Oggi abbiamo il piacere di avere un’intervista con l’autore di una melodia senza filtri dall’hinterland est di Milano. Osama Sour aka 054, 27 anni, originario del Marocco e cresciuto a Pioltello, ha sempre amato la musica, prima araba e poi internazionale. Nel 2017 comincia a scrivere e nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo brano, Masquerade. Il pezzo fugge dalla competizione e dall’invidia dell’ambiente hip hop per esprimere con freschezza la voglia di togliere le maschere ad un mondo che “chiama se fa comodo”.
Tra strade, metropolitana, fumo e sushi del supermercato, abbiamo incontrato lo studente universitario e artista da tenere sott’occhio nei prossimi mesi. Masquerade è infatti solo l’esordio di 054, che a fine intervista ha accettato di offrirci un piccolo spoiler del prossimo pezzo in uscita.
Intervista a 054
Masquerade è il primo singolo che hai registrato o è solo il primo brano che hai deciso di pubblicare?
Masquerade è il primo singolo che ho pubblicato dopo tre anni circa di scrittura e registrazione in studio.
Eravamo arrivati ad avere un buon numero di tracce, ma tra le tante abbiamo deciso di debuttare con questa, che anticipa in qualche modo il percorso che sto intraprendendo.
Quando e perché hai deciso di fare sul serio con la musica?
È partito tutto per gioco, come credo succeda per la maggior parte di noi: ero solito andare in uno studio assieme a dei ragazzi che registravano ormai da tempo.
Dopo qualche mese, assistere alle “trap session” (come le chiamavano ai tempi) non mi è più bastato, e da lì è iniziato il tutto.
Non ha smesso di essere un hobby e una passione, ma sentire altre persone rivedersi e immedesimarsi nelle mie parole mi ha fatto capire che posso essere una voce per tanti.
Quando e com’è nato il brano?
Se non sbaglio era iniziato da poco il periodo Covid, quindi parliamo di marzo/aprile 2020. Ero reduce da un periodo un po’ negativo: ero bloccato nella scrittura, avevo chiuso con determinate persone, mentre il mondo fuori si era come bloccato, congelato. Ho interpretato il tutto come un momento necessario per fare ordine nella mia vita, allontanare ciò che era dannoso e dare importanza a quello che diamo per scontato, come i legami.
Cosa pensi quando senti che qualcuno ti vuole usare?
La cosa mi rattrista molto. Perché in fondo vuol dire che ho fallito io: ho fallito nel giudicare una persona per quello che non è, ho fallito nel darle la mia fiducia e nel ritenermi importante per l’altra persona.
E fallire non è sbagliato: è dai fallimenti che impariamo, ma certi fallimenti ci rendono più chiusi in noi stessi, meno fiduciosi di noi e del mondo attorno.
C’è molto inglese nei tuoi testi: è una scelta o viene spontaneo?
Un po’ l’uno e un po’ l’altro ad essere sincero. Nel parlato comune, nello slang che utilizzo per parlare coi miei amici e conoscenti c’è sempre dell’inglese, sia per una questione di influenza culturale, sia per una questione di musicalità della lingua. Credo che molto derivi dal cinema e dalla musica americana, che in questi anni ha influenzato molto la cultura hip hop italiana.
Parliamo di “lei”: “non le conviene / ma vuole i [tuoi] guai” o “non [ti fidi] della miss”?
Come dicevo prima, fallire o subire delusioni ti fa perdere la fiducia negli altri; ma se da un lato queste delusioni fanno sì che “non mi fidi della miss”, dall’altro sono consapevole e rassicurato dal fatto che, nonostante non riesca a fidarmi e nonostante a lei non convenga, mi vuole comunque, con i guai che ne conseguono.
Quali sono i guai a cui fai riferimento?
Nel corso della mia vita ho avuto diversi tipi di problemi: dal riuscire a farsi accettare al cercare di stare lontano da alcuni contesti (purtroppo anche criminali), dal riuscire a stare bene con me stesso al cercare di stare bene con gli altri.
Accettare una persona vuol dire accettarla in tutto e per tutto, dai suoi pregi ai suoi vizi, dai problemi ai suoi modi di risolverli.
Spieghi “E mi chiedi come fai / Ad avere certi sbatti / Questa vie non lascia crai / Tutto torna dopo anni”?
Certe situazioni che ho vissuto possono essere difficili da credere, ma è successo a me come è successo ad altri. Purtroppo ci sono contesti da cui è difficile fuggire e staccarsi del tutto: la vita non lascia mai nulla a “crai” (in gergo, non lascia debiti), ma è sempre pronta a tornare per riscuotere.
Com’è essere un artista emergente italo-marocchino? Secondo te artisti come Ghali e Mahmood hanno spianato la strada?
Sento una certa “pressione” addosso, perché faccio parte di una collettività particolare, quella delle “nuove generazioni”, a metà tra il mondo in cui vivono e un mondo d’origine. So cosa vuol dire non sentirsi parte né dell’uno né dell’altro, ti sembra di non avere un vero luogo d’appartenenza.
Ci sto ancora lavorando, ma ho capito che, al contrario, la possibilità di far parte di entrambi mi permette di fare da “ponte” tra i due, dando voce alle persone che vivono questa condizione.
Si dice che uscirà presto un altro tuo pezzo…
Non voglio anticipare molto, ma posso dirvi che l’attesa non sarà lunga. In una sola parola, promessa: questa traccia è una promessa ai miei amici, alla mia famiglia, ai miei affetti, ma allo stesso tempo un avvertimento, un prendere le distanze da ben altre persone. Fa parte di un progetto più ampio, di cui questo sarà un piccolo assaggio.
Intervista di Valentina Bellini
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