Tupamaros e la Gladio? La strategia della tensione? La violenza? No. Sono tutti e tre i titoli di alcuni brani presenti in “Dittatura”, il nuovo disco dei P38.
Il gruppo (ormai trio) torinese torna sotto i riflettori dopo un disco d’esordio esploso all’interno di una tempesta mediatica, che ha sì aizzato il fuoco, ma che allo stesso tempo lo ha esposto al rischio di estinguersi in fretta tra i commenti da salottino ed il prossimo trend.
La sfida da affrontare con “Dittatura”, quindi, è riuscire a darsi un’identità forte, capace di piantare delle radici, senza perdere quel “fattore wow” che “Nuove BR“, il disco precedente, aveva.

Parlando del progetto, il nostro caporedattore Riccardo mi ha detto: “La più grande vittoria del capitalismo è stata rendere commerciale e commerciabile il comunismo, trasformare un’ideale in un’estetica.”
Il rischio coi P38 c’è: portare contenuti fortemente politici con ironia rischia di depontenziare o ridicolizzare il messaggio, già di per sé dissonante con quelli a cui l’ascoltatore rap è abituato.
Si tratta pur sempre di un prodotto distribuito su piattaforme digitali in un mercato competitivo, per quanto se ne voglia dire, e il solo distribuire questa musica potrebbe essere considerato mercificazione.
Si può però schivare quest’eventualità? In realtà no. Qualsiasi artista che produca qualsiasi tipo di arte lo fa pensando che questa verrà in un modo o in un altro fruita. La commercializzazione del contenuto, però, non dovrebbe essere la ragion d’essere del prodotto artistico (non che ci sia qualcosa di male in generale), ma in questo caso specifico rappresenterebbe un’incoerenza di fondo troppo forte da ignorare.
Ma quindi si sono venduti i P38? I ragazzi, per fortuna, tolta la propria identità ed il proprio viso, non nascondono nulla, urlano le loro barre con l’attitudine più punk possibile, senza spostarsi di un centimetro da quelle che sono le colonne portanti della loro narrazione.
Quest’ultima, al dì la della politica, resta molto affascinante: il fatto di cronaca che li ha riguardati e le conseguenze volute o meno sulle persone coinvolte, come l’indagine verso il PM che li incriminò, sono degni di un film e sono sfruttati all’interno del disco in modo molto intelligente. Questo dà loro la possibilità di avere una “street credibility“, che nel mercato italiano è sempre stata una perla rara, che li pone addirittura al di sopra dei rapper con i quali altrimenti potrebbero dissonare.
Ma qual’è questo fatto di cronaca intorno al quale stiamo girando? Nel 2022 i membri del collettivo sono stati indagati per istigazione a delinquere e apologia di reato con l’aggravante di terrorismo dalla procura di Torino. Vi lascio l’articolo di Riccardo dell’epoca se voleste approfondire:
«Povero rapper, c’hai tre mesi per spaccio,
P38 – Un Amico (“Dittatura”, 2025)
Io rischio quasi dieci anni e se mi gira li faccio»
Questo è solo un esempio di questo “atteggiamento del nemico” che i tre adottano riuscendo non solo a sovrastare i classici temi del rap, ma anche a farli propri. La criminalità affrontata, infatti, non è solo di stampo politico: si affrontano, con più o meno ironia, temi come la dipendenza da droghe, i disagi degli “invisibili”, la piccola criminalità e molti altri argomenti comuni nell’Hip Hop.
Il disco è un disco fortemente rap e i suoi autori dimostrano di conoscere la cultura Hip Hop benissimo: si sprecano le citazioni ai grandi classici, dal primo, citatissimo, Fibra a Neffa, non solo nella scrittura, ma soprattutto nei flow: i P38 esplorano la storia del genere dagli albori, adottando flow che ricordano Kaos o G-Max, arrivando alla Rage ed alla Trap.
Una versatilità in alcuni casi anacronistica, soprattutto quando si fa il verso alla trap meno contemporanea, ma notevole e soprattutto lodevole: nonostante la varietà, il disco sfugge dall’effetto playlist, riuscendo ad essere coerente dall’inizio alla fine senza privare di personalità nessuna traccia.
Astore, Jimmy e Yung Stalin camminano su una linea sottilissima: diventare una barzelletta è un processo estremamente veloce, ma anche diventare uno dei tanti è quasi istantaneo. In questo disco l’equilibrio non si perde, le tracce più leggere e divertenti come “Scema” sono seguite da “Grazie Perchè“, un brano introspettivo dove da ridere c’è ben poco, eppure il passaggio non pesa.
Anche quest’atmosfera da anni di piombo da un lato accentua l’ironia quando presente, dall’altro aggrava il crimine o la questione sociale quando raccontati, il “mood” si fa quindi strumento della narrazione, prevalicando la narrazione stessa.
Tutto ciò va a formare un codice attraverso il quale i nostri comunicano tra di loro e con il loro pubblico, estraneando chi non ne fa parte, allo scopo non tanto di elevarsi, quando di mettersi allo stesso piano dell’ascoltatore, senza differenze, combattendo la stessa lotta.
Simone mi ha detto “per stupire con il rap nel 2025 devi fare qualcosa così di rottura“. Ha ragione.
Però quello della P38 non è solo stupore. Non si tratta solo di una FuckYourClique politicizzata: è un racconto che, forse sì, è iniziato per gioco, ma che ormai ha terribilmente bisogno di venir raccontato.
Ed in un certo senso, con il loro atteggiamento oppositivo, è anche resistenza.
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