Il Samsara di Jesto è un disco di puro rap, e per il sottoscritto è arrivato in un momento dell’anno cruciale, diventando velocemente la colonna sonora delle mie vacanze. In un paese dove per necessità ti ritrovi in ambigui rapporti di lavoro e abitativi, dove pensi di poterti fidare, di chi ti dice che nella casa che ti affittano funziona tutto, ma poi ti ritrovi d’inverno con i termosifoni che non funzionano e un camino, che invece di riscaldarti ti affumica come un salmone norvegese. Beh, è evidente l’Italia è un paese dove “la gente c’ha la merda in testa” (Resta Tesla) – “Le persone sono merde, ti usano tipo server” (Outro-Samsara). Proprio nel momento in cui mi giravano le palle a mille, prendendo coscienza, che anche quest’anno devo guardarmi le spalle da chi fa bella faccia e cattivo gioco, pur di risparmiarsi qualche euro, a discapito della salute altrui. Proprio in quel momento dalla redazione di Rapteratura, mi fanno notare che è uscito il nuovo progetto di Jesto.
Penso, cazzo, è da “Il Jesto Senso” che non mi ascolto qualcosa di suo, e subito me lo metto in cuffia. E guarda caso le atmosfere del nuovo album, sono la ripresa e lo sviluppo di quello del 2010, oltre ad essere in perfetta sintonia con la mia scazzatura: “Sarò onesto tra me e il resto del mondo, adesso come adesso, non c’è feeling” (Kafka Freestyle), “in questo mondo fedito, Tesla contro Edison” (Resta Tesla).
Jesto torna in scena dopo un silenzio di ben due anni. Il rapper a cui la scena non ha riconosciuto il dovuto merito, ritorna come un monaco-guerriero dopo l’allenamento con Pai Mei, per spaccare il culo a tutti quanti. Pronto ad intensificare al massimo la Tecnologia Spirituale del suo rap. In questi due anni è come se l’mc, dopo aver appeso l’autotune al chiodo, si fosse ritirato in un rifugio in mezzo al nulla, con un maestro vedico, dedito allo studio. Pronto a remixare nella propria scrittura: filosofia occidentale, immaginario manga-cartoon, spiritualità orientale e mondo pop. Se non capite cosa intendo, potete mettere su “Hemingway” e troverete subito un esempio di barre-remix. Rime che intessono la realtà con la finzione, o perlomeno ci rendono possibile la percezione di tale sovrapposizione: “Mondo diviso tipo Ghibellini e Guelfi, quando parlo tu appizza le orecchie tipo elfi, contro la società dello spettacolo e dei selfie, conosci te stesso tipo oracolo di Delfi.”
Jesto evoca un immaginario neo-feudale, suggerendo che oggi ritroviamo divisioni, uguali a quelle che c’erano durante il medioevo. In questo annullamento post-moderno dei confini tra passato, presente e futuro, l’antico monito filosofico “Conosci te stesso”, che un tempo era posto all’entrata del tempio dell’oracolo di Delfi. Adesso torna utile come arma, da utilizzare contro la “Società dello Spettacolo”. Quest’ultima è a sua volta un riferimento all’omonima opera di Guy Debord.
Debord è il fondatore dell’Internazionale Situazionista, ossia l’avanguardia che sostiene di aver dato il via alle occupazioni del ’68 parigino. Oltre ad essere uno dei primi filosofi ad aver concettualizzare filosoficamente l’idea di Spettacolo, anticipando le tendenze della società dei selfie.
Le barre-remix, come queste sono un esempio di quel che Simon Reynolds definisce come portale. O meglio: Musica-portale. “Samsara” è un esempio perfetto di musica-portale, così come la definisce il critico musicale Simon Reynolds: Il “portale si ha quando le associazioni effettuate attraversano ‹‹domini culturali diversi›› : dalla musica alla letteratura al cinema o alle arti visive” . E Jesto, se lo ascolterete, vi accorgerete che va anche oltre.
Jesto prende coscienza dello smontamento postmoderno dei confini temporali. Forse per questo decide di perseguire un’immagine del tempo e dell’esistenza circolare, su cui struttura l’intero album. Forse perché Jesto vuole veicolare come flusso culturale, una diversa visione del tempo rispetto a quella dominante.
Samsara è un termine proveniente dal sanscrito, che veicola una visione circolare del tempo e della vita. Le interpretazioni religiose-spirituali del termine sono infinite, ma a noi basta sapere che il Samsara è la nostra esistenza che si ripete sempre e di nuovo, ad altri livelli di intensità e agiatezza, a seconda delle nostre azioni nella vita passata. Jesto fa propria questa visione ciclica delle cose, della rinascita continua, di cui sottolinea soprattutto le sfumature negative: “La gente ti prosciuga le energie in questo mondo sanguisuga, il tempo ti segna tipo ruga, cogli l’attimo prima che sfugga, guardo l’orizzonte traccio il punto di fuga, in mezzo alle onde surfo su sto Kali Yuga” (Come il Tempo). Le sfumature di una ripetitività che intensifica le parti peggiori della società, materializzandosi nell’epoca attuale del Kali Yuga, nota come l’epoca dell’oscurità.
La scazzatura buddha-esistenziale di Jesto diventa il ritornello di uno dei miei pezzi preferiti dell’album: “Resta Tesla”.
Il rapper ci dice che il suo mito è Tesla, perché la gente e la società hanno l’irrimediabile difetto di dimenticarsi di chi merita. Nel pezzo vi è un riferimento implicito a Primo Brown, anzi il pezzo nasce come lo sviluppo di una rima della leggenda del rap romano: “Scarico volt sulle stronze che poi evito, elettrico, Tesla non confondere con Edison” (Due e Trenta Demmerda – Primo Brown).
E al di là delle intenzioni di Jesto, con “Resta Tesla” si viene a creare una linea di discendenza, e di consistenza, di coloro a cui non viene riconosciuto il dovuto merito, che inizia con Tesla, passa per Primo Brown e arriva a Jesto (e forse fa tappa anche da Stefano Rosso e Hyst “Famiglia di artisti, dinastia tipo i Joestar”, come dirà poi in “Risalire”).
Le basi old school dell’album sono essenziali, classiche, ottimali per il flow di Jesto, che cambia le atmosfere rispetto al Jesto Senso. L’album del 2010 era molto più gotico, mentre Jesto, qua se la prende con la “modernità merdosa” (outro). Fin dall’Intro, ci presenta il suo album, come una tecnologia spirituale del quotidiano, come un’arma di resistenza al techno-Samsara quotidiano: “l’evoluzione dell’anima “– “più che rime sono moniti”. L’mc scientemente veicola una diversa idea del tempo, per contestare l’immagine moderna del tempo del consumo.
Jesto è un monaco guerriero del flow, capace di aprire portali-metrici nella colonna sonora del nostro Samsara urbano quotidiano, fatto di sano hip hop.
Chissà se recitarlo a memoria, può causare l’interruzione del ciclo?
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