre voluto fare anche io di pompare roba italiana, come già in “Alta Moda”, o con le robe di “MxRxGxA” che, se non è cucina, è politica, è storia, è sport, è cultura.
Ci sono sempre un sacco di cit italiane nel disco, la mia cit preferita è quella nel pezzo con Gionni Grano e Toni Zeno dove la mia prima barra è “Non riesco ad individuare lo stadio” che è la frase che diceva Carlo Verdone, in uno dei suoi film cult: lui arriva e sta in punta di piedi sul terrazzo dell’hotel e dice “non riesco ad individuare lo stadio, è importante“.
Ci sono tutte queste robe della cultura italiana che, secondo me, è figo pompare, perché a parte che è attinente, cioè mi sembra più strano quelli che fanno continuamente riferimento a Los Angeles, Miami, Scarface e poi abiti a Pozzo di Grotti, e poi volevo proprio che questo disco suonasse italiano al di là del suono, ma proprio per quello che dici.
Della wave West coast che sta un po’ tornando in auge, come sentiamo nel tuo pezzo in collabo con Mattak, o anche in un pezzo recentemente uscito nel nuovo album del Turco “Casilina love pt.2” con Er Costa, cosa ne pensi?
AD: Io il west coast lo associo un sacco all’estate e tutto il rap della costa ovest in generale perché le scelte musicali del disco si basano su quella che è la mia playlist estiva, che non è altro che un mix di west coast, roba un po’ afro, rap un po’ più chill, che poi è il suono che senti nel disco. D’estate mi piace sempre fare qualcosa così, come c’era un po’ in “Festivalbars”, forse in questo disco ancora di più perché volevo proprio ricercare quel suono e quelle atmosfere.
Poi c’è chi quello stile lo riesce a fare tutto l’anno, ma per me è solo estivo perché essendo di Milano, io il west coast lo associo al mare e il mare lo associo all’estate e non riesco ad averne una visione diversa. Ad esempio, ho sentito il disco di Louis Dee, “Palifornia”, che è mega west coast ma lì c’è un’inflessione anche più completa, si sente che Louis Dee le sensazioni collegate al mare le vive sia d’inverno che d’estate. Ci sono dei pezzi di “Palifornia” in cui parla di Palermo che sembrano pezzi west coast ma che magari non sono pezzi particolarmente marittimi, chill, o da spiaggia. A me piace un sacco come suono, ma tendo sempre ad andare più verso la situazione relax e presa bene della west coast.
Dei nuovi piccoli big cosa ne pensi? Dico gente come Baby Gang o RondodaSosa che hanno un percorso diametralmente opposto al tuo perché esplosi subito a livello mediatico…
AD: Hai detto bene, mediaticamente, è proprio diverso il tipo di esposizione e, secondo me, supera anche il genere. Quelli, prima che artisti, sono proprio casi nazionali di cronaca, pompatissimi dai giornali… sai sono quelle cose che fanno comodo a loro, fanno comodo a giornalisti e a chi vende i giornali: intendo tutto quel casino che creano mediaticamente, capisci che Baby Gang se si ruba una maglietta, così si fa la promo del disco, capito?
Si fa sei mesi dentro, tanto non importa, hanno la manager che gli gestisce il cellulare e bona. Poi, secondo me, l’hanno portata ad una esagerazione incredibile questa cosa, ormai non è neppure più una persona, ma è un uomo-sandwich. Hai presente quelli che hanno il costume da panino per fare da promo, e così il suo ultimo disco che è in realtà una promo dell’Universal, anzi forse non so nemmeno se lo sa lui che è uscito.
Sono cose così pompate che a una certa la qualità e l’apprezzamento della musica non c’entra niente, il tipo viene ascoltato perché è così pompato che tutti devono avere un’opinione su di lui, tant’è che me lo hai chiesto pure tu a me che non ci penso mai a questa roba di base, però quando ciò che ruota intorno ad un artista diventa così grande da andare sul giornale due volte al mese per un anno e mezzo, allora tutti devono avere un’opinione su di lui.
A quel punto diventi davvero commerciale, come il disco di Tedua che è uscito adesso. Non importa se è brutto o bello, tu te lo ascolti 5 volte perché devi avere un’opinione precisa e anche se ti fa schifo devi saperlo spiegare a qualcuno, è normale che quel tipo musica è pompata.
