Libertà d’espressione, esatto. Perché due nomi tanto distanti per parlare di “libertà d’espressione“? Vorrei utilizzare la luce di una storia più che nota, quella relativa a Young Thug, per poterla direzionare, come si fa con i riflettori a teatro, verso altri casi, soprattutto verso uno tutto italiano, quello della P38, un gruppo trap divenuto famoso per quanto vi racconterò brevemente.
È maggio del 2022 quando Young Thug viene arrestato insieme a 27 suoi collaboratori. Alcuni dei capi d’accusa sono: omicidio, tentato omicidio, rapina, intimidazione di testimoni e spaccio di droga insieme ai soci della sua etichetta che, per i giudici, non è un’etichetta ma una gang criminale travestita. La legge a cui fanno riferimento è la legge federale statunitense RICO, Racheteer Influenced and Corrupt Organizations Act, emanata da Nixon e indirizzata proprio contro la criminalità organizzata.
Atlanta viene riconosciuta quasi all’unisono come la città epicentro della trap ma anche di molti reati: dal 2020 è stato registrato un aumento dei crimini del 60%, come riporta l’ANSA, e Fani Willis, la procuratrice distrettuale di Atlanta, di stampo democratico, sostiene che dal 60 all’80% di questi casi vengono commessi dalle gang criminali.
La Willis vede Thug come un suo acerrimo nemico in quanto criminale e per aggravare e sostenere le accuse rivoltegli, ha deciso di utilizzare, insieme ai giudici, anche i suoi testi. Oltre a ritenere legittimo l’utilizzo dei testi come capi d’accusa, ha anche esortato l’artista a non confessare nei testi rap se non vuole che vengano utilizzati contro di lui. La reazione delle grandi realtà discografiche come la Warner non ha tardato ad arrivare.
Insieme ad altri colossi come la Universal, la Sony o artisti come Drake e anche i Coldplay, hanno firmato una lettera aperta pubblicata sul New York Times in cui si chiede di limitare l’uso dei testi come prove in tribunale, altrimenti ci saranno sempre più artisti imputati di aver commesso qualche crimine.
Essendo Thugga il soggetto di questa pagina di cronaca nera, il caso fa scalpore e, soprattutto per motivi d’interesse, le grandi multinazionali della musica si muovono, ma per casi analoghi molto meno risonanti, tutto ciò non è mai accaduto.
Vediamo sommariamente alcuni esempi in cui la libertà d’espressione è stata proibita o imbavagliata.
Pablo Hasél rapper catalano indipendentista, antimonarchico. Essendo repubblicano, si esponeva con veemenza contro la corona borbonica dicendo cose estreme e provocatorie, soprattutto bersagliando il re Juan Carlos. Pablo è stato arrestato e a sono esplose rivolte in tutta la Spagna.
Negli UK questo tipo di faccenda, quella della libertà d’espressione nella musica, è all’ordine del giorno. Nel collettivo 67, il rapper oggi noto come LD prima si chiamava Scribz ma, per via dell’ASBO (Anti Social Behaviour Order) gli è stato proibito di fare musica utilizzando questo nome e rendendo pubblica la sua faccia.
I suoi testi sono stati utilizzati come prova per condannarlo, il rapper, sostenuto da Amnesty International e una lettera con 300 firmatari, ha quindi pensato all’escamotage della maschera che tutt’ora indossa per coprire il viso e fare musica, insieme al cambio nome.
Torniamo in Italia, a far scalpore qui invece sono i P38, un gruppo trap attualmente indagato per istigazione a delinquere e apologia di reato con l’aggravante di terrorismo dalla procura di Torino; i giovani rischiano ben 8 anni di carcere. Il gruppo è composto da Astore, Yung Stalin, Jimmy Pentothal e Papà Dimitri.
I loro testi fanno riferimento agli anni di piombo, alle Brigate Rosse e all’uccisione di Aldo Moro. Seguono la scia delle posse e del rap di protesta, tipico degli albori del rap italiano, somigliano vagamente ai DSA Commando per l’attitudine ma sono addirittura più a sinistra dei 99 Posse.
Come ben raccontano nell’intervista rilasciata per VD, il gruppo che si è sempre esibito con il volto coperto dai passamontagna. Inizialmente il gruppo era molto cospicuo, successivamente si è semi-sciolto e, al momento dell’intervista, si ritrovava ad essere rimasto formato da solo quattro membri.
Nel novembre del 2021 pubblicano il disco “Nuove BR”, iniziano il tour e con esso le diffusioni delle foto del gruppo ritraenti loro che esponevano le foto delle Brigate Rosse ai live. I membri del gruppo sono stati anche perquisiti dalle autorità a casa con la speranza di trovare armi, ma le forze dell’ordine se ne sono andate a mani vuote.
Questo giovane collettivo si è trovato a giustificarsi palesemente, rompendo il velo di finzione tra pubblico e artista, spiegando che, ovviamente, non si sentono le nuove Brigate Rosse, non stanno omaggiando l’esperienza storica della lotta politica; quello che recuperano da quel periodo è la portata simbolica, la rabbia e il tentativo di riscatto politico e sistemico.
