L’abbiamo invocato per anni, certi che il risultato fosse uguale a come il sogno appare nella nostra testa mentre scorrono le ore di notte. Poi ci si sveglia, e man mano che passa il tempo rimangono solo frammenti sfocati.
L’abbiamo invocato per anni il sequel di XDVR, il primo album di Sfera Ebbasta, ma nel frattempo noi siamo cambiati, l’artista ha scalato le classifiche e, perché no, anche deluso qualche fan. Succede che poi il sequel arriva proprio nel momento in cui tutti avevano interiorizzato il fatto che non ce ne fosse più bisogno, sia gli orfani rassegnati che i fan più recenti, e succede che la realtà supera il sogno.
X2VR è il miglior successore che il suo parente del 2015 potesse avere.
O quanto meno si avvicina molto ad essere il migliore possibile, perché al netto delle numerose note liete, qualche stonatura è figlia della fallibilità dell’uomo e quindi presente di natura. Qualcuno al contrario ha preso la palla al balzo per criticare in ogni modo e maniera questo progetto, con toni dissacranti ed eccessivi. Forse la critica in questo caso ha l’aggravante della premeditazione: se l’ultimo Sfera (inteso all’ultimo livello del suo stato artistico, quello di Mirage o Mamma mia per esempio) decide di pubblicare X2VR, allora è meglio prepararsi psicologicamente ad accettare un fallimento sotto tutti i punti di vista.
Se dovessimo immaginare due macrocategorie della fan base del rapper di Cinisello, per approssimare, potremmo dividerli in nostalgici e neofiti, vale a dire chi apprezza solo lo Sfera dei primi due anni di carriera nel primo caso e, nel secondo, coloro che hanno conosciuto Sfera già a carriera inoltrata, e sappiamo tutti quanto l’evoluzione negli anni sia stata drastica e a tratti traumatica per alcuni.
Bene, se avete ascoltato X2VR sapete benissimo che a queste due categorie il disco non è piaciuto, o magari più al secondo in quanto qualche episodio filo-radiofonico o “tiktokkabile” (chiediamo scusa alla Treccani) c’è.
Più fortunati sono stati coloro che si sono resi dinamici e sono sgusciati fuori da quella bolla, riuscendo a capire che X2VR ha un valore simbolico molto forte per l’artista stesso, e questo è il primo punto che lo accomuna al precedente.
Il problema relativo alla comprensione di questo progetto sta proprio nel non riuscire ad afferrarlo in maniera immediata, proprio a causa di ciò che c’è stato prima; XDVR, considerato da tutte le testate – anche da noi – un disco culto, ha gettato alle spalle del suo successore un’ombra attiva e creatrice di preconcetti che ne offuscano la vista (o otturano le orecchie).
E’ difficile uscire dalla disillusione e aprirsi completamente al messaggio di Sfera, anche perché spesso si ha la presunzione di sapere già cosa ti offrirà il mercato. X2VR, come dice bene il nome, è il secondo episodio di un cult e in quanto secondogenito racchiude bene la natura stessa di una transitorietà pronta a compiersi, per l’orizzonte d’attesa generale in un terzo capitolo (vuoi un po’ l’assodato “non c’è due senza tre”). Per il momento che stiamo vivendo nell’ambito della ricezione, questo non è un progetto fatto con lo scopo di rimanere, o almeno così si presenta in base all’esperienza, funziona così anche nel cinema. Più in generale, non è un’eresia affermare che i dischi oggi non sono più fatti per rimanere (ne riparleremo); sono dematerializzati, funzionali al consumo dell’evento live, utili a segnare un piccolo segmento d’esperienza, pronti a finire nel dimenticatoio dopo un po’.
Non si sta cercando di prevedere se X2VR rimarrà o meno, chiaramente. Ma cos’altro avrebbe potuto fare Sfera per sovvertire le aspettative e settare nuovi standard come con ogni suo album del passato?