Magari il disco mio, il disco del Turco, o mille altri, tu lo ascolti e dici “figo”, me lo riascolto ma a chi gli fa cagare lo ascolta una volta e basta. Il disco di Tedua invece, per quanto ti possa fare schifo, te lo ascolti dieci volte perché devi capire in che cosa ti fa schifo perché dovrò spiegarlo poi a qualcuno.
Quando devi avere un’opinione pompi tutto per forza di cose. La mia scuola quindi su queste cose è proprio ignorarle, chi mi piace lo cago e chi non mi piace lo ignoro completamente perché non mi interessa. Poi c’è anche gente che fa numeri giganti che conosco e rispetto. Preferisco concentrarmi su quello piuttosto che su cose che non so nemmeno spiegarmi e che riguardano fatti di cronaca che esulano dalla musica.
Mi immagino poi ai live come renderanno…
AD: ma fra, non li fanno nemmeno i live perché non possono. C’era un ragazzo che non mi ricordo cosa avesse fatto, mi pare avesse rubato delle magliette e si è fatto tre anni di carcere perché continuava a scappare, a uscire, invece di farsi quei sei mesi che doveva farsi, e il casino che si è fatto attorno a questo ragazzino tornava utile alla stampa, a lui tornava comoda la promo, lui è stato pompato e adesso non è nemmeno lui.
Scusa il paragone, ma quando parli di Baby Gang è come se parli di Beyoncé, in realtà non stai parlando della tipa ma del brand che quel nome rappresenta. C’è un team di gente dietro che è più grande di quello di un presidente, ci mangia talmente tanta gente sopra che non puoi neanche parlarne male.
Gli ultimi dischi usciti sono vere e proprie operazioni commerciali e, secondo me, non sono operazioni neanche tanto furbe, perché io non sono fan di Baby Gang ma m’immagino che un fan-tipo suo e mi domando se davvero quello si vorrebbe ascoltare un pezzo di Baby Gang con Blanco e Marracash, oppure anche il pezzo in collaborazione con Rocco Hunt. Poi preferisco gente della sua età, tipo Ele A che però a mio gusto fa roba figa. Ele A sta facendo numeri assurdi nel suo piccolo, e siamo venunti a conoscenza di lei per la musica che ha fatto e non per altre cose.
Baby Gang lo conosce pure mia madre, io vivo vicino alla zona San Siro ed è la zona dove sono cresciuto e tutti lì li conoscono, ma perché sono stati sul giornale. Tu, fino a qualche mese fa, aprivi il “Corriere” a Milano e c’era l’articolo ‘gruppo di rapper a San Siro si fa arrestare per la quindicesima volta’; è un’esposizione che nemmeno Marracash ha, ed è per quello che poi Marra è nel disco di Baby.
Se togli l’esposizione mediatica e commerciale poi, secondo me, a livello di musica non superava altri big della musica italiana. Per l’esposizione che hanno trovato ne ha parlato – mi pare – anche Salvini, il livello di esposizione che hanno ha fatto sì che anche il ministro dei trasporti parlasse del tipo in virtù della sua stessa esposizione mediatica. Marracash, Guè, o Sfera Ebbasta può fare quello che vuole, pagare ogni ufficio stampa che vuole, ma Salvini non parlerà mai di loro. Io con loro non mi ci posso confrontare perché hanno un livello di esposizione mediatica inarrivabile.
Volevo chiederti il significato di alcune barre che hai scritto in “Gifted” nel pezzo Kissene, anche se probabilmente si spiegano da sole, ma mi piacerebbe sentire da te qualche parola a riguardo perché, secondo me, riassumono in breve il significato di molta musica rap. Mi riferisco a dove rappi: “Questa musica salvagente, devo gonfiare l’ego per galleggiare nel niente”.
AD: Non è mai facile spiegare ste robe, anche perchè a me piace che ci sia libera interpretazione, cioè noi lo abbiamo capito entrambi ed è ancora più figo quando lo si capisce tutti senza spiegarla e rimanendo un po’ vaghi. Se dovessi spiegarla ti direi che sicuramente la musica, o meglio, credo che si possa applicare un po’ a tutto, si tratta di cercare qualcosa in cui sei bravo, in cui spacchi, e dunque puoi anche un po’ menartela e infatti in Kissene io dico proprio che se fosse per me non me ne fregherebbe niente di nulla, però sono bravo in questa cosa e allora fammi comunque dire la mia perchè posso permettermelo. E il concetto è quello ‘galleggiare nel niente’ si riferisce al fatto che senza quella cosa saresti lì a non fare un cazzo, ma quando provi a fare quello che ti piace allora vuoi anche iniziare a parlarne, vuoi partecipare. Questo poi si può applicare alla musica, ma se uno fa il giornalista lo può applicare anche nel proprio ambito.