La musica trap è solo uno strumento, di per sé estremo, per arrivare ad un pubblico giovane e comunicare più direttamente, cercando di aggregare una serie di ascoltatori che condividono le idee e i pensieri del gruppo. Non sono un gruppo militante politico e non hanno intenzione di condurre lotte armate, questo sottolineiamolo: sono solamente un gruppo musicale.
Ciò che tutti questi casi riassumono e spingono a pensare è: ma si può davvero incriminare un artista per i suoi testi? Davvero abbiamo intenzione di fare una cosa del genere dando adito ad un precedente che cambierebbe così drasticamente la produzione e la fruizione di un contenuto artistico? Considerando che la libertà d’espressione artistica è già vincolata da compromessi, contratti e ideologie collettive che aleggiano sopra l’artista, generando pressione, possiamo rinchiuderla ulteriormente?
Al massimo possiamo allargare la questione al concetto di “responsabilità di quanto si dice”, ma davvero l’artista si deve sobbarcare la responsabilità di aver espresso quanto sente o pensa?
Non è nostro compito dire se Thugga sia realmente innocente o no, ma utilizzando i suoi testi a sostegno dell’indagine, lo si trasforma in una vittima sacrificale del giudizio negativo sulle modalità comunicative del sistema culturale Hip Hop, veramente radicato in Paesi come gli USA.
Nel sistema semantico del rap, esagerando dal punto di vista lessicale tanti concetti ed espressioni, si può arrivare anche a confessare di aver commesso un crimine contro qualcosa. Per quanto la realness, in culture di forte matrice HH, possa essere un pilastro, non è comunque una conditio sine qua non per fare rap.
Ciò che forse potremmo fare davanti a quella che viene definita “licenza poetica”, è fare un passo indietro e lasciarla intatta agli artisti quasi come una zona grigia, un porto franco per poter esprimersi al massimo senza nessun tipo di ripercussione sulla persona fisica.
Quando un artista, di qualsiasi campo, dice “io” rompe la sua personalità come un vetro e sceglie un pezzo di questa, mette una maschera e decide di interpretare un ruolo fittizio: può essere x, y, z, può essere un personaggio di fantasia, un animale dotato di parola, un personaggio storico, il sé del passato, il sé del futuro, insomma, qualsiasi cosa.
L’autore, quando poggia la sua penna sul foglio e scrive, diventa un falsario del mondo circostante, della realtà che riporta, tramite tutti i suoi più soggettivi organi intellettuali percettivi, il suo senso di realtà, di mondo, di esistenza, che è inevitabilmente diverso per tutti e che il pubblico può scegliere di ignorare, sposare, ripudiare, criticare.
Si apprezzerebbe, criticherebbe, quindi, un mondo altero fatto esistere solamente tramite le parole dell’autore vivificate dalla sua voce, dalla musica, dalla sua forza immaginativa intenta a collaborare con i fruitori pronti a re-interpretare e far vivere, immaginariamente nelle proprie teste, ciò che l’autore dice.
Il mondo della giurisprudenza e delle istituzioni pubbliche sta facendo un errore ontologico imperdonabile: si badi bene, seppur artista e persona convivano nello stesso corpo fisico, sono in realtà due esistenze diverse in campi separati. In questa maniera si prende come denuncia di realtà ciò che si legge andando solamente a ledere la libertà d’espressione dell’artista.
Tali vicende dimostrano il limite delle sfere di competenza giuridiche incapaci di decodificare e interpretare, criticamente, tutte le allegorie presenti nei testi di uno pseudonimo che, per l’appunto, cambiando il proprio nome di battesimo in un altro, sceglie di raccontare le sue strutture di mondo che non corrispondono, sempre, per forza, con quelle del mondo universalmente e arbitrariamente riconosciuto. Dovessero incarcerare qualcuno incarcerino Jeffery Lamar Williams ma lascino libero Young Thug, perché lui è solo il prodotto della sua mente.
Ritornando invece con i piedi piantati nel nostro Paese, si lascino esprimere liberamente i P38 perché nel punk ci sono gruppi estremisti, di destra, che cantano altrettanto veementemente. Un caso su tutti i gruppi è emblematico, di cui non faremo il nome, che si è spinto oltre tanto quanto i P38, ma questa band ancora si esibisce. Il gruppo ha infatti come frontman un ambasciatore della Repubblica Italiana che, oltre ad essersi apertamente dichiarato fascista, più volte si è esibito sul palco mimando il gesto del saluto romano.
Non esiste la psico-polizia, non possiamo entrare nella testa delle persone e indirizzare i loro pensieri, ma se da un lato non viene condannato chi va contro i principi della Costituzione Italiana, bisogna adottare il medesimo approccio di “tolleranza” per chi fa altrettanto ma dall’altro versante. La libertà d’espressione è un diritto e come tale va tutelata anche per chi, tramite la musica, esprime idee considerate illegali, ma tale principio lasciamolo intatto per tutti, anche per i P38.
Perché fomentare ad una faccenda tale che potrebbe creare precedenti e, per dirla alla Harry Potter, potrebbe riaprire la Camera dei Segreti? Il basilisco della nostra storia potrebbe uscire e seminare cancellazioni di memoria che non ci permetterebbero di analizzare i fatti in maniera autonoma, in ogni campo artistico.
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