Difficile a dirsi, ma l’assenza di quest’intenzione e una direzione artistica all’apparenza “semplice” lascia immaginare che anche questa volta ha vinto lui. Uno Sfera così non ce lo saremmo mai aspettati e con questa scelta ha spiazzato chiunque. Oltre a ciò, la maturazione della concezione del disco ha contribuito a sovvertire un giudizio che sembrava una sentenza già prima dell’uscita: in molti hanno usato molti featuring nei propri progetti, ma in pochi li hanno gestiti così bene, perché seppur in gran numero non sono risultati ingombranti. Anna e Marracash, rispettivamente in “Ciao Bella” e “15 piani”, sono stati i più apprezzati in questi primi giorni dopo l’uscita, ma anche i vari Paky, Thasup e Guè non sono stati da meno. Leggendo in giro qualche critica in più l’hanno ricevuta Tony Effe e Tedua, ma con un riferimento al 2016 per i nostalgici il primo, e con la barra “Ho un brivido lungo la schiena ora che Sfera è diventato pa’ / Io a 29 anni ho conosciuto mio papà” il secondo; entrambi i rapper però riescono a ritagliarsi un ruolo di rilievo, a non abbassare il livello complessivo.
L’aver citato la barra di Tedua sposta la questione sull’aspetto contenutistico, una delle caratteristiche più evidenti del progetto, più esplicito di XDVR. In molti hanno scambiato gli scontri con il passato di Sfera per retorica e rime banali, asserendo come molte delle tematiche trattate (quali la morte del padre, la gratitudine verso la madre, Vito, la rivalsa, ecc.), siano state già affrontate nei dischi precedenti. La differenza sta nell’aver racchiuso tutto in un unico progetto, perché le varie “Bottiglie Privè”, “BRNBQ” o “Leggenda” sono tutte sparse negli anni e nascoste da una spropositata quantità di canzoni che fanno del loro essere radio-friendly il punto forte.
Tutta questa introspezione, mai così accentuata, si riflette in primis nella veste grafica che circonda l’intero progetto. Certo, nei video promozionali la scritta “X2VR” in viola è un tocco di classe, ma la copertina originale con l’artista che tiene in braccio il proprio figlio è completamente in bianco e nero, così come quelle alternative. Una cover che strizza molto l’occhio agli Stati Uniti, seppur il disco gridi “Forza Italia” da tutti i pori (e non si parla del partito), anche questo in antitesi con il suo passato recente. In riferimento al bianco e nero, nel cinema viene utilizzato in 2 modi: in senso diegetico quando si vuol rimandare al passato; in senso artistico quando si vuole trasmettere una nota di autorialità e impegno, per porsi anche a un certo tipo di pubblico. Qualunque sia l’intenzione, l’utilizzo è traslabile perfettamente all’ultimo progetto di Sfera; verrebbe quasi da dire che sia stato utilizzato per entrambi i motivi.
Quest’articolo non vuole essere un’opera di convincimento, ma in un anno dove poche cose hanno convinto veramente in termini di uscite, sentire Sfera ritornare in questo modo uscendo fuori dai propri canoni stupisce e come. Il disco non è esente da critiche, per carità. La parte centrale del disco può essere considerata più pesante, alcuni featuring non convincenti e le tematiche ridondanti.
Il progetto verte tutto sulla nostalgia.
Il paradosso del sentimento nostalgico sta proprio nel desiderare ardentemente una cosa, per poi respingerla quando ci accorgiamo che è meglio non andare a toccare i ricordi. Come ha scritto la Zukar nel suo libro, non servono i paladini dell’hip hop perché la cultura è abbastanza forte da difendersi da sola. Magari è arrivato il tempo di aggiungere che forse non servono neanche quelli della Trap. Ma è un sottogenere che davvero vive autonomamente? Gli artisti lo esportano e il pubblico lo recepisce? Finché c’è questo scambio il genere vive. Ma in Italia cosa significa la trap? Un sottogenere su cui in troppi aprono bocca anche associandolo a vicende di cronaca con cui non esiste un nesso diretto, ma che ha ad oggi pochi portavoci.