Secondo me poi hai proprio colto, in sintesi, uno dei concetti base dell’Hip Hop.
AD: Sicuramente con l’Hip Hop è mega applicabile, cioè l’idea che, quando uno se la mena in questa cosa è perché è bravo, comunque, o se non lo è, crede di esserlo ed è già un inizio e lo fa per galleggiare nel niente, cioè per tirare su il più possibile e a volte anche per motivare un po’ di gente, che magari si aggrappa a quella cosa e poi grazie ad essa inizia a galleggiare da sola.
Avresti qualche album da consigliare alla redazione e ai nostri lettori?
Ultimamente mi sto ascoltando qualcosa in vista del prossimo disco perché, quando esce un disco in realtà io l’ho finito già da mesi e quindi quando esce io sto già scrivendo quello dopo. Mi sono pompato un sacco quello nuovo di Ghostface Killah “Set the tone”. Mi ascolto Boldy James, poi mi sono riascoltato quello di Jay Elettronica vecchio “A Written Testimony” e poi sto ascoltando i classici di Jay-Z: “Kingdome Come”, “Blueprint”.
Mentre per la roba estiva tutto ciò che ha fatto WizKid è proprio l’estate. L’estate per me è WizKid, Curren$y, Wiz Khalifa, Larry June e quella roba lì.
Invece hai per caso libri, saggi o romanzi da consigliare?
AD: Nel periodo di stesura del disco ho letto “L’Anatomia dell’irrequietezza” di Bruce Chatwin, che è in realtà un insieme di estratti. Chatwin è uno che ha girato un sacco, era un ricco inglese del 1800, è stato a New York, in Sud America, in Africa, e le sue idee sul viaggio si legavano molto bene al concept del disco.
Visto che ci siamo ti volevo chiedere da dove nasce la citazione a Walter Benjamin in “Flaneur” all’interno di “Fiori Blu”?
AD: Benjamin a me piace un sacco, e l’ho incontrato nei miei studi universitari. Io ho studiato storia per tre anni e mezzo, e fai conto che l’ultimo esame l’ho dato nel 2020 e col Covid ho finito gli esami, ma poi non ho fatto più niente ho fatto tutt’altro e ho ripreso giusto quest’anno per poter conseguire la laurea.
Uno degli ultimi esami che ho dato era proprio estetica e l’autore principale su cui si basava il corso era proprio Walter Benjamin che per me è un idolo, è fortissimo. Mi sono recuperato un po’ di robe sue, e ci ho messo veramente tanto a capirlo perché all’inizio non capivo un cazzo, e infatti tutt’ora non so se l’ho capito, però come tutte le robe filosofiche prendo quello che ho capito e il resto vado un po’ ad interpretazione.
“Flaneur” poi è un brano molto figo, fai conto che “Fiori Blu” doveva essere un disco vero in realtà, doveva essere un disco da major ma poi noi l’abbiamo mandata in culo perché non se ne faceva niente, loro hanno avuto dei problemi gestionali e abbiamo deciso di ripartire da zero.
Io mi sono ritrovato con “Fiori Blu” che doveva essere un disco da dodici tracce, ma che per pubblicarle dovevo cambiare delle cose rispetto a come le avevo preparate per la major, quindi “Fiori Blu” è composto da 3-4 pezzi tolti dal disco prima e uniti ad altri pezzi nuovi che abbiamo fatto. “Flaneur” doveva essere l’outro dell’album inizialmente concepito per la major.
Il concept che c’era dietro “Fiori Blu” era proprio quello di Flaneur, cioè un po’ “Fiori del Male”, un po’ “Fiori Blu” di Quaneau che è un romanzo di questo scrittore in cui i fiori blu sono una cosa che ritorna nel tempo, nonostante le guerre i fiori blu ricrescono dal fango.
Diciamo che queste letture unite poi a Benjamin e a John Fante era l’idea generale che volevo seguire per quel disco lì, perché io ero proprio partito con l’idea di fare un disco pensato e poi ne è venuto fuori un EP che per me è fighissimo comunque, ma che non rende l’epicità di quel discorso che mi ero fatto. In “Flaneur” quello spirito si è condensato perfettamente ed è anche uno dei miei pezzi preferiti.
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