La trap in italia, per come la intende l’ascoltatore italiano, è Sfera per antonomasia. Molti degli ascoltatori prettamente mainstream, tramite associazione di idee, affibbiano a lui il merito di esserne il capostipite, al netto delle varie dislocazioni in altre città come la Dark Polo Gang a Roma. Con X2VR il cerchio si chiude: come Sfera l’ha aperto con il primo capitolo, l’ha chiusa con quest’ultimo. E seppur esistano gli eredi spirituali, per così dire, come Baby Gang e gli altri rapper di Milano, non fanno quel tipo trap. Questo sottogenere si è geneticamente modificato in qualcosa che si contamina di drill, ma con gli stilemi di Milano: dalla lean e le droghe leggere come aree semantiche di riferimento, ai crimini e all’integrazione di italiani di seconda generazione. È chiaro che non si vuole minimizzare il tutto a questo, né per prima né per adesso, giusto per intenderci.
Avviandoci verso la fine, è giusto dire che il mondo gira intorno al cambiamento e non è giusto rimanere fermi al 2015. L’apprezzamento del primo non esclude l’apprezzamento del secondo capitolo; è importante contemplare la dinamicità di un artista, comprenderne il cambiamento in relazione a sé e al mondo circostante, soprattutto quando viene presentato in un modo così maturo, rispettoso nei confronti del passato e credibile.
X2VR ha un peso specifico nella carriera di Sfera, non era obbligato a farlo in questo modo, non sarebbe stato più facile cercare di replicare un successo discografico come Rockstar? Invece ha scelto di guardarsi allo specchio attraverso una narrazione atipica.
T. S. Eliot distinse 3 tipi di narrazione del racconto: il primo tipo è quando viene utilizzata per riflettere su sé stessi; il secondo tipo per parlare al pubblico; il terzo quando si crea e si impersonifica un personaggio fittizio per parlare al pubblico. Il rap, o gran parte di esso, si trova nella zona grigia tra il secondo e il terzo tipo, mentre è molto difficile che un rapper rifletta su sé stesso, soprattutto per quello che Sfera ci ha abituato ad ascoltare. Ma qui Sfera l’ha fatto, spiazzando tutti, e questo rende X2VR più interessante di quanto si legge in giro.
Non si vuole neanche far passare X2VR come un disco strappalacrime, ci sono molti episodi rap nel senso stretto del termine che fanno saltare dalla sedia (come “G63”). Anzi, è quasi l’autocelebrazione l’aspetto preminente. Niente di nuovo, sia nel rap che per Sfera, ma questa volta non è fine a sé stessa: la bravura è stata renderla un’autocelebrazione credibile e malinconica.
Le continue citazioni al passato, Vito e la sua “vecchia compagnia”, sottolineano come le scelte diverse di vita diano altrettanto diverse configurazioni, e che per quanto le cose siano cambiate, una parte di sé avrà sempre un occhio vigile su ciò che era e su chi lo circondava. Ma anche nell’ultimo brano, quando dice “15 in 15 metri quadrati, ma siamo riusciti a salvarci”.
Per non parlare di “VDLC”, una delle tracce migliori di Sfera Ebbasta sotto tutti i punti di vista, tra il campione dei Club Dogo e il testo (avresti mai immaginato di ascoltare gli scratch in un disco di Sfera?).
Sfera guarda Cinisello all’ultimo piano del suo grattacielo circondato dalla Milano bene, rivendicando le sue origini e il percorso che ha fatto per arrivare dov’è adesso.
Da “io lo faccio per davvero” a farcela, per davvero.
(Con la collaborazione di Riccardo Bellabarba)
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